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lunedì 14 ottobre 2024

TE LO DAVA COSSIGA..L’UNIFIL

Da  L' Opinione

Un bunker di Hezbollah scavato sotto il naso dell'Onu. Le immagini e la mappa.


I militari israeliani hanno scoperto dei sotterranei fortificati e ben armati a pochi metri da una base Unifil nel sud del Libano. Un territorio che la missione delle Nazioni Unite avrebbe dovuto demilitarizzare (da quasi un ventennio).

 Ebbene sì ....

 Grazie al Lodo Moro “gli italiani non si toccano, ma se sono ebrei è già un altro paio di maniche.

E ancora : “Per evitare problemi, l’Italia assumeva una linea di condotta che le permetteva di non essere disturbata o infastidita poiché gli arabi erano in grado di disturbare l’Italia più degli americani, l’Italia si arrese ai primi. Posso dire con certezza che anche oggi esiste una simile politica. L’Italia ha un accordo con Hizbullah per cui le forze UNIFIL chiudono un occhio sul processo di riarmamento, purché non siano compiuti attentati contro gli uomini del suo contingente”.

Era il 3 ottobre del 2008, l’ex capo dello stato rispondeva in maniera candida e disarmante alle domande dell’inviato Menachen Gantz a proposito del Lodo Moro in un’intervista clamorosa uscita in Israele all’epoca con grande scalpore sul quotidiano “Yedioth Aharonoth”, ma da noi passata sotto la consegna del silenzio. 

Unifil esisteva già da due anni ma il suo destino era già segnato: i soldati italiani sono tutelati dal Lodo Moro e dai suoi aggiornamenti. Gli altri soldati Onu non godranno in seguito delle stesse garanzie.

D’altronde come si poteva evitare con 15 mila caschi blu che le milizie sciite finanziate e comandate da Teheran (più di 50 mila guerriglieri armati sino ai denti) facessero in loco il bello e il cattivo tempo? Meglio rivolgere loro quello che gli americani chiamano “blind eye”. E magari diventare un po’ più occhiuti contro Israele. Proprio come accade oggi.

E questo spiegherebbe già tutto quello che sta  capitando oggi con il senno di prima più che con quello di poi. Al momento inesistente.


L’Onu è sacro anche se tutti sanno che è dominato dagli stati canaglia e dalle dittature. Alcune delle quali, l’Iran e in passato la Libia, hanno avuto l’onore di dirigere la Commissione per i diritti umani e persino quella per le pari opportunità.

E anche se tutti sanno  che a fronte delle più di 200 condanne contro lo stato ebraico mai una volta  - o pochissime – si sono avute simili delicatezze per Corea del Nord, Cuba, Vietnam, Iran, Libia, Sudan e così via, l’opinione pubblica mondiale si indigna solo contro Israele. E’ stata educata così, dall’ex Unione sovietica, sin dai  tempi della guerra fredda. E’ il dogma del terzo-mondismo militante, quello delle lotte (armate) di liberazione.

Così adesso tutti strepitano se avvengono incidenti o provocazioni da parte dell’Idf contro questi soldati – eroi ipotetici a 7 mila euro al mese - che  giocano alle belle statuine a sud del fiume Litani. Facendo finta di non accorgersi che a poche decine di metri i proxy degli ayatollah stipano i propri razzi da sparare contro Samaria e Galilea.

Qualcuno nel nostro governo sta cadendo nella trappola di prendersela contro Nethanyahu.

Ma se Cossiga potesse ancora parlare come fece con Gantz nel 2008 – e noi dobbiamo la memoria di questa intervista sepolta nel dimenticatoio all’opera del segretario del Partito radicale Maurizio Turco, presidente della Fondazione Marco Pannella, che domenica scorsa alle 17 nella propria conversazione pomeridiana ci ha rievocato il tutto -  che direbbe ai vertici della Farnesina e del ministero della Difesa?

Probabilmente una sola frase: “ve la do io l’Unifil e la sua pseudo missione di pace”.
Missione che probabilmente farà la fine descritta a suo tempo da Oriana Fallaci nelle ultime cinquanta pagine del  libro “Inshallah”,  che si riferiva alla sua antesignana, sempre cogitata dall’Onu all’epoca della prima guerra di Israele in Libano.

Dimitri Buffa

giovedì 18 luglio 2024

Due Stati - due popoli? Sì ma non nello stesso territorio.




Continuo a chiedermi perchè pretendere ancora uno stato palestinese proprio nel bel  mezzo dello Stato di Israele? 
Fu un errore terribile  la cessione della striscia di Gaza ai feddayn di Arafat da parte di Israele e bisogna assolutamente rendersene conto, gli eventi che ne sono scaturiti lo rendono evidente anche ai ciechi più ciechi.

Se proprio si vuole dare una collocazione congrua per gli arabi della Striscia di Gaza, Hamas compresi, che eviti ulteriori situazioni di conflitto permanente e consenta a tutti di svilupparsi pacificamente,  occorre pensare uno stato palestinese nei territori del centro penisola Arabica o altro luogo del nord Africa di fede islamica, in cui molti, come gli Hutu, sostengono la lotta armata di Hamas contro Israele da decenni.

AMg




La Knesset contro la creazione di uno stato palestinese
Da Redazione Metropolitan

La Knesset, il Parlamento monocamerale israeliano, ha votato una risoluzione che respinge la nascita di uno Stato palestinese. Segnando, di fatto, la chiara intenzione di non scendere a patti per concludere il che ha ucciso migliaia di civili, donne e bambini soprattutto, palestinesi. Il presidente del partito Gideon Saar ha affermato con convinzione che “la decisione della risoluzione intende esprimere l’opposizione generale che esiste tra il popolo israeliano alla creazione di uno Stato palestinese. La decisione metterebbe in pericolo la sicurezza e il futuro di Israele”. Inoltre, secondo lui, la risoluzione “segnala alla comunità internazionale che le pressioni per imporre uno Stato palestinese a Israele sono inutili”. La risoluzione è stata votata favorevolmente da 68 membri della Knesset, nove contrari e nessuna astensione.
Questa risoluzione nasce da una proposta del premier Benyamin Netanyahu, e di quella di destra all’opposizione. Inoltre, ha avuto il sostegno anche del partito di Benny Gantz. Il report racconta che i membri di Yesh Atid, il partito di Yair Lapid sono usciti dall’Aula al momento del voto. “Uno Stato palestinese nel cuore di Israele costituirebbe una minaccia esistenziale per Israele e i suoi cittadini, perpetuerebbe il conflitto israelo-palestinese e destabilizzerebbe la regione”, recita la Risoluzione.
Marianna Soru


No allo Stato palestinese, realtà che contrasta con la sicurezza di Israele e si trasformerà in una guerra civile perenne.

Non credo nel modo più assoluto ai due Stati in quanto la popolazione araba è sparsa a coriandolo ed è difficile gestirla sparpagliata a coriandolo sul territorio spesso anche dentro Israele. È una situazione che mette in pericolo la sicurezza di Israele, facendo pesare continuamente sui cittadini israeliani il timore di spostarsi in spazi sicuri. La creazione di una Stato palestinese non ha radici, i palestinesi non sono un popolo bensì sono ancora divisi in bande ed etnie che non stanno mai insieme, ma operano solo nella propria enclave. Israele non avrebbe mai Pace e la situazione degenererebbe in una guerra civile portando grave instabilità nell’area. Non a caso Hamas vuole cacciare gli ebrei dall’area dal fiume al mare, è così da sempre e dunque non vi è possibilità di dividere il territorio, per divederlo gli arabi dovrebbero spostarsi e vivere in un territorio che abbia una continuità, cosa che è difficile ad attuarsi in quanto i palestinesi non sono disposti a vivere uno accanto all’altro ma si raggruppano per tribù e non sono disposti a stare accanto agli altri palestinesi di altre tribù o provenienze. Ricomporre un territorio omogeneo è quasi impossibile e dunque la situazione è difficile da ricomporre. Non si parli mai più dei confini del 1967 perché quei confini con corrispondono più ai confini di Israele. Gli israeliani hanno subito una guerra dichiarata dagli arabi e l’hanno vinta, non si capisce proprio perché si debbano ritirare ad esempio dalla Cisgiordania a Gerusalemme, tornando a non poter entrare e frequentare la zona del muro del pianto, una cosa che i cittadini dovranno scordarsi che avvenga. Dunque, una grande menzogna proporre due estati che non hanno possibilità di stare insieme e sventrerebbero Israele. Sono menzogne che devono finire quella dei due Stati, sono impossibili da attuare.

Sara Finzi

sabato 30 marzo 2024

Nessuno tocchi Caino rilancia la richiesta di abolizione dei prefetti.

 ABOLIAMO I PREFETTI: LA BATTAGLIA DI EINAUDI E PANNELLA, LO STATO DI EMERGENZA ANTIMAFIA È DIVENTATO REGIME

Sergio D’Elia su L’Unità del 28 marzo 2024


Il consiglio comunale di Africo è stato sciolto per mafia nel dicembre del 2019. Era composto da 12 ragazzi incensurati e da un sindaco studente universitario. La loro colpa? L’identità anagrafica, il rapporto di parentela, l’appartenenza a una comunità di poche anime nata col segno di Caino marchiato sulla fronte fino all’ultima discendenza di nomi e cognomi identici. Nessun delitto di sangue, nessuna appartenenza alla mafia. La colpa dei ragazzi del consiglio di Africo era di essere nati ad Africo.

