«Oggi il Presidente parla. Ma è stato zitto per sette anni» intervista a Marco Pannella
La visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al carcere di San Vittore non è piaciuta a Marco Pannella. La condanna inflitta all'Italia dall'Ue per l'irragionevole durata dei processi e la condizione delle carceri è l'ultima testimonianza di un dramma che tanti detenuti (la metà dei quali innocenti) portano sulla loro pelle. Il leader radicale non perdona il silenzio «istituzionale» del Capo dello Stato: «Oggi si è messo a parlare di cose su cui, in sette anni, non ha mai voluto inviare un messaggio al Parlamento».
L'Europa condanna la nostra giustizia. Che succederà adesso?
«Secondo la sentenza l'Italia si trova in una situazione "sistemica" e "strutturale" di violazione delle norme stesse della giurisdizione europea. Il provvedimento richiama soprattutto gli articoli 3 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo».
È una battaglia che lei e i Radicali portate avanti da sempre.
«Chiediamo da 30 anni che l'Italia interrompa questa flagranza di reato. Ora l'Europa ha dato al nostro Paese un ultimatum di un anno per adeguarsi, per fare tutto ciò che non ha fatto, appunto, negli ultimi trent'anni».
Una situazione grave. Ma non crede che le parole di Napolitano siano comunque rilevanti?
«Ho la convinzione che il presidente della Repubblica in modo patente, indiscutibile e indiscusso, attenti alla Costituzione. Lo accuso di tradirla, lui che ne sarebbe il massimo
custode».
In questo caso non vale il proverbio "meglio tardi che mai"?
«Le parole di Napolitano sono state un monologo, come quello dei monarchi assoluti. Lui parla al popolo, alla gente. Si comporta come un dominus degli anni Trenta. Non è un caso che abbia chiesto al Parlamento italiano di cambiare la legge elettorale benché l'avessimo avvisato più volte che per la legislazione europea non si può modificare nell'ultimo anno di legislatura. Napolitano "governa" le istituzioni, svuotando, tra l'altro, il Parlamento anche delle sue funzioni di controllo. Non dicendo una parola alle Camere, non inviando messaggi, le ha ferite gravemente».
Cosa accadrebbe se l'Italia non riuscisse a rispettare la sentenza europea, cioè ad avere processi e carceri umani?
«Potrebbe esserci l'espulsione del nostro Paese dall'Ue o quanto meno dal Consiglio d'Europa».
Mi scusi Pannella, ma quanto tempo ci vorrà a cambiare la nostra giustizia?
«Nel medio e lungo termine ho la ragionevole certezza che succederà».
Quant'è il medio e lungo termine?
«Anni. Alcuni lustri, forse vent'anni».
Torniamo a Napolitano. Parlando proprio con i Radicali fuori da San Vittore s'è detto favorevole all'amnistia.
«Anche nel 2005 Napolitano era a favore, tanto da partecipare alla marcia organizzata da noi, poi nel 2011 disse che c'era una "prepotente urgenza" di risolvere la questione giustizia e carceri. Anche la Cei ha sostenuto l'amnistia, sia il segretario generale Monsignor Crociata sia il portavoce Monsignor Pompili si sono espressi chiaramente. Ma non c'è stato niente da fare. Non c'è mai stato un dibattito. Eppure l'amnistia servirebbe a ridurre i 5 milioni di processi».
E le carceri sarebbero meno sovraffollate. Oggi i detenuti sono 66 mila a fronte di 47 mila posti disponibili...
«Le carceri sono nuclei di shoah».
Ma la battaglia dei Radicali continua. Vi presentate alle elezioni con il simbolo amnistia Giustizia e Libertà. Che risultato vi aspettate?
«Nulla, o quasi, ameno di miracoli. Nel Paese, del resto, non c'è dibattito sulla giustizia. E nelle prossime settimane scoppierà un'altra bomba, ancora dall'Europa. Vedrete».
(a cura di Alberto Di Majo, da "Il Tempo")
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