Vivere per la proposta di legge Eutanasia Legale

Libertà sessuale, libera sessualità- 1976 - Adele Faccio

Piano improvisation di Salvatore Maresca Serra

Alba Montori su Facebook

lunedì 7 gennaio 2008

NOTIZIARIO GAYA CsF - 7 GENNAIO 2008

MIRACOLO DEL NUOVO ANNO

“ERO ETEROSESSUALE…. E SONO GUARITA”!!!

Intervista a cura di Carla Liberatore Gaya CsF

Joseph Nicolosi ha dichiarato: “C’è un’intera popolazione di individui che è uscita o che sta uscendo dall’omosessualità, e questo fatto è una minaccia per gli attivisti gay e gli attivisti gay stanno tentando di sopprimere e far passare sotto silenzio questo punto di vista, questa popolazione”.

La donna intervistata oggi ha circa quarant’anni, si presenta bene, sicura di sé, pare abbia superato il nero e controverso periodo che la vedeva vivere come un’eterosessuale. Lei si chiama Guendalina e nell’intervista proporremo solo il nome senza alcun riferimento al cognome per ragioni di privacy.

CL. – Guendalina raccontaci della tua vita da eterosessuale e del perché secondo te lo eri

G. – quando avevo ancora solo otto anni ero ben cosciente del fatto che mi piacessero le bambine e non i maschietti. Però poi ho creduto di essere malata, non lo dissi a nessuno e così iniziai a sforzarmi di far credere che mi piacesse questo o quell’altro compagno di scuola

CL. – poi cos’è successo?

G. – è successo che avevo deciso di vivere la mia predilezione per le femminucce in gran segreto, senza dirlo a nessuno, poiché nessuno avrebbe potuto aiutarmi. Vivevo in una famiglia di cattolici credenti e praticanti in cui la sessualità era un argomento tabù, figuriamoci l’omosessualità. E’ andato tutto bene fino a verso i dodici anni, quando mio padre scoprì un giornale lesbo hard nel cassetto del mio comodino. Fui forzata a frequentare uno psicologo di famiglia il quale asseriva che le mie pulsioni erano soltanto il frutto della mia pubertà

CL. – quindi questo psicologo ti incoraggiava a vivere da eterosessuale?

G. – esattamente, lui diceva che non era naturale la mia inclinazione, pertanto avrei dovuto pensare alla gioia della maternità, alla gioia di fare l’amore con un uomo

CL. – per quanto tempo dovesti frequentare questo psicologo e di che anni parliamo

G. – parliamo dell’inizio degli anni ’80, frequentai questo psicologo per qualche mese in quanto ad un certo punto iniziai a far credere sia a lui e sia alla mia famiglia, che avevo interesse per un ragazzo in particolare. Inoltre siccome indossavo sempre i pantaloni, lo psicologo mi esortò ad indossare le gonne che potevano essere per me una specie di salto di qualità verso un’autentica femminilità

CL. – hai iniziato quindi ad indossarle?

G. – si, certo, però mi sentivo così a disagio con quegli indumenti che mi vergognavo di uscire di casa per cui mi rinchiusi per un periodo molto lungo fin quando non trovai il coraggio di rimettere i miei jeans preferiti

CL. – nel periodo che hai vissuto rintanata in casa cosa facevi? Come passavi il tempo?

G. – ascoltavo musica, uscivo solo per andare a scuola, non avevo amici, ogni tanto mia madre mi metteva in mano l’uncinetto (che odiavo) e m’insegnava a cucinare, a lavare i panni e a fare tutte quelle cose che convenzionalmente secondo lei, dovrebbe fare una femmina

CL. – come si è evoluta in seguito la situazione?

G. – si è evoluta quando mio padre morì. Mia madre iniziò a soffrire di una forte depressione e io e mio fratello che eravamo solo degli adolescenti iniziammo ad essere un po’ sbandati. Ad esempio io mi concedevo con enorme facilità a tutti i ragazzi che mi mostravano interesse, a scanso del fatto che nessuno potesse dire che non ero una femmina a tutti gli effetti. Solo che dopo un po’ iniziarono a darmi della puttana. Le prendevo di santa ragione sia da mio fratello e sia da mia madre. In quel periodo avevo solo quindici anni e iniziai a fumare haschisch e a bere qualunque cosa alcolica mi capitasse sotto mano. Di nuovo decisi quindi, spinta anche dalle botte amorevoli della mia famiglia, di rinchiudermi in casa e non uscire, approfittai anche per lasciare la scuola finita la terza media.

