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martedì 8 settembre 2009

una lettera al "capo di stato della città del Vaticano"

Signor capo di stato della Città del Vaticano,

Il 6 settembre Lei sarà nella nostra bella città, in occasione della festa di Santa Rosa.

Come sempre da laico, nonviolento, gandhiano le auguro un piacevole soggiorno. Una piacevole festa.

Ma mettendomi da una parte e lasciandole il passo per un passaggio che Le auguro trionfale, non posso fare a meno di “indossare” la tuta a sandwich. Quella con i due cartelloni, uno avanti e l’altro dietro, che noi Radicali abbiamo addosso quando facciamo politica.

Perché fare questo? Vede, io in questi cartelloni ci scriverei; No Vatican No Taleban.

Mi reputerà un terrorista? Un sovversivo? Un anticlericale?

Si, magari lo posso essere; perché, se laico vuol dire essere un sovversivo, allora io lo sono.

Se essere a favore della preservazione della vita, contro ogni malattia, vuol dire essere un terrorista, allora sì, io lo sono.

E ancora, se essere per l’abolizione di qualsiasi concordato e per il pieno riconoscimento delle famiglie omoaffettive, vuol dire dover subire l’etichetta di anticlericale, allora, questa etichetta, me la prenderò.

Signor pontefice, Lei vuole “assolutamente” proibire, vietare, negare, precludere: ma ciò significa avviare sulla talebana “retta via” i viterbesi, gli italiani, l’umanità.

Noi, invece, che siamo cristiani, buddisti, musulmani, ebrei, atei, senza ori né tesori, senza potere né poteri, vorremmo un umanesimo laico, un nuovo rinascimento. Che in tema d’amore, di sesso, di vita non condanni né proibisca. Ma che auspichi una naturalezza, quella sì davvero naturale, nei rapporti umani e nella società.

È per questo che spero, desidero, auspico che Viterbo si trasformi da “Città dei Papi” in “Città dei Laici”.

Matteo Di Grande

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