1963 – 2013 cinquant'anni di lotte radicali con la nonviolenza, con chiunque e ovunque nel mondo per il diritto alla vita e la vita del diritto
Nel 1963 il Partito Radicale fondato nel 1955 si era dissolto, travolto dalla crisi della sua classe dirigente. Il gruppo di Sinistra Radicale guidato da Marco Pannella decise di assumersi la responsabilità di continuare a far vivere le idee fondanti di quel partito, dando loro nuovo corpo in lotte coerenti e puntuali. Era un gruppo di un centinaio di persone: oltre a Pannella poteva contare, come militanti, su Gianfranco Spadaccia, i fratelli Giuliano e Aloisio Rendi, Sergio Stanzani, Massimo Teodori, Mauro Mellini, Franco Roccella, Angiolo Bandinelli, Franco Sircana, Stefano Silvestri... pochi altri.
I primi semi del programma di quel gruppo si possono però rintracciare già nel 1960: Marco Pannella e Giuliano Rendi presentano al Consiglio Nazionale quattro mozioni che si occupano dei rapporti con il mondo cattolico e dell'art. 7 della Costituzione, dei rapporti con il Psi, dell'insurrezione ungherese del 1956, del disarmo atomico e convenzionale. Sono temi a carattere anche internazionale, non dettati dalla cronaca ma proiettati nel futuro. Risalendo ancora più indietro, nel Consiglio Nazionale del giugno del 1956 si trovano echi dell'iniziativa dei radicali vicini a Marco Pannella. Nella sua lunga replica al dibattito, Leo Valiani ricorda: "Quando l'amico Pannella ci dice di stare ai nostri ideali, dice il vero..."
Il nuovo gruppo dirigente del Partito mostrò subito di voler far crescere e fruttificare quei semi, quelle tracce. Grazie a un durissimo autofinanziamento poté avviare importanti iniziative giornalistiche e giudiziarie, mettendo in luce le prime forme di illecito finanziamento pubblico ai partiti. Aprì contatti politici con forze alternative. Rafforzò ulteriormente il legame con Ernesto Rossi, maestro e faro. Al fragile ma combattivo partito aderiva tra gli altri, assumendo la responsabilità di Presidente del Consiglio Nazionale, Elio Vittorini, protagonista di una violenta polemica con Togliatti. Iniziava anche, in occasione delle elezioni del 1962 un dialogo con Pier Paolo Pasolini. Di lì a poco, si sarebbe aperta la grande stagione del divorzio.
"voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare."
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La forza di quei giovani fu nell'aver avuto fiducia nelle loro idee: "La durata è la forma delle cose", fu il loro motto. Oggi come ieri, nel lontano giugno 1956 , l'imperativo del Partito radicale è di stare fermo ai propri ideali e programmi, i soli storicamente necessari al Paese. E su di questi costruire le nuove, urgenti battaglie. Urgenti e necessarie. E' in momenti di crisi come quella in corso - in Italia come in Europa - che affiorano gli istinti più conservatori, che si pensa di rifugiarsi in politiche nazionaliste e protezioniste antiliberali, antilibertarie e antiliberiste, sempre prodromi di populismo e di sistemi politici illiberali, anti Stato-di-diritto. Ma è in questi momenti che occorre tenacia e fermezza, anche nell'apparente, difficile isolamento. Un deputato radicale salentino - un luminare dell'economia liberista, promotore della lega antiprotezionista italiana - Antonio De Viti De Marco, fu uno dei 13 professori universitari che si rifiutò di giurare fedeltà al regime fascista: si dimise dall'Accademia dei Lincei e respinse la proposta di Mussolini di essere nominato senatore. Un suo allievo, Gaetano Salvemini, commentò: "L'Italia fece a meno per venti anni di quell'uomo, come se di uomini come quello ne avesse da sprecare". Ernesto Rossi, a sua volta allievo di Salvemini, pagò le sue lotte contro il regime con una condanna a venti anni di reclusione, dei quali nove scontati in galera e quattro al confino nell'isola di Ventotene. Ed è durante il confino - quando l'Italia era nelle mani di Mussolini, Germania, Austria, Polonia e Francia erano in quelle di Hitler, la Spagna in quelle di Franco e il Portogallo in quelle di Salazar - che assieme ad Altiero Spinelli e a Eugenio Colorni scrisse il "Manifesto di Ventotene per gli Stati uniti d'Europa" piantando le basi del federalismo europeo. Loro - isolati e inermi dinanzi al fascismo trionfante - progettavano il futuro dell'Europa.