Il comune di Siderno è stato sciolto da un Prefetto che appena lasciata la Calabria ha pubblicato un libro dal titolo “Prefetto in terra di ‘ndrangheta”. Quasi fosse il capo di una spedizione coloniale in una terra barbara da liberare dal male e condurre alla civiltà. Quel Prefetto “sceso” in Calabria con le armi e i bagagli dell’antimafia ha travolto anche un Sindaco, Pietro Fuda, che in tutta la sua vita, da militante comunista, sindacalista, senatore della Repubblica, la mafia l’aveva davvero combattuta. Con le armi del diritto e della coscienza e non con la terribilità di leggi speciali e d’emergenza.

Nell’aprile del 2017 questura e prefettura avevano delegato all’Amministrazione guidata da Paolo Mascaro l’organizzazione della Festa Provinciale della Polizia di Stato sino ad allora mai tenutasi in città. A novembre, su proposta della prefettura, il Consiglio Comunale di Lamezia Terme è stato sciolto. La colpa? Aver assegnato alla Caritas per trent’anni, previo bando pubblico, un bene confiscato alla criminalità organizzata. L’anomalia? La durata temporale della concessione: trent’anni erano troppi.

Il consiglio comunale di Sinopoli è stato sciolto per decreto il 1° agosto del 2019. Il pericolo mafioso consisteva nelle relazioni di parentela, affinità, frequentazioni tra amministratori e soggetti “controindicati” abitanti in un borgo di duemila anime in cui tutti sono parenti di tutti e amici di tutti.

Il Comune di Mezzojuso è stato sciolto in diretta TV. Nel corso dell’ennesima puntata trasmessa dalla piazza del paese di una delle telenovelas più lunghe dei talk-show italiani, il conduttore Massimo Giletti chiese all’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini l’invio degli ispettori per una verifica di infiltrazioni mafiose. Come un imperatore che nell’arena con il pollice decide la vita o la morte secondo il volere del popolo, il Ministro inviò i commissari prefettizi e qualche mese dopo il Comune fu sciolto.

Il consiglio comunale di Monte Sant’Angelo è stato sciolto nel luglio del 2015 con la formula di rito: “condizionamenti della criminalità organizzata tali da alterare il libero esercizio delle funzioni politiche e amministrative”. Il Sindaco Antonio Di Iasio, una persona per bene lontana anni luce da logiche e pratiche criminali, non credeva a suoi occhi e ha subito pensato “avranno sbagliato Comune”, visto che una memoria dell’Avvocatura di Stato scritta per Monte Sant’Angelo, che è in provincia di Foggia, veniva presentata a firma della prefettura di Reggio Calabria.

L’eventuale scioglimento del Comune di Bari sarebbe l’ennesimo capitolo di una storia tutta italiana segnata tragicamente dal braccio violento della legge: la Giustizia che, nella sua raffigurazione classica, è personificata da Dike, la dea che in una mano brandisce una spada e con l’altra regge una bilancia. L’arma è in alto e incute timore, incombe minacciosa ed è pronta a colpire. La bilancia è in basso, i piatti a volte sono in perfetto equilibrio di bene e male, a volte sono impari, il torto predomina sulla ragione e, letteralmente, “torce” il “diritto”. E quando la giustizia tortura il diritto, inevitabilmente, tortura persone, violenta non solo la loro libertà e dignità, ma anche la loro vita.

Gli ultimi trent’anni di storia italiana possono essere autenticamente testimoniati solo da chi li ha vissuti nei luoghi deputati, giudiziari ed extragiudiziari, del potere di Dike: le questure, i tribunali e le carceri, ma anche le commissioni parlamentari e le prefetture del nostro Paese, che un tempo era detto “culla del Diritto” e che oggi ne è divenuto, ormai, la tomba.

Se apriamo le pagine di cronaca di un giornale o le pagine di un libro di Storia, non troveremo mai raccontate le vicende di un Paese alla luce dello stato del diritto, l’unico lume che può farci vedere davvero quanto è accaduto e continua ad accadere in Italia. Meno che mai sono raccontate le storie delle vittime – gli imprenditori espropriati dei loro beni, gli interdetti dai pubblici affari, i sindaci, gli assessori e i consiglieri comunali derubati del voto popolare – che hanno vissuto sulla propria pelle la morte del diritto che comporta ineluttabilmente la morte di persone e di popoli.

Negli ultimi trent’anni, abbiamo assistito al degrado dalla Costituzione formale, scritta dai nostri padri costituenti, alla costituzione materiale, riscritta e interpretata dai nostri governanti. A ben vedere, il passaggio degradante è stato dall’ordine giudiziario al potere giudiziario, dall’ordine democratico al potere burocratico, dallo Stato di diritto allo Stato dei Prefetti.

Ordine e potere non sono compagni, sono nemici. “Ordine” è sinonimo di “diritto”, legge fondamentale, armonia, equilibrio, insieme di cose diverse. Non “legge e ordine”, la legge è – voce del verbo essere – ordine, il principio d’ordine da cui tutto origina, che tutto lega e a cui tutto tende.

La “guerra dei trent’anni” dichiarata dall’Italia alla mafia non è ancora finita. Se la mafia non è più quella di una volta, criminale e stragista, se i capi dei capi sono morti o sepolti nel cimitero dei vivi, permane la setta religiosa che quella guerra ha ispirato e alimentato alimentandosene. La professione di fede antimafiosa non ammette tregua, deroga giuridica, tentennamento politico, eresia garantistica. Lo stato di guerra non può essere dichiarato finito. L’armamentario emergenzialista di leggi, misure, procedure e apparati speciali non può essere smantellato.

Questo stato di cose non è più un sistema, è un regime. Sì, di questo si tratta e così va chiamato: regime. Perché quando uno stato di guerra e di emergenza dura da così tanto tempo, dal momento che la durata è la forma delle cose, questa forma di stato – illiberale, antidemocratico e violento – diventa, tecnicamente, un regime. Così abbiamo definito, giustamente, il regime fascista, che è durato un ventennio.

Il nostro regime democratico di emergenza antimafia dura ormai da oltre un trentennio. Eppure, pochi si scandalizzano, quasi nessuno ne chiede la fine.

In questo trentennio di guerra di religione contro la mafia sono stati traditi i principi sacri, le norme universali, le regole fondamentali dello Stato di diritto, del giusto processo, della presunzione di innocenza. Ai processi e ai castighi penali sono stati affiancati e spesso preferiti processi sommari e castighi immediati e più distruttivi. Quelli delle misure di prevenzione, dei sequestri e delle confische personali e patrimoniali, che hanno minato la libertà di impresa e il diritto al lavoro, hanno spogliato della proprietà le imprese e a volte dei beni minimi essenziali intere famiglie. Quelli delle informazioni interdittive antimafia, delle black e delle white list prefettizie, che hanno stravolto il sistema di trasparenza e libera concorrenza e imposto il controllo di fatto sull’economia degli organi di governo sul territorio. Quelli dello scioglimento dei Comuni per mafia, che ha umiliato e marchiato per sempre le istituzioni rappresentative di base.

Pochi si rendono conto che l’annullamento per decreto del potere centrale della vita democratica di base – la competizione politica, la partecipazione popolare, le elezioni – trasmette un messaggio devastante: cioè, che la democrazia è un sistema superato, le istituzioni più vicine ai cittadini sono forme anacronistiche della vita politica. Quasi nessuno considera che lo scioglimento di un Comune per mafia ha il significato anche di infliggere, non solo al suo sindaco, alla giunta e al consiglio comunale, ma all’intera comunità, la “pena di infamia”, una pena che veniva comminata solo nel Medioevo. Con quel marchio, i dignitari perdevano la loro dignitas, venivano degradati al rango degli “infami”, di cittadini senza cittadinanza.

Vige in Italia un sistema di potere arbitrario, pieno e incontrollato di cui sarebbe ora di liberarsi. La giustificazione al suo permanere è sempre la stessa: la mafia è il male assoluto e il fine di combatterlo giustifica ogni mezzo. Anche se i mezzi che lo Stato usa a fin di bene assomigliano molto ai mezzi usati dall’anti-Stato a fin di male. Anche se segnano la fine dello Stato di diritto e il trionfo dello Stato di sospetto, il ritorno allo Stato dei Prefetti d’epoca fascista.

In nome dell’emergenza e del pericolo mafioso, il Prefetto è diventato il dominus assoluto e incontrastato sulla vita politica, economica, sociale e amministrativa a livello locale. Di fatto decide sull’esercizio dei diritti civili e politici di una comunità, sulla libertà di fare impresa, sul diritto al lavoro, sulla vita di imprenditori e lavoratori. In definitiva, sulla vita del diritto e sul diritto alla vita nel nostro Paese.

“Abolire i Prefetti!”. Sarebbe ora di riprendere la battaglia che fu di Luigi Einaudi, e dopo di lui anche di Marco Pannella, volta a superare questo retaggio del centralismo napoleonico, questa protesi del potere centrale e di occupazione dello Stato sulla più periferica forma di vita democratica, politica e civile.

mercoledì 28 febbraio 2024

, IL FEROCE OMICIDIO DI UN EROE DELLA NONVIOLENZA

 Uccidere uno spirito libero non uccide la libertà, anzi.

E uccidere un nonviolento porta sempre molto male a chi lo fa.

AMg


PUTIN HA UCCISO NAVALNY

Ho solo letto la notizia, come tutti. Non so e non voglio approfondire quale siano state le cause della morte del dissidente russo Alexei Navalny. In ogni caso non possono essere “cause naturali”. Non c’è nulla di naturale in tutto ciò che avviene in Russia, meno che mai in un luogo di privazione della libertà dove tutto è strutturalmente innaturale, concepito e realizzato contro la natura umana e il senso di umanità.