CL. – come riuscivi a stare in casa in un ambiente simile?

G. – avevo sempre la mia camera da letto che era una specie di zona franca, nella quale trovavo rifugio quando vedevo le brutte. Passavo il mio tempo fantasticando di avere una fidanzata o arrovellandomi il cervello per dire a me stessa che non era giusto e che invece avrei dovuto desiderare un fidanzato.

CL. – come la immaginavi la tua fidanzata?

G. – semmai come immaginavo la mia vita?!? Mbé la immaginavo con una bella fidanzatina al mio fianco, speravo di poter riprendere gli studi, speravo che mia madre e mio fratello prima o poi l’avrebbero accettata come una persona di famiglia e speravo di non essere malata e di non dover ricadere di nuovo nelle grinfie di qualche psicologo che mi esortava a mettere la gonna

CL. – a proposito, e con le gonne com’è andata a finire?

G. – da quando morì mio padre non le ho indossate più

CL. – riesci a raccontarmi come ti sentivi in quei momenti? Cosa provavi?

G. – sicuramente provavo un’estrema ed insopportabile solitudine, non avevo intorno a me degli esempi a cui affidarmi e la mia tendenza ad isolarmi dal resto del mondo non mi ha certo aiutata. Ero sempre perennemente triste, mi mancava sia l’affetto familiare e sia l’affetto di chi avrei potuto amare come partner

CL. – sei riuscita alla fine ad uscir fuori dal tuo isolamento?

G. – dopo quasi tre anni. Ripresi gli studi al primo superiore, iniziai ad avere almeno un minimo di vita sociale. Frequentavo amiche ed amici, mi vestivo con i pantaloni ogni volta, solo che siccome mi portavo dietro il retaggio culturale di uno psicologo di qualche anno prima, al posto delle scarpe mettevo dei tacchi vertiginosi che mi facevano un gran male ai piedi, mi truccavo come una vecchia métressè e almeno salvavo le apparenze.

CL. – cos’è successo a scuola, qual è stata la molla che ti ha fatto iniziare a vivere

G. – mbé per prima cosa già il fatto di frequentare altra gente mi aiutava a ribellarmi alla famiglia cattolica moralista e ipocrita in cui vivevo, ma purtroppo la mia fama di gran femmina eterosessuale mi portava a frequentare solo ragazzi

CL. – quindi eri completamente traumatizzata?

G. – molto di più. Non ero solo traumatizzata, avevo addirittura completamente dimenticato la mia attrazione per le femminucce

CL. – a cosa ti ha portato il rimuovere la tua vera identità sessuale?

G. – mi ha portato ad anni ed anni di sofferenze indicibili. Con l’abuso delle droghe e dell’alcol, con il dilapidamento di un’intera fortuna economica, con la prostituzione per potermi drogare, con il carcere, i sert e le comunità terapeutiche.

CL. – come hai fatto il passaggio fra la rinnegazione della tua identità, alle droghe e poi alla rinascita?

G. – come dicevo ho frequentato i sert, sono entrata in una comunità cattolica dalla quale circa tre mesi dopo sono fuggita. Ho avuto la fortuna d’incontrare un ragazzo con il quale iniziai a convivere il quale mi permise di sottopormi ad ogni sorta di cura psicologica e fisica per riprendermi. Ne uscii completamente, solo che durante la terapia psicologica che occorreva a disabituarmi alle sostanze, dopo circa un anno di frequentazione delle sedute dalla psicologa, iniziai ad avere dei flash back, rivivevo nei momenti più impensati dei sprazzi di passato che avevo completamente dimenticato. Fra questi c’era la violenza sessuale che subii a undici anni, i momenti di escandescenza che dava mia madre quando era depressa e i ricordi di tutte le bambine e le ragazzine che mi piacevano. Inoltre ho ricordato anche di quando mi masturbavo chiusa nella mia camera da letto pensando e ripensando a quella o quell’altra ragazza che mi piaceva. Credo di aver fatto un vero e proprio percorso di guarigione

