Da
Valter Vecellio
04-12-2013
“I Mauro non erano usurai. Ci sono voluti quasi nove anni di processo per stabilire quello che una perizia del tribunale aveva già accertato un anno e mezzo fa: in nessuno dei 60 casi contestati alla Caffè Mauro di Campo Calabro, hanno stabilito i giudici di Reggio Calabria, c’è mai stato il benché minimo tasso di usura. Nel frattempo loro hanno dovuto cedere l’azienda, devastata nell’immagine in tutto il mondo”.
Cos’è mai accaduto, e soprattutto, come è potuto accadere?
Partiamo dai nove anni serviti per arrivare al processo (peraltro di primo grado). Gli stessi Mauro, per accelerare i tempi, avevano chiesto il rito immediato. Quell’accusa di essere strozzini, proprio se la volevano scrollare di dosso. Onorabilità, ma anche affari:
“…la Caffè Mauro, quando l’inchiesta cominciò, era un cavallo da corsa da 20 milioni di euro di fatturato l’anno, nota pure in campo sportivo, come sponsor di Italia ’90, Reggina Calcio e sponsor tecnico della Juventus. Probabilmente l’unica realtà internazionale di Reggio...”.
A questo punto, meglio di tutto è lasciare la parola a Maurizio Mauro:
“…Mi trovavo a Zanzibar. Mi telefonarono dicendo che mio padre era stato arrestato. Che cercassero pure me lo scoprii invece da internet. E rientrai subito… Sostanzialmente, per i magistrati che li accusano, lui e suo padre avrebbero prestato denaro ai locali anche se non potevano farlo. E soprattutto lo avrebbero fatto a tassi usurari. “I marchi di caffè, come quelli della birra e dei gelati, lavorano con i bar – spiega uno dei legali del pool difensivo, Fabio Schembri. Capita che qualcuno di questi, oltre alla fornitura di caffè, chieda un prestito per rinnovare i locali, in cui aggiungere l’insegna pubblicitaria, le tazzine del marchio o una macchinetta in comodato. Accade pure oggi, ovunque. Al tempo, però, pochissimi marchi si dotavano di finanziarie per fare i prestiti. Anche perché già nel 1999 l’Associazione Nazionale Torrefattori aveva chiesto un parere alla Direzione Generale della Concorrenza della Commissione delle Comunità Europee: e per quest’ultima poteva essere la ditta stessa a erogare il prestito”.
Niente da fare. La procura di Reggio Calabria contesta questa tesi difensiva, sostiene che “Caffè Mauro” quei prestiti non li poteva fare, perché non era una banca; in particolare contesta i tassi di interesse, ritenendoli da usura. Scattano i provvedimenti cautelari: Maurizio agli arresti domiciliari, il padre in carcere, per 39 giorni.
“…La notizia fa il giro del mondo, ma subito dopo l’accusa vacilla paurosamente: l’unico, infatti, che aveva denunciato Maurizio per usura, si era dimenticato di aver beneficiato di un secondo prestito, cosa che fa crollare i tassi d’interesse calcolati. E il Riesame manda fuori Antonio per “insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: di usura non c’è traccia in nessuno dei sei casi a lui contestati”.
Finita qui? No. I “casi” contestati dalla procura si moltiplicano, fino a diventare una sessantina.
“A me pareva surreale. I clienti finanziati erano meno dell’1 per cento, un’inezia del fatturato. Addirittura la finanza che svolgeva le indagini solo quattro anni prima aveva controllato tutta la nostra attività dal 1991 al 2001: e risultava tutto in regola, compresi quelli per cui ora ci accusavano. Ma non poteva che essere tutto in regola: i prestiti partivano dai conti correnti dell’azienda e andavano su quelli dei bar. Contabilizzavamo pure gli interessi”. Dei 60 casi “usurati”, solo sei infatti si costituiscono parte civile. I testi del PM arrivano in aula e ricordano i tempi in cui Antonio Mauro salvò il loro bar. Pare grottesco. Ma il “meglio” deve arrivare. “Il consulente dell’accusa, in un prestito di circa venti milioni di lire, rilevò un tasso “usurario” del 68.960.000 per cento! In aula sostenne che “tendeva all’infinito”. Praticamente il debito pubblico italiano. Improbabile. Ma per questa consulenza viene chiesta una liquidazione di 518 mila euro”.
I difensori di Maurizio si oppongono, la cifra si riduce a 57mila euro. E non è neppure finita, perché anche il tribunale nomina un suo perito; che stabilisce che in nessuno dei 60 casi c’è qualcosa di configurabile come usura: i tassi ballano intorno all’8-10 per cento, talvolta sono pari allo 0-0,5 per cento, chiedete in banca e vedete che vi rispondono…
La perizia viene depositata il 19 gennaio 2012. Il processo poteva finire lì. Invece occorrono ancora quasi due anni prima che i giudici stabiliscano che non c’è mai stata usura; gli ex proprietari dell’azienda vengono assolti: i Mauro sono stati tuttavia condannati a 4 anni, dei quali 3 indultati, per associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo del credito: e cioè perché, come il 99 per cento delle grandi aziende dell’epoca, non utilizzarono per i prestiti una finanziaria, ma li fecero autonomamente. “In appello questa accusa cadrà”, dicono gli avvocati della difesa, confidano che proprio l’Associazione di categoria e la commissione europea abbiano ritenuto inutile la costituzione di una finanziaria. Una condanna senza la quale, probabilmente, i Mauro avrebbero potuto chiedere i danni allo Stato per decine di milioni di euro. Invece difficilmente si arriverà ad un secondo grado: per la buona ragione che il 17 dicembre i reati andranno in prescrizione.
Giornalista professionista,
attualmente lavora in RAI. Dirige il giornale telematico «Notizie
Radicali», è iscritto al Partito Radicale dal 1972, è stato componente
del Comitato Nazionale, della Direzione, della Segreteria Nazionale.
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