Mai come in questo caso può valere la massima che molti attribuiscono, oltre che a Voltaire, proprio a due grandi della storia e della letteratura russa, Tolstoj e Dostoevskij: se vuoi misurare il grado di civiltà di un Paese vai a vedere cosa accade nelle sue carceri.

Non solo in Russia, una morte in carcere non può essere mai un evento naturale, ma solo un atto criminale. La morte di Navalny è un atto omicida del regime russo che ha mostrato così la sua vera faccia, un volto feroce e spietato.

Può accadere che un oppositore politico decida di fare una lotta di liberazione violenta nei confronti del regime e quindi mette nel conto le conseguenze di questa sua azione. Nel caso di Navalny parliamo di una persona forte e mite, col carattere di acciaio e un corpo lieve come una piuma.

Di anno in anno, di lotta in lotta, da un digiuno all’altro, da una prigione all’altra, da una cella di isolamento all’altra, di tortura in tortura, il corpo di Navalny ha perso peso, è stato scavato e levigato fino a scomparire in esso ogni traccia di materia.

Come in un processo omeopatico, di diluizione in diluizione, della materia originaria di cui era fatto Navalny era rimasta l’essenza, il principio attivo, quello della coscienza. Hanno ucciso un obiettore di coscienza. Nel senso che hanno ucciso un uomo che era diventato un tutt’uno con la sua coscienza. Non hanno ucciso Navalny, hanno ucciso la sua coscienza, l’essenza di tutto ciò che di lui era rimasto.

Navalny è stato, continua a essere testimone e simbolo della resistenza al regime, a tutti i regimi, “incarnazione” spirituale di una visione diversa, quella della coscienza, dell’armonia, della fratellanza, dell’amore universali. Navalny è stato un essere di luce che, anche nel silenzio e nel buio di una galera, ha illuminato e continua a illuminare la via per creare un nuovo mondo.

E’ già successo nella storia russa, che la speranza di un ordine nuovo nascesse proprio nel sottosuolo del regime, e di un regime come quello sovietico, nei gulag e nelle prigioni di Stalin. Era incarnata da uomini e donne come Navalny, dai perseguitati, dai prigionieri e dai deportati sui quali era comunque sceso lo spirito creatore di un ordine superiore che non sarebbe tardato a venire. Ci è voluto tempo, eppure, contro ogni speranza, la loro forza “religiosa”, letteralmente, di relazione, pur nell’isolamento dal mondo, è riuscita a cambiare il mondo e i suoi confini.

Alexei Navalny ha provato che quel che si vive nel proprio mondo interiore è indistruttibile, può risuonare oltre le mura della prigione più isolata, cupa, blindata. Non bisogna essere in miliardi, in milioni, in migliaia e neanche centinaia per cambiare il mondo.

Anche pochi, rari, uomini soli possono creare il cambiamento: la loro coscienza, il loro amore e la coerenza del loro modo di pensare, di sentire e di agire e il metodo della nonviolenza, possono creare il nuovo possibile. Coscienza, amore, nonviolenza sono la forma delle cose, il principio d’ordine da cui tutto origina, che tutto lega e a cui tutto tende.

Alexei Navalny ha amato a tal punto il suo Paese da decidere, da libero, di ritornare nel luogo che sarebbe stato per lui di prigionia, di tortura e di morte. Questo significa amare. È in questo che si misura il valore della nonviolenza. Sentirsi profondamente responsabili di ciò che si ama, responsabili financo della vita del proprio nemico.

Il corpo di Navalny è stato, dal suo nemico, fatto prigioniero, isolato, torturato, umiliato, ucciso. Ma il suo spirito irriducibile non morirà mai, continuerà a illuminare e orientare la vita russa, l’istanza di libertà, di diritto, di democrazia di milioni di russi, e non solo.

Sergio D’Elia  /NTC) su L’Unità del 17 febbraio 2024

giovedì 28 settembre 2023

ILPONTE SULLO STRETTO? COME L'AUTOSTRADA DEL SOLE .

Scrive su Facebook Elisabetta Cherubini

 "Anche la mega opera “Autostrada del Sole” fu violentemente osteggiata da alcuni come il ponte sullo stretto. Il motore economico della nostra nazione avrebbe rischiato di non vedere la luce se queste persone avessero raggiunto il proprio scopo.

La critica più forte riguardava il sistema a carreggiata doppia (oggi standard mondiale) che all’epoca venne definito “surreale, da megalomani, faraonico.”

L'Unità nel '64 stroncò l'A1:
“L'Autostrada del Sole? Non sappiamo bene a cosa serva, non esiste uno studio serio e completo sulle conseguenze che il colossale nastro stradale avrà sull'economia del paese, non sono state calcolate le conseguenze del permanere di un sistema di viabilità ordinaria assolutamente rachitico attorno alla fettuccia autostradale. I problemi dello sviluppo industriale, della viabilità ordinaria, dell’urbanizzazione, delle campagne, sono stati ignorati.”

Insomma, bollata come un'opera troppo costosa, frutto degli interessi capitalistici dell'industria dell'automobile, foriera di incidenti stradali e ingorghi, inutile visto lo stato delle strade statali che andavano sistemate prima di progettare un'arteria autostradale del genere.

L'analisi costi-benefici sull'Autosole fatta dall'Unità aveva dato esito negativo. La costruzione di autostrade, roba per ricchi, andava a togliere risorse ad altro.

Leggiamo ancora: “La contraddizione è palese. Si procede fra stridenti assurdi, riempiendo gli occhi di autostrade e dimenticando che mancano le strade normali in città e nel resto del paese.

Un enorme pompaggio di risorse finanziarie sottratte ad altri investimenti. Migliaia di miliardi sottratti ad altre spese per servizi pubblici.“

E questo discorso vale per moltissime altre opere ovunque nel mondo. 
Che hanno rischiato di non vedere la luce. 
Le critiche sono sempre forti per tutto. 
Ma per fortuna non sempre eclissano chi vede al di là del proprio naso."

Il mio commento:

Bell'articolo. Purtroppo proprio l'esser stato a lungo osteggiato rese il progetto più povero di denari e di soluzioni pratiche, specie a sud della Toscana, scelte che portarono a rendere l'autostrada stretta, sovraccarica, poco scorrevole e sopra tutto insicura in meno di una trentina di anni, particolarmente nei tratti  da Roma a Napoli e poi fino a Reggio Calabria. 

Tali manchevolezze sono costate inquinamento, rallentamenti, incidenti anche catastrofici e sono state recuperate in parte solo con il costoso ammodernamento e raddoppio che va avanti dall'epoca di Di Pietro ministro e peraltro  non è ancora completato. 

Per non parlare delle autostrade siciliane perennemente in costruzione quando non in riparazione e sottodimensionate. 

Ora si ripresenta da anni la stessa stupida bagarre a proposito del Ponte sullo Stretto. 

Certo, chi rema contro per far crescere i costi e soprattutto per non perdere le sue rendite di posizione, è potente e ben radicato nei territori: se ne infischia altamente del benessere dei cittadini e della CO2... 

A proposito chi ha remato contro l'autostrada del Sole non furono solo quelli del PCI, antenati dei modernPDisti, ma anche i nonni di quelli che adesso sono al governo, oltre che anche altri dell'opposizioni (?) e. 
Insomma in Italia c'è una certa refrattarietà al cambiamento che semplifichi l'esistenza dei cittadini e la renda meno onerosa, vedi digitalizzazione e smart-working quando non anche autoprodursi la propria energia da fonti rinnovabili e rendersi autosufficienti come Paese..

AMg

sabato 16 settembre 2023

Caccia: Governo pronto ad avvelenarci col piombo...

 


 Da LIPU

 ....PUR DI INGRAZIARSI CACCIATORI E ARMIERI CON UN EMENDAMENTO A UNO DEI DL IN CONVERSIONE IN PARLAMENTO


Le associazioni Enpa, Lac, Lav, Lipu e WWF Italia denunciano la continua azione del governo contro la Natura (e la salute dei cittadini). Alla vigilia della sessione di bilancio, quando si dovrebbe essere concentrati sulle decisione che riguardano famiglie e imprese, il governo trova il tempo per organizzare riunioni segrete con i cacciatori, per concordare le modalità con cui aggirare il Regolamento europeo 2021/57, la cui portata è già stata fortemente ridotta a livello europeo proprio a causa delle pressioni della lobby delle armi, che per tutelare la salute di ambiente, animali e comunità umane, inclusi gli stessi cacciatori, dispone il divieto di utilizzo delle tossiche munizioni di piombo nelle zone umide.

Il governo aveva già tentato di risolvere la questione con una circolare interministeriale che, per quanto emerge da pubbliche dichiarazioni, è stata scritta direttamente da esponenti del mondo venatorio ai quali ormai il ministro Lollobrigida ha da tempo affidato le chiavi del Ministero dell'agricoltura.

La circolare, che si pone in palese violazione con il Regolamento europeo, è stata, di fatto, dichiarata carta straccia dal TAR Lazio grazie al ricorso delle associazioni ambientaliste.