Nel 1985 Altiero Spinelli, pochi mesi prima di morire, a Firenze, ammoniva il Congresso del Partito radicale:
"Non c'è grande problema che possa essere ancora affrontato seriamente con criteri e con strumenti nazionali. (…) Sappiate dunque assumere questa azione portando in essa il vostro fervore ad anche il vostro grano di follia."
Sì, per i forti l'isolamento diventa un grande stimolo alla lotta, alla resistenza.
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Il richiamo alla storia delle lotte attraverso le quali si identifica, si costituisce e costruisce il Partito è giocoforza parziale: troppo lungo è l'elenco delle vicende affrontate, la lista delle persone che in mezzo secolo di vita hanno attraversato le sue idee, le sue parole, le sue lotte, arricchendole ma anche arricchendosene. E' una ininterrotta testimonianza di vita - non di mera sopravvivenza - che approda all'oggi. Tanta forza, tanta straordinaria durata fu resa possibile perché alimentata dalle iniziative nonviolente.
Che Partito saremmo se non ci fosse stata la scelta del metodo nonviolento gandhiano? E' una scelta che, maturata e approfondita attraverso le esperienze che abbiamo fatto in comune - con la costante partecipazione e attiva riflessione di Marco Pannella - ci porta a poter parlare di uno specifico nonviolento pannelliano, come approfondimento politico di quello gandhiano.
Ma anche: che Partito saremmo se non avessimo fatto la scelta transpartita (CHIUNQUE può iscriversi al Partito, è sufficiente che paghi la quota annuale di iscrizione) e se vent'anni fa non avessimo approfondito il connotato transnazionale sancendo che i diritti umani fondamentali sono tali OVUNQUE nel mondo?
Cinquant'anni di lotte - alcune vinte altre perse per sconfitta, mai per abbandono - sempre coerenti con le scelte fatte in anni lontanissimi da quel primo gruppo della "Sinistra Radicale". Solo questa "costanza della ragione" poteva ottenere le vittorie - le uniche vere riforme popolari italiane - del divorzio come dell'aborto, del diritto all'obiezione di coscienza come del voto ai diciottenni; e, a livello planetario, del tribunale penale internazionale o della moratoria sulla pena di morte e della lotta contro le mutilazioni genitali femminili. Altre iniziative tuttora in corso - quella per il diritto alla verità quale diritto umano fondamentale e quella per "Iraq libero", caposaldo della lotta per la democrazia nel mondo - si comprendono appieno solo nell'ambito di questa continuità.
Coerentemente, al centro dell'attenzione e dell'iniziativa resta la situazione italiana, il "Caso Italia": il caso di un paese considerato - per convenzione - democratico ma che viene invece costantemente e ripetutamente condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per violazione dei diritti umani fondamentali, tanto che il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha scritto che in Italia, a causa delle lentezze giudiziarie che la affliggono sin dagli anni '80, è in serio pericolo lo Stato di diritto. Questi riscontri concreti, oggettivi, sono prova anche istituzionale della fondatezza della analisi sulla base della quale abbiamo costruito un pensiero e le conseguenti lotte.
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Il Partito Radicale dunque, nella fedeltà alla sua storia, c'è e continua a lottare. Contro il Regime. Nel 1960, Mario Boneschi, Leopoldo Piccardi ed Ernesto Rossi scrivevano, presentando un Convegno degli "Amici del Mondo":
"i regimi oggi avanzano a passi felpati, senza teste rotte, sedi distrutte, omicidi e campi di concentramento: non ripudiano la legge, la violano in silenzio. Nella loro fase potenziale lasciano funzionare alcuni istituti democratici, ma li vanno svuotando di ogni forza e di ogni linfa vitale con l'isolarli e privarli delle necessarie articolazioni. (…) In Italia la Costituzione è rimasta come un edificio al rustico; privata delle sue articolazioni democratiche, la Repubblica ha mantenuto la struttura centralizzata e autoritaria del vecchio Stato fascista e prefascista, le istituzioni sono avvolte in un'atmosfera di discredito e di sfiducia (…)."
Oggi possiamo dire, con certezza e rigore scientifico, che siamo in pieno dentro il regime da loro denunciato ed anche - con legittimo orgoglio - che chissà dove saremmo se non ci fosse stata la nostra presenza attraverso cinquant'anni di lotte nonviolente, 110 referendum che ancora oggi rappresentano il programma riformatore necessario al Paese, la costante fedeltà e il richiamo continuo al progetto di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi per gli Stati Uniti d'Europa.