CL. – perché lo chiami percorso di guarigione?

G. – perché non solo ho smesso di bere e di drogarmi ma ho capito profondamente e consapevolmente quali erano le ragioni che mi avevano spinto a farlo. Fra queste ragioni c’era sicuramente la violenza che avevo subito ma contestualmente c’era anche il fatto che mi avevano fatto vergognare come un cane bastonato nel non essere una comune bambina eterosessuale. La mia eterosessualità era una costruzione mentale basata soltanto sulla necessità di sopravvivenza familiare e in qualche maniera anche sociale. Credo proprio di essere guarita dall’eterosessualità che mi era stata imposta dai condizionamenti che avevo intorno. Questa presunta eterosessualità mi aveva portato alla droga e all’alcol e alla distruzione totale sia della mia personalità e sia della mia vita

CL. – che ne pensi delle terapie riparative di cui tanto si parla in questi ultimi tempi?

G. – credo che ci dovrebbero essere delle leggi che tutelino i ragazzi e le ragazze adolescenti dalla follia criminale sia dei loro genitori e sia di psicologi/e senza scrupoli. Queste terapie riparative potrebbero anche sortire l’effetto di creare una nuova personalità eterosessuale, ma alla lunga e non troppo, credo che creino molti problemi e disturbi a livello di carattere e mentale. Ognuno deve essere libero di vivere il proprio orientamento, infatti non sono molto preoccupata degli adulti che si rivolgono a questi riparatori dell’ultima ora, anche se c’è comunque di che preoccuparsi, ma soprattutto sono preoccupata dal fatto che i minorenni non possono sottrarsi alla podestà dei genitori qualora questi decidano di sottoporli a degli incontri con psicologi riparatori.

CL. – vuoi lasciare un messaggio ai lettori di Gaya CsF?

G. – il messaggio è che bisogna assolutamente battersi affinché la libertà individuale sia veramente tale e che queste pseudo terapie vengano una volta per tutte abolite. Ma soprattutto mi rivolgo ai genitori dei ragazzi GLBT che sarebbe il caso che si creassero delle reti d’informazione civile e psicologica capaci di entrare in contatto con più persone possibili e che i media la finiscano di creare dei cover up informativi laddove il potere politico e religioso potrebbe esserne minato.

* § *

Omosessualità? Oggi si può guarire!

Quest’anno Babbo Natale ci ha fatto un bel regalo: giusto qualche giorno prima della grande festa, travestendosi da giornalista ha svelato qualcosa che molti già sapevano, tanti immaginavano e ben pochi potevano affermare di non conoscere affatto.

Un numero sempre più alto di psicologi continua a proclamare che l’omosessualità è una malattia, si può curare e addirittura se ne può uscire! Basta trovare il terapeuta giusto, il canale giusto che in soli 6 mesi (o forse anche meno) può restituirti l’eterosessualità d.o.c. perduta. Il 23 Dicembre il giornalista di Liberazione Davide Varì pubblica un articolo sconcertante, dal titolo: “Gli ho detto: sono gay. Mi hanno risposto: la sua è una malattia leggera, possiamo curarla.” (http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200702articoli/18527girata.asp)