Per questa ragione - nonostante proprio a causa della emanazione della circolare, la Commissione Europea abbia già aperto una procedura EU Pilot nei confronti dell'Italia, prospettando il serio rischio d'infrazione - il Governo ha ceduto alla pressione ed ai ricatti di cacciatori e armieri ed ha concordato con loro un emendamento da inserire in un decreto attualmente in discussione in Parlamento che si occupa di tutt'altro, riproponendo la grave irregolarità parlamentare compiuta con l'emendamento "caccia selvaggia".

L'emendamento, secondo quanto trapelato da fonti venatorie, prevedrebbe, tra le altre cose, la trasformazione della sanzione da applicare per chi viola i divieti del Regolamento, da penale ad amministrativa. In altre parole, l'obiettivo del Governo è rassicurare i cacciatori che in caso di violazione i rischi sarebbero minimi o nulli.


È davvero incredibile che il governo continui ad anteporre le richieste della lobby dei cacciatori e dei produttori di armi a diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione come salute e ambiente. Il problema dell’inquinamento da piombo è, infatti, una minaccia diretta sia alla biodiversità che alla salute delle persone, in primis dei cacciatori che mangiano carne infarcita di piombo, ed è assurdo che proprio loro non se ne rendano conto.

Le associazioni rivolgono, quindi, un appello a tutte le forze politiche e ai parlamentari affinché non si rendano complici e blocchino questo scempio.


Roma, 14 settembre 2023





martedì 12 settembre 2023

URGE UNA RIFORMA RADICALE DEL DOMINIO PREFETTIZIO SULLA DEMOCRAZIA



  Come reso noto da Palazzo Chigi, il Governo ha avviato l’esame del disegno di legge delega per la revisione della normativa sull’ordinamento degli Enti locali proposto dal Ministro dell’Interno Piantedosi. Stando alla bozza diffusa dai media, il restyling interesserà anche la “disciplina in materia di controllo sugli organi degli enti locali conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso o similare”. Il fatto che lo schema di delega preveda solo modifiche marginali alle norme in vigore rende chiaro come, per il Viminale, il sistema tutto sommato funzioni e non necessiti di particolari stravolgimenti. Ma le cose stanno davvero così? Vediamo cosa, a nostro avviso, avrebbe dovuto esserci nel disegno di legge e invece manca.

Innanzi tutto, nella proposta di Piantedosi non viene neanche sfiorato il tema dell’evanescenza dei presupposti per il commissariamento per mafia di un ente locale.

Eppure sono tante e autorevoli le voci che si chiedono se sia conforme alla Costituzione e possa essere ancora mantenuto in piedi un istituto che, grazie anche a evidenti forzature interpretative, consente all’esecutivo di rimuovere un’amministrazione democraticamente eletta ogniqualvolta ravvisi, sulla base di elementi indiziari, il “più probabile che non” pericolo di infiltrazione o condizionamento da parte della criminalità organizzata. E ciò con l’avallo del Consiglio di Stato, arrivato a sostenere che “l’accertata e notoria diffusione nel territorio della criminalità organizzata e le precarie condizioni di funzionalità dell’ente si configurano come condizioni necessarie e sufficienti per disporre lo scioglimento del Consiglio Comunale”.

Nel disegno di legge non è affrontata nemmeno la questione dell’eccessiva rigidità della disciplina vigente, che azzera per 18 mesi (sistematicamente prorogati a 24) tutti gli organi elettivi anche nel caso in cui i (probabili) tentativi di infiltrazione o di condizionamento non coinvolgono la parte politica ma solo i dipendenti dell’ente o, addirittura, i vertici o il personale delle società partecipate.

Parimenti, nella delega non vi sono disposizioni in grado di rimediare alla scarsa efficacia delle gestioni commissariali che, troppo spesso, sono state incapaci di instaurare un rapporto fiduciario con i cittadini e di rimuovere le inefficienze amministrative che avevano concorso allo scioglimento. Tanto è vero che sono molti i comuni sciolti per due o più volte.

Infine, nella bozza di ddl non è presa in alcuna considerazione la vexata quaestio dei diritti degli amministratori degli enti commissariati per mafia, ai quali non sono garantiti né il contraddittorio nella fase ispettiva, né la pienezza dei diritti difensivi in sede giurisdizionale.

Per evitare che le reali esigenze di riforma vengano svilite e l’intervento del legislatore si riduca al mero recepimento dei desiderata della burocrazia ministeriale, è dunque necessario che il Parlamento, se e quando prenderà in esame il provvedimento, eserciti in pieno le proprie prerogative, facendo tesoro anche delle esperienze maturate nella scorsa legislatura.

In particolare, sarebbe esiziale disperdere il proficuo lavoro svolto dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, che il 30 maggio 2022 ha predisposto un testo organico di riforma della disciplina sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali.

Mentre le direttive contenute nello schema di delega presentato dal Ministro dell’Interno prefigurano un semplice maquillage del sistema, il testo licenziato dalla Commissione parlamentare, sebbene non ne elimini tutte le contraddizioni e le incongruenze, ha il pregio di mirare alla risoluzione di molte delle problematiche sopra evidenziate.

E in effetti, uno dei cardini della proposta è rappresentato dall’esclusione della possibilità di sciogliere gli organi elettivi nel caso in cui il tentativo di infiltrazione e condizionamento riguardi solo la burocrazia dell’ente. In tale ipotesi, il governo limiterebbe il proprio intervento all’attribuzione di poteri straordinari di gestione al Segretario o al Direttore Generale ovvero, in caso di coinvolgimento di questi ultimi, a un Commissario esterno.

Altre modifiche di grande impatto sono rappresentate dalla più chiara definizione dei presupposti per lo scioglimento, dalla previsione del contraddittorio tra gli amministratori e la commissione di accesso, dalla riduzione della durata del commissariamento, dall’introduzione dell’obbligo di esclusività e di presenza per i membri della commissione straordinaria, dall’istituzione di un organo di rappresentanza dei cittadini e del mondo dell’associazionismo a supporto della commissione e di un albo ministeriale da cui attingere per le nomine dei commissari. Insomma, un pacchetto di aggiustamenti che, seppur non risolutivo di tutte le criticità, renderebbe l’istituto meno inefficiente e iniquo.

Speriamo di non doverci rammaricare per l’ennesima occasione sprecata.

Pasquale Simari su L’Unità del 3 settembre 2023


da NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

LA NOSTRA AZIENDA CONDANNATA A MORTE ‘A FIN DI BENE’

  La nostra azienda è nata alla Spezia nel 1932 ed è stata colpita a morte il 31 ottobre 2019. La chiamano “misura interdittiva antimafia”. Per il tuo bene, per prevenire il contagio del male assoluto, la Mafia, ti possono anche uccidere.

Nel nostro caso, la Questura e la Prefettura avevano presunto l’infiltrazione mafiosa dalla presenza di due dipendenti con precedenti penali. Secondo la loro geniale intuizione queste persone erano state inviate dalla camorra per impadronirsi della nostra attività. In realtà, erano state, una, raccomandata da un carabiniere del nucleo investigativo e, l’altra, arrivata grazie all’adesione della nostra azienda a un percorso di risocializzazione dei detenuti e su segnalazione della Casa Circondariale della Spezia con il beneplacito del Magistrato di Sorveglianza.

Il procedimento è stato impugnato al TAR e al Consiglio di Stato che, senza nemmeno considerare i ricorsi, ma solo sulla base della regola non scritta del “più probabile che non”, li ha rigettati, sottolineando anche che “con tanta brava gente che è senza lavoro, non era necessario assumere un detenuto”, calpestando l’articolo 27 della Costituzione. Oltretutto, queste persone, all’emissione dell’interdittiva, non facevano più parte dell’organico: uno già da settembre 2017 e l’altro da gennaio 2019.

Ci hanno pure contestato di aver lavorato con quattro aziende sospettate di aver avuto rapporti con persone “controindicate”, ma con procedimento a loro carico archiviato o prosciolte e giustamente iscritte alla white list delle varie Prefetture italiane che gli consente di lavorare con la pubblica amministrazione. A nulla è servito il ricorso in Cassazione, dove è stata evidenziata la commissione del reato di associazione a delinquere, reato che a noi non è mai stato contestato.

Attualmente, dopo tre anni e mezzo dalla prima denuncia pubblica tramite Nessuno tocchi Caino, si sta verificando ciò che noi avevamo previsto: il fallimento delle nostre aziende costruite con l’onesto lavoro di quattro generazioni di imprenditori, con una figlia che sarebbe stata la prima donna alla guida della Società dopo tre generazioni di uomini. È scandaloso che una misura con effetti così devastanti possa essere emessa a discrezione del Prefetto in seguito a indagini eseguite da organi di Polizia e senza alcun confronto tra le parti, in base a valutazioni infondate e contraddittorie che portano alla distruzione di imprese sane e persone oneste che le hanno create.

È sconcertante che sia il TAR sia il Consiglio di Stato si siano spinti a una valutazione anticipata di responsabilità quando queste, semmai, dipendono da future valutazioni che spettano al Giudice penale. Questo pre-giudizio nei nostri confronti ha condizionato l’intero procedimento. Principi e regole basilari del Diritto sono stati violati: presunzione di non colpevolezza, giusto processo, parità delle armi tra le parti in causa, rispetto della proprietà privata, della vita sociale e familiare. E pure della libertà di circolazione, perché, al titolare è stata applicata anche una misura di prevenzione personale per diciotto mesi che ha avuto effetti deleteri sia sulla persona fisica che giuridica.