Tutto ciò è stato possibile grazie alle caratteristiche proprie del Partito radicale, un partito libertario nelle sue politiche, nella sua organizzazione, nel suo metodo. Libertario, cioè aperto a chiunque versi la quota di iscrizione, senza possibilità di essere espulso. Non esistono al mondo analoghe esperienze politiche organizzate che abbiano resistito - lottando! - mezzo secolo. Anche i partiti che si definiscono democratici si riservano il diritto di sindacare sull'adesione e sulla permanenza: in quei partiti non ci si iscrive ma si fa "domanda di iscrizione", e ci sono organi di "garanzia" che possono decidere l'espulsione dell'iscritto. Da noi, chiunque si può iscrivere e non fa più parte del partito solo se decide di non iscriversi più.
Il Partito Radicale è fondato unicamente sulla responsabilità personale. Ed è solo la felice assunzione di responsabilità personali da parte di molti che ci ha consentito di fronteggiare - senza restarne travolti - il drammatico contesto storico-politico nel quale ci troviamo ad operare e che con il tempo si è via via aggravato ai nostri danni: noi dobbiamo scomparire, dobbiamo essere cancellati, la gente non deve sapere della nostra esistenza. Al posto di noi, unica forza realmente alternativa, i media fabbricano ed esibiscono figure e forze che possono strillare ed agitarsi ma sono in realtà subalterne e complici. Appare perfino incredibile: sono decine le decisioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che hanno condannato le Tv pubbliche e private e hanno loro richiesto di riparare alla mancanza di informazione, alla censura delle iniziative radicali, e di Marco Pannella in particolare. In nessun altro Paese sarebbe accaduto che queste sentenze restassero inattuate. Non v'è dunque dubbio su quanto noi asseriamo, cioè che l'Italia sia un problema mondiale, in quanto viola i diritti umani fondamentali e per questo è costantemente condannata dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo. Le difficoltà economiche, che indubbiamente ci sono, vengono utilizzate come alibi per mettere in secondo piano e ulteriormente chiudere gli spazi di democrazia, di libertà e di alternativa. Per restituire al paese le basi di una vita civile e politica davvero democratica si impone dunque con urgenza la necessità di proseguire o, se si vuole, tornare alla nonviolenza come necessario e unico metodo di lotta. Non ci sono scorciatoie possibili; abbandonarvisi sarebbe una illusione, fonte di ulteriori frustrazioni. Solo la forza delle idee, delle scelte e quindi delle determinazioni personali può costituire un argine, una resistenza al peggio, un peggio che potrebbe sfociare nella negazione istituzionale del diritto alla verità, dello stato di diritto e della democrazia, degli Stati Uniti d'Europa. Il Partito radicale ha bisogno, oggi come non mai, del sostegno di tutte e di tutti - del Tuo sostegno, quindi, per primo - per tenere viva e far ancora fruttificare le idee e le lotte che lo hanno fatto nascere, crescere e vincere infinite battaglie.
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Ritengo siano tutt'ora valide le considerazioni che Leonardo Sciascia fece nel 1979, una sua fotografia della storia e del ruolo nella storia del Partito radicale con una terribile premonizione più che attuale ... prima che ci preparino la letale frittata:
"Per quel che il Partito Radicale nella sua nonviolenza, vuole e tenta di fare e fa, credo si possa usare il verbo rompere, in tutta la sua violenza morale e metaforica. Rompere i compromessi e le compromissioni, i giochi delle parti, le mafie, gli intrallazzi, i silenzi, le omertà; rompere questa specie di patto tra le stupidità e la violenza che si viene manifestando nelle cose italiane; rompere l'equivalenza tra il potere, la scienza e la morte che sembra stia per stabilirsi nel mondo; rompere le uova nel paniere, se si vuole dirla con linguaggio ed immagine più quotidiana, prima che ci preparino la letale frittata; e così via…
Come dice il titolo del recente libro di Jean Daniel, questa è l'era della rottura - o soltanto l'ora. Non bisogna lasciarla scivolare sulla nostra indifferenza sulla nostra ignavia."
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Spero di essere riuscito a trasmetterTi la drammaticità della realtà del Partito, specchio del contesto nel quale viviamo, e la convinzione del perché oggi come non mai è necessario ed urgente che il Partito Radicale viva e organizzi le sue antiche e nuovissime lotte di libertà e liberazione. Per queste ragioni Ti chiedo di iscriverti, contribuire alla vita del Partito radicale e dei soggetti costituenti, delle sue idee, delle sue lotte. Te lo chiedo sapendo che in passato lo hai già fatto e quindi, meglio di altri, puoi capire il senso di questa lettera.
Grazie per l'attenzione.
A presto, spero
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