Non tutti sanno che le imprese e le persone che vengono colpite da provvedimenti così brutali, se si potranno, forse, anche fisicamente rialzare, rimarranno delle anime morte che camminano e che vivono una vita ai margini della Società. Persone a cui è stata tolta l’azienda, il lavoro, la dignità. Calpestate da leggi ignobili e ancor peggio applicate in nome di una lotta alla Mafia solo di facciata. La nostra impresa, come altre decine di migliaia in Italia che hanno subito la stessa sorte, non sono state nemmeno sfiorate dal fenomeno mafioso. Ciò nonostante, sono state annichilite con una violenza al pari di un’arma di distruzione di massa da chi dovrebbe tutelarle.

Attualmente siamo inermi di fronte a tanta devastazione in attesa della liquidazione giudiziale delle nostre amate aziende senza poterci difendere, mentre ci viene strappato il frutto del nostro lavoro, magari a vantaggio di altre aziende competitrici che si trovano con un concorrente in meno sul mercato e con beni aziendali rilevabili all’asta a prezzi irrisori. Nella disgrazia abbiamo avuto la fortuna di venire in contatto con Nessuno tocchi Caino che ha preso a cuore la nostra vicenda e ci ha motivato a presentare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, grazie alla collaborazione di avvocati eccellenti, è stato dichiarato ricevibile. Ci rimane la speranza che, a seguito di tanti ricorsi alla CEDU, finalmente ci si renda conto che in Italia esiste un sistema di prevenzione che sarà sicuramente necessario per la lotta alla Mafia ma che ha bisogno di correttivi urgenti per evitare che imprese sane che rappresentano la ricchezza del grano del Paese siano mischiate indiscriminatamente con la miseria della gramigna criminale.

Agostino ed Ester Ferdeghini su L’Unità del 3 settembre 2023

martedì 1 marzo 2022

L'uso di anfetamine illegali aumenta il rischio di psicosi

 23 FEB 2022 12:45 



L'uso di anfetamine illecite, comunemente note come "veloci", aumenta il rischio di psicosi di 5 volte in un periodo di dieci anni. Lo studio corrispondente è stato pubblicato sulla rivista online  Evidence-Based Mental Health .

Sebbene le istituzioni mediche riconoscano ampiamente il legame tra anfetamine e psicosi, questo studio si proponeva di esaminare la relativa prevalenza di episodi psicotici tra gli utenti e il successo della riabilitazione nel ridurre il rischio di psicosi.

Per lo studio, i ricercatori hanno esaminato i dati del Taiwan Illicit Drug Issue Database (TIDID) e del National Health Insurance Research Database (NHIRD) raccolti tra il 2007 e il 2016. Il TIDID contiene informazioni personali anonime dei tossicodipendenti registrati, tra cui data di nascita, sesso, record di arresto e procedimento penale rinviato per il trattamento riabilitativo. Nel frattempo, il NHIRD contiene dati anonimi sulle condizioni mediche del 99% della popolazione taiwanese.

Lo studio comprendeva 74.601 consumatori di anfetamine e 298.404 soggetti di controllo che non erano consumatori di anfetamine. Entrambi i gruppi sono stati abbinati per età e sesso. L'età media della coorte era di 33 anni e l'84% erano uomini.

Complessivamente, i tassi di psicosi erano 5,28 volte superiori nei consumatori di anfetamine illecite rispetto a coloro che non ne facevano uso e oltre sei volte superiori per quelli con più di cinque arresti multipli correlati ad anfetamine. 

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https://youtu.be/jn76CGJKWQg

Mentre una media di 77 per 100.000 consumatori di anfetamine ha mostrato di sviluppare psicosi in base ai tassi di incidenza cumulativa annuale, lo stesso era vero per 468 per 100.000 consumatori di anfetamine. 

I ricercatori hanno inoltre scoperto che gli utenti che hanno ricevuto una riabilitazione psicoterapeutica dopo l'arresto avevano una probabilità inferiore del 26% di sviluppare psicosi.

È stato inoltre riscontrato che i consumatori illeciti di anfetamine hanno un rischio maggiore di co-morbilità come ansia (0,91% contro 0,27%), depressione (1,98% contro 0,42%), cardiopatia ischemica (1,32% contro 0,78%), malattie cardiovascolari (0,79% vs 0,45%) e ictus (1,31% vs 0,66%).

I ricercatori hanno notato alcune limitazioni ai loro risultati. Non sono stati in grado di confermare il dosaggio, la frequenza, la quantità di utilizzo o la gravità della dipendenza tra gli utenti, poiché tali dati non sono detenuti dal TIDID. Anche il TIDID e il NHIRD non contengono dati genetici e mancano di informazioni sull'etnia, le complicanze ostetriche e le avversità infantili. I ricercatori non sono stati quindi in grado di controllare queste variabili.

Hanno scritto che l'uso illecito di anfetamine potrebbe anche avere il potenziale per innescare o esacerbare i sintomi schizofrenici, il che significa che l'uso di anfetamine può indurre, piuttosto che una causa, i sintomi psicotici registrati.

I ricercatori concludono che "la psicosi è associata all'uso illecito di anfetamine in tutte le fasce d'età, specialmente nelle donne e in quelle arrestate più volte", e che "varrebbe la pena indagare sui benefici per la salute e l'efficacia in termini di costi del differimento dell'azione penale per i criminali di droga fornendo una terapia adeguata per la tossicodipendenza”.


 L'AUTORE:    ANNIE LENNON   ---- University College London

Annie Lennon è una scrittrice il cui lavoro appare anche in Medical News Today, Psych Central, Psychology Today e altri punti vendita. Quando non scrive, è COO di Xeurix, una startup HR che valuta l'adeguatezza del lavoro da simulazioni di lavoro gamificate.

Fonti:  salute mentale basata sull'evidenza ,  EurekAlert!

mercoledì 27 maggio 2020

FRIGOLANDIA chiede aiuto !

Ricevo questa email ch segue dagli amici di Frigolandia e sono molto preoccupata, perché quanto qui essi denunciano rivela che nella nostra società che dovrebbe esser civile i livelli di civiltà minimi stanno scomparendo, e al rispetto dei diritti si tende a sostituire l'arbitrio, il sopruso e la prepotenza politica, tutte forme caratteristiche dei fascismi...

L'appello contiene anche il link a una petizione on-line che vi prego di sottoscrivere e condividere.
Grazie.
Alba Montori

Care amiche e amici,

ci scusiamo di dovervi disturbare con questa mail, ma è in atto una nuova persecuzione del Comune di Giano contro Frigolandia.
A marzo 2020, in piena emergenza coronavirus, la Giunta Comunale, invece di rivolgersi a un tribunale che avrebbe constatato la regolarità del nostro contratto di concessione e dei pagamenti relativi, ha emanato un’ordinanza di sgombero che ci costringe a un complicato e difficile ricorso al TAR o alla Presidenza della Repubblica.
Si tratta di una grave minaccia alla sopravvivenza della nostra/vostra Repubblica dell'Arte.

Vi preghiamo perciò di firmare e far firmare a più persone possibili l’appello che è stato lanciato su change.org contro questo scandaloso tentativo di sopprimerci.
Il link per firmare è il seguente:


Grazie e un saluto affettuoso da Frigolandia

--
Repubblica di Frigolandia
Località La Colonia/Montecerreto
06030 Giano dell’Umbria (PG)
Telefono: 0742 90570
Cellulare: 334 2657183
Sitowww.frigolandia.eu
Facebook:
Twitter:

venerdì 8 novembre 2019

Caro italian* , leggi attentamente il post. E leggilo tutto.

Caro italiano,

si è concluso il 3 novembre scorso in un clima di fraternità e unione il 9° Congresso italiano e il Consiglio generale del Partito Radicale che hanno adottato un documento politico che va ad affiancarsi alla mozione adottata dal 41° Co
ngresso. Il Consiglio ha inoltre eletto a proprio Presidente Makara Thhai, cambogiano, rappresentante in Italia della resistenza cambogiana in esilio, che ha già rappresentato il Partito alle Nazioni Unite.

Siamo consapevoli che ci aspetta una traversata nel deserto della censura e della disinformazione, dobbiamo quindi attrezzarci, riuscire a distinguere i miraggi dalle oasi, tracciare la strada da percorre e percorrerla.
Siamo consapevoli che lo Stato di Diritto è sotto attacco, la democrazia, la laicità, l'insieme dei diritti umani, civili sociali politici rischiano di non essere più le fondamenta della società, il faro che conduce nel porto sicuro della civiltà.
Noi continuiamo imperterriti a percorre un millimetro al giorno e lo facciamo con la consapevolezza e la determinazione che ci contraddistinguono.

Dopo tre giorni di congresso completamente censurato dai mezzi di informazione, siamo stati sbattuti con violenza su agenzie, giornali, televisioni, radio per la vicenda di un iscritto a Radicali Italiani coinvolto in fatti di mafia. Se fosse stato iscritto al Partito ce ne saremmo immediatamente assunti tutte le responsabilità, ma non vogliamo assolutamente consentire che la vicenda politica del Partito Radicale sia confusa con quella di Radicali Italiani.

In queste ore stiamo preparando un dossier che sarà inviato alle massime autorità dello Stato e sarà oggetto di denunce penali ed esposti all'ordine dei giornalisti.

Noi dobbiamo ricordare che la rottura tra radicali italiani, i suoi dirigenti e militanti e Marco Pannella con la maggioranza del Partito Radicale è avvenuto proprio sulla questione giustizia. Con Pannella che insisteva, e noi insistiamo, che la giustizia (con la sua infame appendice carceraria) è la più grande questione sociale del nostro tempo.

Abbiamo pagato cara la confusione ed è un prezzo che non ha ragione di essere pagato: negli scorsi anni decine di compagne e compagni hanno erroneamente versato l’iscrizione al Partito Radicale sui conti di Radicali Italiani, mentre non è accaduto l’inverso. Non ci interessa indagarne le ragioni: è un fatto politico che ha un risvolto anche economico, che non possiamo sostenere perché viviamo unicamente dei contributi degli iscritti.

Ricordiamo quindi che per iscriversi o contribuire al Partito Radicale è necessario versare il denaro unicamente sui conti intestati al Partito Radicale, online unicamente dal sito www.partitoradicale.it

Grazie, un abbraccio
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PARTITORADICALE.IT
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sabato 17 novembre 2018

LA SCHIAVITÙ INVISIBILE E IL BUSINESS DELLA PROSTITUZIONE

 CAMPIDOGLIO -  25 novembre 2018   H.9/18
Sala della Protomoteca 

  ore  9, 30 - 13, 00 

h. 9, 30 - 10, 30:  
Saluti e apertura dei lavori 
Introduce e coordina:
Gemma Guerrini,
Presidente della Commissione Capitolina delle Pari Opportunità

VIRGINIA RAGGI,
Sindaca di Roma Capitale

FLAVIA MARZANO,
Assessora di Roma Capitale per Roma Semplice e Pari Opportunità

LAURA BALDASSARRE,
Assessora di Roma Capitale per la Persona, la Scuola e la Comunità solidale

FABIO MASSIMO CASTALDO,
Vice Presidente Parlamento Europeo

Sono stati invitati

VINCENZO SPADAFORA,
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, delegato alle Pari opportunità, politiche giovanili e servizio civile universale

MARIA EDERA SPADONI,
Vice Presidente della Camera dei Deputati

 h. 10, 30 - 13, 00: Interventi

10, 30-ALESSANDRA MAIORINO
(Senato della Repubblica, Comm.ne tutela e promozione diritti umani),
Donne, prostitute e schiave? 

10, 45-FABIANA DADONE
(Camera dei Deputati, Comm.ne inchiesta mafie e associazioni criminali),
Mafie, migranti e tratta di esseri umani: nuove forme di schiavitù 

11, 00-MARIA GRAZIA GIAMMARINARO
(Relatrice Speciale ONU),
I diritti umani delle donne soggette alla tratta per fini di sfruttamento sessuale: politiche di prevenzione e di empowerment

11, 15-JACOPO MARZETTI
(Garante infanzia e adolescenza Regione Lazio),
Azioni a contrasto e prevenzione della prostituzione minorile 

11, 30-MONICA ROSSI 
(Ufficio Speciale Rom – Roma Capitale),
La trappola dell'etnicità: gabbia e risorse

11, 45-SUOR EUGENIA BONETTI
(Ass.ne “Slaves No More”),
Luci e ombre della donna africana tra passato e presente: aspetti socio-culturali e religiosi della donna nigeriana

12, 00-IRENE CIAMBEZI
(Ass.ne “Papa Giovanni XXIII”),
Tratta e differenze culturali: un approccio relazionale per la tutela delle vittime. L'esperienza di Apg23 

12, 15-ORIA GARGANO
(Presidente “Ass.ne Be Free”),
La tratta a scopo di sfruttamento sessuale: una violazione dei diritti umani

12, 30-ROBERTA PETRILLO
(Ass.ne “Save the Children”),
Piccoli schiavi invisibili. Minori vittime di tratta e grave sfruttamento in Italia 

12, 45-SANDRA ABBONDANDOLO
(Tutrice minori stranieri non accompagnati),
La legge n. 47/2017: l'esperienza del tutoraggio dei minori vittime di tratta

h. 13, 00 - Conclusioni GEMMA GUERRINI,
Presidente Commissione Capitolina delle Pari Opportunità

PAUSA 

TI AMO DA VIVERE  ore 14, 30 - 17, 00 

Introduce e coordina: FLAVIA MARZANO,
Assessora di Roma Capitale per Roma Semplice e per le Pari Opportunità

MARCO PICISTRELLI, Mostra fotografica sul femminicidio 

TANI NEFER, psicologa, Cos’è il femminicidio 

LOREDANA NABORRI, Letture di brani poetici 

DANIELA MOCCIA, interpretazione del monologo Nannarella di Giulia Ricciardi e del monologo Finché morte non ci  separi di  Francesco Olivieri
Le interpretazioni saranno accompagnate da brani musicali e intervallate da video realizzati da MARCO PICISTRELLI

martedì 6 novembre 2018

Le vittime secondo George Soros.

Dr. Rachel Ehrenfeld, 
Direttore del Centro americano per la democrazia di New York e il Centro per lo studio della corruzione e lo stato di diritto www.acdemocracy.org). È un'autorità sul movimento oscuro dei fondi attraverso i sistemi bancari internazionali e i governi per finanziare il terrorismo.

30/10/18 
su http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/22931


 Soros ha una lunga storia di ebrei umiliati e di sue donazioni di milioni a organizzazioni anti-israeliane e pro-palestinesi.

L'antisemitismo dovrebbe essere sempre condannato. Ma è piuttosto assurdo e ridicolo che un uomo che è ebreo per nascita, sia anche orgoglioso di crescere in una "casa antisemita", e di unirsi a un collaboratore nazista ungherese (un amico di suo padre), quando identificava le proprietà ebraiche per confiscarle, che spesso sminuisce gli ebrei e dà invece milioni a gruppi anti-israeliani, pro-palestinesi e BDS, mentre sostiene di essere una vittima dell'antisemitismo. Quell'uomo è George Soros.

Nella corsa alle elezioni di medio termine, la demonizzazione del Presidente Trump, dei repubblicani e di chiunque si oppone all'invasione di stranieri illegali senza documenti negli Stati Uniti, che le Fondazioni della Società Aperta di Soros stanno sostenendo in modo indiscusso, sta raggiungendo nuove vette nei Media della sinistra progressista  pro-Soros. L'opposizione a Trump sostiene addirittura che "la retorica anti-immigrazione di Trump potrebbe aver contribuito ad un aumento delle nascite premature tra le donne latine", quindi non sorprende che il figlio di Soros asserisca "la retorica antisemita e antidemocratica di Trump ha portato a una bomba spaventosa". "E il Washington Post e i politici democratici  che odiano Trump non hanno sprecato tempo pure per incolpare il Presidente, che sostiene Israele, e la cui figlia è un'ebrea osservante il cui marito ebreo è il suo fidato consigliere, anche per il tragico attacco antisemita che ha ucciso 11 Ebrei americani che pregavano nella loro sinagoga a Pittsburgh.

Ebreo di nascita, Soros è ben conosciuto per aver rinnegato la sua eredità ebraica per decenni, usandola solo quando sentiva di poterla sfruttare in un modo o nell'altro. E più sembra indulgere nella sua presunzione  di essere una vittima, più sollecita l'antisemitismo.

La scorsa settimana, quando Soros è stato il primo di quattordici destinatari - tutte le celebrità democratiche - di pacchi-bomba inviate da Cesar Sayoc, suo figlio Alexander, che è anche vice presidente delle sue Open Society Foundations, non ha perso l'occasione di accusare che suo padre sia stato ancora una volta vittima della demonizzazione antisemita, nazionalista-politica di Donald Trump. Questa affermazione è stata immediatamente raccolta dai media anti-Trump in patria e all'estero.

Tuttavia, Soros, che ha investito ingenti somme di denaro nella promozione di candidati presidenziali democratici americani, sperando di portare avanti la sua agenda progressista neo-socialista, a cominciare da Bill Clinton (che implementò alcuni, ma non tutti i piani del miliardario), ha una lunga storia di ebrei umiliati e di donazioni di milioni a organizzazioni anti-israeliane e pro-palestinesi.


Secondo Soros, sia Israele che gli Stati Uniti sono "vittime che si trasformano in attentatori".

Secondo Soros, sia Israele che gli Stati Uniti sono "vittime che si trasformano in attentatori".
Soros, in modo molto simile alla virulenta propaganda grafica quotidiana antisemita nei giornali arabi, sta comparando l'autodifesa di Israele contro i ripetuti tentativi di annientamento da parte dei terroristi islamici /arabi alle atrocità naziste. La difesa di successo contro terroristi e invasori, in particolare le azioni preventive degli Stati Uniti e di Israele, non sono mai appropriate nel libro di Soros.

La sua storia di come Israele ha combattuto per la sua indipendenza potrebbe essere stata scritta da Noam Chomsky, Yasser Arafat o dall'Ayatollah Ruhollah Khomeini.
"Dopo la guerra [Seconda guerra mondiale], gli ebrei hanno fatto ricorso al terrorismo contro gli inglesi in Palestina per assicurarsi una patria in Israele", scrive Soros in The Bubble of American Supremacy. "Successivamente, dopo essere stato attaccato dalle nazioni arabe, Israele ha occupato territori addizionali ed espulso molti degli abitanti. Alla fine, le vittime arabe sono diventate a loro volta attentatori, e Israele ha iniziato a subire attacchi terroristici. "Sopravvivendo alla violenza arabo / musulmana in tutti questi anni e difendendosi, gli ebrei israeliani hanno portato tutti questi problemi su se stessi". Gli ebrei israeliani nella mente di Soros stanno ottenendo ciò che meritano .

Quando gli Stati Uniti invasero l'Iraq all'indomani degli attacchi dell'11 settembre, il presidente Bush ... si sentì obbligato a prestare attenzione al suo collegio elettorale [cristiano-fondamentalista], [che] stabilendo una forte presenza militare in Iraq avrebbe aiutato a trasformare l'aspetto politica del intera regione. Ciò rassicurerà  Israele e indebolirà gli estremisti palestinesi ", ha scritto nell'Atlantico, nel dicembre 2003.

Secondo la biografia non autorizzata di Robert Slater, che riporta anche come il Soros dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, "trasmetteva" quando gli altri bambini gli dicevano: "Non sembri ebreo". Più recentemente, come è aumentata  l'opposizione dei suoi ben finanziati l'agenda politica per un mondo socialista progressista globalista - in particolare il sostegno all'immigrazione clandestina in Europa e negli Stati Uniti -, così sono aumentate le sue accuse secondo cui i suoi oppositori sono antisemiti. Ha anche intentato una causa contro il governo ungherese per una nuova legge che abolisca il sostegno agli immigrati illegali, affermando che la legge mina la democrazia e stabilisce un "pericoloso precedente". Questo, dopo aver condotto una massiccia campagna politica di tre anni per forzare il suo "Open-Society”  "e la visione delle frontiere aperte in Ungheria.

Frustrato dai suoi falliti tentativi di sconfiggere il Partito Fidesz ungherese, la rielezione del suo leader e antagonista maggiore Viktor Orban, come primo ministro, e le nuove leggi per frenare l'influenza politica di Soros attraverso la sua OSF e la sua Università dell'Europa centrale. Soros ha condotto una massiccia campagna di propaganda per denunciare Orban e il suo governo, lamentando che si oppongono al suo ordine del giorno solo perché è ebreo. Mentre l'antisemitismo non è nuovo in Ungheria o altrove, le accuse di Soros e le dichiarazioni di vittimismo hanno fatto molto per aumentare e banalizzare il problema.

Una legge d'opposizione che limiti l'immigrazione legale e illegale è stata una causa in cui Soros ha iniziato a investire già nel 1996, quando ha stanziato 50 milioni di dollari per fondare il Fondo Emma Lazarus. L'organizzazione è stata successivamente inserita nelle sue Open Society Foundations, che hanno finanziato direttamente e indirettamente molti altri gruppi che sostengono l'immigrazione clandestina negli Stati Uniti e altrove. Nel 2015, durante l'amministrazione Obama, la sua OSF ha investito 8 milioni di dollari per sostenere gli sforzi volti a massimizzare le applicazioni di successo per gli Arresti differiti per l'infanzia (DACA) e Azioni differite per genitori di americani e residenti permanenti legittimi (DAPA) e milioni di dollari in più nel fornire supporto legale agli stranieri illegali, su come aggirare le leggi statunitensi.

Soros, con la sua vasta rete ben finanziata, fa campagne pesantemente e in modo vistoso contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e i suoi piani per fermare l'immigrazione clandestina. Soros lo fa perché detesta il 45 ° presidente degli Stati Uniti ". L'ho descritto come uno scherzo, un imbroglione e un possibile dittatore,  ha detto Soros a Svenska Dagblade, un quotidiano svedese, nel gennaio 2017, a Davos. "Ma è solo un possibile dittatore", ha aggiunto.

Il libro Soros su Soros del 1995 contiene un indizio sul suo modo di pensare: "Non accetto le regole imposte da altri ... Riconosco che ci sono regimi che devono essere contrastati piuttosto che accettati. E in periodi di cambio di regime, le normali regole non si applicano ". Chiaramente, Soros si considera come qualcuno in grado di determinare quando le" normali regole "dovrebbero e non dovrebbero applicarsi. Chi si oppone a lui lo ritiene antisemita.

Ormai dovrebbe essere evidente che Soros è fedele solo a se stesso. La sua enorme ricchezza gli ha permesso di comprare politici e influenzare la politica interna e internazionale, che avanza attraverso una miriade di organizzazioni. La religione in cui è nato, che egli disdegna, non ha nulla a che fare con le sue azioni politiche. Egli personifica questo programma e dovrebbe essere ritenuto responsabile dei suoi sforzi per forzare il suo piano globalista e neo-socialista negli Stati Uniti, in Israele e in una miriade di altri paesi. Riconoscere la sua ingerenza non ha nulla a che fare con l'antisemitismo. Ma puoi sempre contare su di lui per rivendicare la vittima e banalizzare l'antisemitismo.


lunedì 10 aprile 2017

ANCORA A PROPOSITO DI LEGITTIMA DIFESA

Non si placano le discussioni e, magari, gli alterchi, sulla questione della legittima difesa.
E’ difficile che, allo stato delle cose, si arrivi ad una qualsiasi soluzione legislativa non dico del problema in sé, che per taluni versi è insolubile, come sono insolubili, almeno per legge, le questioni di coscienza e quelle relative a situazioni di cui coscienza ed incoscienza e mille altri sempre diversi particolari fanno un intricato campionario, ma neppure di qualche suo più rilevante ed immediato aspetto. Una soluzione che abbia, almeno il marchio della ragionevolezza e quindi, in primo luogo, di una qualche utilità per le persone dabbene e per la società.
Il problema, infatti è “altrove”. Non è tanto nel codice penale, quanto in quello di procedura penale e nella prassi e negli andazzi del modo di amministrare la giustizia da parte dei magistrati.
Qualcuno direbbe: nella obbligatorietà dell’azione penale. Ma questa è già una distorsione. Obbligatorietà, obbligo, sono concetti senza senso se non nella loro relatività. Obbligo: quando? in quale situazione?
Nel nostro Paese, che se altrove le cose vanno meglio non so se sia motivo di rallegrarcene o dolercene, l’obbligatorietà dell’azione penale è un pretesto per giustificare di tutto. Come se tale principio comportasse che sempre e dovunque si debba mettere in moto la cosiddetta macchina della giustizia, quanto meno per vedere se e come si possa fare a meno di evitare di farvi ricorso così che tutti debbano essere imputati di tutto, almeno quel tanto che giustifichi i padroni della giustizia di dimostrarsi tali. Ma è discorso troppo ampio (e, quindi, vago) per farlo qui ed ora.
Ci sono però aspetti di questa contesa che sarebbe bene non dimenticare se si vuole avere, almeno, una piattaforma di ragionevolezza su cui muoversi e discutere.
C’è indubbiamente chi si compiace di immaginare reazioni, pronte severe e fortunate delle vittime di furti, aggressioni, rapine, stupri. Anzi, si può dire che in tutti noi, in tutte le persone dabbene c’è una più o meno vaga reazione psicologica di fronte ad ogni sopraffazione, che vorrebbe ristabilire l’equilibrio delle sensazioni, dandoci la soddisfazione di vedere il cattivo bastonato ed impallinato, costretto a guaiti di pentito dolore. Le cose non vanno mai così. O molto, molto, raramente.
C’è chi, invece, ubbidendo ai dettami di una sottocultura che imita la fede, almeno per gli altri, nel dogma di una non violenza altrettanto fantasiosa e pericolosa, è pronto a vedere una vittima solo nell’ultimo che va a prendersi una pallottola o una legnata ed un bruto nell’ultimo che impugna un’arma o un bastone.
Io mi limito a dire che vedo nella seconda ipotesi una componente di ipocrisia più odiosa e sciocca di quanto non sia l’atteggiamento un po’ sadico dei sostenitori della prima.
Certo è che delle vittime dei delitti e dei soprusi da chi dovrebbe perseguirli, assai poco si tende a tener conto, al paragone di altre esigenze.
Così mi viene alla mente una ancor più grave forma addirittura di sadismo nei confronti delle vittime di gravissimi delitti.
C’era, spero di non sbagliare usando il tempo passato, l’ignobile forma di ironia, la diffidenza verso la donna violentata, alla quale spesso si rimproverava di non essersi “saputa difendere”. Ma penso anche all’obbrobrio sostenuto da vari mafiologhi e praticato, ad esempio da quella accolta di galantuomini che è Sicindustria, la Confindustria siciliana, di considerare poco meno di un reato (ma c’è pure chi pretende che reato dovrebbe essere considerato) il pagamento del pizzo da parte dei taglieggiati dalla mafia.
Si tratta delle vittime di brutali estorsioni che hanno subìto minacce alla persona, a quella dei familiari, alla propria azienda, ai propri beni ed hanno dovuto sottostare al minor male: pagare.
C’è chi, magari comodamente fornito della possibilità di trarre profitto indirettamente da questi vergognosi sistemi di latrocinio, vuole che chi paga sia processato e condannato per “resa in campo aperto di fronte al nemico” come si scrive nei codici militari. E questi mafiologhi, professionisti dell’antimafia, uomini di subcultura, sono, magari, gli stessi che si fanno paladini del rigore della legge e, soprattutto della prassi giudiziaria persecutoria di chi spara ad un rapinatore.
Un’ultima considerazione. C’è una orribile cavolata nella formulazione dell’art. 52 uscita dalla ridicola modifica del 2004. E la cavolata si ripete in un po’ tutte le proposte di “miglioramento” di quell’articolo: perché la difesa sia legittima l’arma usata per difendersi deve essere “legittimamente posseduta”. L’ipocrisia legalitaria è al culmine.
Pensate un po’: tizio ha due pistole una regolarmente denunziata l’altra no. Se un rapinatore vuole accopparlo deve scegliere quella giusta per difendersi.
Chi lo difende dagli imbecilli?

Mauro Mellini 
10.04.2017

domenica 14 febbraio 2016

Il caso “La Zanzara” a mezzo secolo di distanza.

Da Arcipelago Milano ricevo questa interessante analisi di un caso che non solo appassionò, ma provocò in Italia una sorta di guerra che considerai già allora "incivile" ( premessa al cosiddetto"68"), tra le generazioni, ma più che altro tra clericali (moralisti e sessisti) e laici (un po' meno sessisti) in senso letterale e lato. Per alcuni versi essa può apparire simile a quanto sta accadendo in questi ultimi mesi nel paese, nei media, ma soprattutto tra i partiti politici, sulla questione della legislazione sul "matrimonio paritario" ovvero sull'unione civile tra omosessuali.
Però a ben vedere la questione allora fu assai diversa, anche se comunque legata all'endemico sessismo stratificato a tutti i livelli, e segnò una interessante discontinuità nella "moralità pubblica e privata" del popolo italiano, che evidenziò in modo inequivocabile come le leggi ancora vigenti, create e in vigore dall'epoca fascista, erano inevitabilmente in rotta di collisione con la Costituzione della Repubblica e si sarebbe dovuto affrontare prima o poi il nodo della loro abolizione o modifica.

Nel 1966, già in possesso di maturità scientifica, ero a 19 anni in lizza per la mia seconda maturità, che doveva interrompere definitivamente il mio percorso di studio scientifico, che non avevo i mezzi finanziari per proseguire ma per il quale mi ero preparata per cinque lunghi e difficili anni. La scelta, praticamente obbligata, era stata dura e comunque impegnativa, anche se fatta in piena consapevolezza, riprogrammando il percorso nel senso della mia "seconda natura", quella artistica, che mi offriva possibilità di lavoro più immediate e anche abbastanza gratificanti sul piano personale e politico oltre che su quello strettamente economico.

 Già da tre anni facevo attivismo volontario per la sessualità libera, consapevole, responsabile con l'AIED e apprendistato all'interno di formazioni politiche istituzionali e non, di partito e studentesche; quell'anno in particolare lo vissi come se vivessi diverse vite assieme: una di lavoro ( per una multinazionale che mi lasciava libera di stabilire e organizzare la produzione), una di studio ( tra biblioteche, Accademia di BB AA, lezioni, Università e pittura), una sociale ( coltivavo non so come diverse relazioni amorose fisse e mobili, e amicizie varie), una politica (tra gruppi di partiti e associazionismo vario, formazioni politiche studentesche ecc.). Non mi rimaneva molto tempo per dormire e mangiare, anzi quasi nulla, ma riuscivo a fare tutto ciò e persino a mandare avanti la casa, con mia madre che era sempre più ammalata e mio padre che continuava a lavorare.
La questione sollevata dal caso del giornale studentesco "La Zanzara" per me come per i miei coetanei appariva come una palese ingiustizia, segno inequivocabile di quanto le istituzioni fossero retrograde e repressive e pure piuttosto incolte, incivili, insomma. E presto le discussioni in famiglia sull'argomento divennero destramente evitate, data l'incomunicabilità diffusa e la palese ipocrisia messa in campo da quasi tutti i genitori e parenti vari. Anche le proteste pubbliche degli studenti furono piuttosto contenute, rispetto alla gravità dell'argomento...

Poi a novembre di quel 1966 ci ritrovammo casualmente (?) in centinaia di quegli stessi studenti a tirare fuori dal fango dell'Arno straripato chilometri di archivi e documenti della nostra Storia con la esse maiuscolissima. A salvare la nostra storia dall'alluvione, faticando accampati alla meglio tutti assieme appassionatamente, senza troppe distinzioni di sesso.
E diventammo gli "angeli del fango ", avevamo dimostrato senza ombra di dubbio di essere gente adulta e responsabile, contro l'ipocrisia di chi ci voleva eternamente minorenni da controllare.

Per me e per gli altri angeli nei mesi seguenti si aggiunse alle mie quattro vite e mezza un po' di vita in più spesa all'Archivio di Stato all'Eur a restaurare coi pochissimi mezzi disponibili i chilometri di carte salvate dal fango dell'Arno che nel frattempo stavano ammuffendo alla grande...

Ecco, questo articolo mi ha riportato alla memoria quell'anno convulso, in cui il "Caso Zanzara" divenne il fulcro di una lotta di libertà, sessuale come di opinione, di coscienza, di parola, proprio mentre nel frattempo si consumava l'orribile vicenda giudiziaria del processo ad Aldo Braibanti, che si concluse proprio, guarda caso, nel 1968 con la sua condanna per un reato che non esiste nella Costituzione.

Certo, l'applicazione della Costituzione ha rappresentato per ormai quasi settant'anni un obbiettivo costantemente messo in forse da leggi  precedenti al 1945 ancora in vigore, che la Corte Costituzionale ha continuato a dimenticare di abrogare, di cancellare, tradendo il suo compito, e che i cittadini hanno tentato di abolire con referendum puntualmente traditi dalla partiti al potere, quegli stessi partiti al potere che hanno costantemente cercato di stravolgerla con la scusa di "riformarla" anziché applicarla.

Naturalmente per far funzionare davvero le cose in modo veramente democratico sarebbe stato necessario all'indomani della Costituente avere il coraggio di abrogare tutte le leggi precedenti, sopra tutto quelle varate nel ventennio, ma il Parlamento repubblicano, quello votato per la prima volta nella storia italiana a suffragio universale, quello dei partiti politici che ancora esistono, anche se magari hanno cambiato nome, questo coraggio non lo ebbe. E ancora oggi continuiamo a pagare le conseguenze di questa scelta pavida e scellerata.


      Alba Montori

***Il caso “La Zanzara” e l’offesa al “costume morale comune”


by Stefano Rolando

“Il 14 febbraio del 1966 il giornale degli studenti del Liceo Parini di Milano La Zanzara pubblicava un’inchiesta (condotta da Marco De Poli, Marco Sassano e Claudia Beltramo Ceppi) che si intitolava “Un dibattito sulla posizione della donna nella nostra società, cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e del sesso“.  Nell’inchiesta – che oggi verrebbe considerata “innocente”, ma che al momento costituì forte discontinuità in materia di dibattito pubblico giovanile e ancor di più in materia di diritto di parola nell’ambito scolastico – emersero le moderne opinioni di alcune studentesse del liceo sulla loro educazione sessuale e sul proprio ruolo nella società.
L’associazione cattolica … Gioventù Studentesca protestò immediatamente per “l’offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune” in quanto non solo uno degli argomenti trattati (l’educazione sessuale) veniva considerato “osceno”, ma anche perché le intervistate erano tutte minorenni. Il quotidiano milanese del pomeriggio Il Corriere Lombardo spalleggiò questa protesta aprendo anche una vertenza mediatica attorno al caso. La polemica si trasferì in denunce e la discussione divenne un caso giudiziario.
Scoppia il caso a Milano e in Italia. Il 16 marzo 1966 i tre redattori vennero accompagnati in Questura e denunciati. Il giudice Pasquale Carcasio invitò i tre studenti, seguendo una legge del 1934, a spogliarsi “per verificare la presenza di tare fisiche e psicologiche“. Reso noto quanto accaduto, scoppiò un putiferio. Il coordinamento della stampa studentesca milanese … promosse una mobilitazione delle testate studentesche della città e quindi degli studenti medi a difesa dell’operato dei loro colleghi. Per la prima volta dal tempo della Resistenza gli studenti delle scuole superiori milanesi proclamarono quattro giorni di sciopero. Dibattiti e manifestazioni avvennero a Milano, in Lombardia e in molte altre città italiane.
Il caso de La zanzara a questo punto rimbalzò sulle cronache nazionali, dividendo prima la città poi l’intero paese. Il Corriere della Sera cercò di barcamenarsi ma diede sostanziale spazio alle voci di chi gridò allo scandalo. Così che L’Espresso (con articoli di Camilla Cederna, Eugenio Scalfari, Carlo Gregoretti e altri) guidò l’altro fronte. Larga parte della Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano costituirono il “partito della colpevolezza“, mentre la sinistra e i cattolici progressisti intervennero in difesa degli studenti. Interrogazioni furono firmate da parlamentari di tutti i gruppi nei due rami del Parlamento.
Al processo parteciparono oltre 400 giornalisti, molti dei quali provenienti dall’estero. Memorabile l’arringa del PM Oscar Lanzi che paragonò i tre studenti a promotori del sesso sfrenato “come girassero per i corridoi della scuola con un materasso legato alla schiena”. Accusati erano i tre studenti, ma anche il preside del Liceo Parini Daniele Mattalia e la titolare della tipografia di Via Boscovich 17, Aurelia Terzaghi, dove si stampava La Zanzara e anche il giornale degli studenti del Carducci Mr. Giosuè. Il collegio di difesa fu assicurato gratuitamente dai maggiori penalisti del tempo: Giacomo Delitala, Alberto Dall’Ora, Alberto Crespi, Giandomenico Pisapia, Carlo Smuraglia, Enrico Sbisà.

La sentenza. Il 2 aprile 1966 la sentenza pronunciata dal presidente Luigi Bianchi D’Espinosa assolse i tre studenti dall’accusa di stampa oscena e corruzione di minorenni. La sola titolare della tipografia ebbe un’ammenda. La Procura ricorse in appello e chiese la legittima suspicione per Milano, così che il processo venne replicato a Genova. Anche il processo di Genova confermò poi l’assoluzione. La Zanzara tornò ad essere pubblicata e tutti i giornali studenteschi milanesi ripresero il loro ruolo ………”.***


estratto da ArcipelagoMilano  del 10 febbraio2016