Varì per 6 mesi ha finto di essere gay per potersi sottoporre al percorso terapeutico del Prof. Cantelmi, guru e Presidente dell’Istituto di Terapia Cognitivo Interpersonale, fondatore dell’Associazione italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psicologia all’Università Gregoriana, per “guarire” dalla sua (presunta e inventata) omosessualità. Il percorso parte con un colloquio “selettivo” di un prete, prevede la somministrazione dell’MMPI e del Rorschach e si sofferma sulla quantità e la modalità dei rapporti sessuali consumati. Mai una domanda sull’affettività, come se tra gay non fosse possibile volersi bene. Dopo una serie di colloqui il percorso di guarigione prevede un “corso di gruppo” di orientamento ultra cattolico, sgranare rosari, partecipare a gruppi psicoterapeutici, studio della Bibbia e dei testi di Josè Maria Escrivà (fondatore dell’Opus Dei), il tutto sullo stesso piano. Attraverso questa miscellanea di pratiche il gruppo promette non senza fatica di arrivare alla sospirata “guarigione”. La cosa è anzitutto strana. E’ infatti dal lontano 1974 che non esiste più la diagnosi di omosessualità, eliminata dal Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM). Oggi, e da più di trent’anni l’intera comunità scientifica internazionale considera l’omosessualità una variabile “normale” dell’orientamento sessuale e non una patologia. Certo, è vero che vi fu un passato lontano in cui (parliamo del primo DSM) era stata inclusa tra i “disturbi sociopatici di personalità”, passando nel 1968 a “deviazione sessuale” a fianco di pedofilia e necrofilia, e arrivando nel 1974 come “omosessualità ego-distonica”. Si noti come il dibattito scientifico e culturale, che riflette oltre al progredire del dibattito scientifico anche la percezione comune e condivisa dei comportamenti normali e patologici, della salute e della malattia, ha via via spostato e circoscritto la questione della scelta di orientamento sessuale. Se infatti la “sociopatia” è una categoria che prevede di per sé una forma di aggressione all’altro, una modalità malata di stare con il prossimo, la “deviazione sessuale” descrive già uno spostamento culturale della questione omosessualità verso il sé, il proprio desiderio, una questione meno “socialmente pericolosa” e più privata. L’altro, dal DSM II, non sarebbe più in pericolo, ma l’omosessualità ne esce comunque come una malattia. La versione del 1974 ha limitato grandemente la diagnosi di omosessualità a quei soli casi in cui l’orientamento sia egodistonico, ossia in cui il soggetto senta in qualche modo l’orientamento sessuale come estraneo al sé. A quel punto restava da decidere se andasse curata l’egodistonia, aiutando il soggetto ad accettare il suo orientamento sessuale “di minoranza” sopportando le fatiche insite in questa condizione, oppure se ci si dovesse impegnare nell’improbabile impresa di modificare l’orientamento sessuale. Oggi sarebbe forse chiamata con un termine più appropriato omofobia interiorizzata. E’ stato necessario arrivare al 17 maggio del 1990 perché anche la definizione di ego-distonica fosse cancellata dal DSM. Eppure, poiché le vecchie abitudini sono dure a morire, fino al 1992 l’autorevole APA (American Psychiatric Association) negava l’iscrizione delle persone dichiaratamente omosessuali. La terapia riparativa nasce nel Nord America dal filosofo Joseph Nicolosi,
presidente della Narth, National Association for Research and Therapy of Homosexuality, il quale vanta ben 500 casi di “gay trattati” e curati. Anche se pare che i gruppi di mutuo-aiuto per i cosiddetti “gay trattati” spesso si sciolgano perché più di qualcuno trova al suo interno un nuovo partner e quindi addio terapia… Già nel 2005 l’on. Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, aveva presentato un’interrogazione parlamentare per bloccare, tramite gli ordini professionali, la terapia riparativa. Azione a cui lo psicoterapeuta americano J.M. van den Aardweg, che ha scritto il libro “Omosessualità & speranza” ha risposto parlando di lobby gay all’assalto della scientificità. Come nel caso citato dalla teodem on. Binetti, secondo la quale la lobby gay sarebbe riuscita addirittura a far cancellare l’omosessualità come patologia dai testi scientifici mondiali, chiedendo e ottenendo di partecipare agli incontri della “Commissione Nomenclatura” dell’APA. E sappiamo bene che l’on. Binetti continua (La Stampa del 28/12/2007) in qualità di neuropsichiatria a ripetere che lei e molti altri colleghi considerano l’omosessualità una devianza. Il codice deontologico degli Psicologi italiani approvato dal CNOP cita:
Art. 4. “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnìa, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.” Il Codice di autoregolamentazione etica degli psicologi italiani proibisce loro di utilizzare metodi che non salvaguardino il rispetto, tra l’altro, degli orientamenti sessuali e delle altre opinioni, credenze, sistemi di valori. Altrimenti va a finire che ci potrà sempre essere un’Associazione Psicologi del Partito x che cerca di guarirti dall’essere iscritto al partito y, considerandola una perversione del pensiero. E perché non, per ribaltare la situazione, uno psicologo gay che cerchi di guarire Cantelmi o qualche suo degno compare dal loro atavico terrore nei confronti degli orientamenti omosessuali? Magari si potesse “guarire” l’omofobia! Il fatto è grave ben al di là del cosciente e voluto uso di criteri nosografici abbandonati da decenni, e perfino del cosciente e palese spregio dei codici deontologici vigenti. La gravità di questa vicenda nasce dalla stessa sovrapposizione forzata tra posizioni pseudo-religiose e posizioni scientifiche dalla quale confusione nasce un approccio confusivo e “di parte” di fronte alla teoria e alla pratica psicoterapeutica. La violazione della deontologia ne è una diretta conseguenza. Altre conseguenze, più gravi possono essere solo immaginabili, nel momento in cui la scienza si fa strumento dell’ideologia. Dal punto di vista della pratica clinica ci si trova di fronte ad uno dei più dolorosi tra i paradossi. Una persona in condizione di debolezza e fragilità si rivolge ad un professionista per una sua sofferenza. Questa persona non dovrebbe trovare, a nostro parere, qualcuno che antepone, o impone grazie al ruolo di psicoterapeuta le proprie convinzioni (religiose, politiche, ideologiche..) alla centralità del paziente stesso, cui si deve il rispetto delle sue “opinioni, credenze, sistemi di valori”, rispetto non a caso previsto “ex lege” in tutte le forme di relazioni di aiuto e non a caso, sancito dai codici deontologici. Non è casuale che in una forma pervertita, questa si, di psicoterapia al di là e in spregio ad ogni deontologia, il gruppo di Cantelmi usi, senza soluzione di continuità, il Rorschach e il rosario, il colloquio clinico e la “penitenza” tipica delle pratiche di espiazione religiosa. Il professionista dell’aiuto qui non usa infatti i saperi e le tecniche per la risoluzione dei problemi psicologici dei suoi pazienti, non è il paziente al centro della questione, ma la cura della propria ansia e il rafforzamento dell’ideologia. E’ infatti aprioristica la convinzione che l’omosessualità sia peccato e patologia e che come tale vada “espiata” oltre che “curata”. Qui invece tutto è volutamente confusivo e confondente, in modo da trasformare l’aiuto terapeutico in una gravissima forma di manipolazione del pensiero nel tentativo di adeguarlo al proprio. Un assetto cosiddetto “psicoterapeutico” che, come nel caso qui descritto, sembra offrire alle persone risposte preconfezionate e religiosamente orientate, diventa immediatamente uno strumento manipolatorio che procura ad essi strutture psicologiche da falso-sé, anziché percorsi veritieri, trasformando, in caso di successo l’individuo in un automa mosso da convinzioni non proprie che leniscono temporaneamente il dolore e lo omologano al (presunto) sentire comune della società. Dal punto di vista esclusivamente psicoterapeutico l’insuccesso è evidente, a meno che ingenuamente si pensi che la scelta sessuale sia questione molto esteriore e superficiale. Qui si assiste ad una banalizzazione ed elusione della domanda del paziente, che “sparisce” e ad una semplificazione sul versante della risposta. Ed allora è la persona a volere “uscire” dall’omosessualità, o è piuttosto una prescrizione di queste sedicenti, pericolose istituzioni psico-religiose, le quali intendono “sorvegliare e punire”, nonché orientare secondo dogmatiche religiose scelte che appartengono ad una sfera personale, quella si, “sacra”? Ci sembra indispensabile un interessamento deontologico degli Ordini competenti (anche dei Medici) e l’apertura di un’istruttoria approfondita. Su indicazione di una futura collega che ha scritto al CNOP in merito alla violazione dell’art.4 ci siamo attivati per segnalare come AP ai relativi Ordini professionali eventuali violazioni del codice deontologico, sollecitandoli a prendere una chiara posizione in merito e a procedere ad indagini in casi simili, come già dichiarato dalla Presidente dell’Ordine Lazio, dott.ssa Zaccaria su Liberazione del 28/12/2007. La sofferenza e il rispetto per il dolore di essere “diversi” seppur uguali, richiederebbe secondo noi più rispetto e più cautela di quanta ne abbiano mostrata i protagonisti di questa vicenda, i quali sembrano invece mostrare l’intenzione di convertire piuttosto che quella di ascoltare ed aiutare. E’ grave l’uso del proprio ruolo di autorità e della condizione di fragilità dei propri pazienti per fare del proselitismo, anteponendo un desiderio di “normalizzazione” alla guarigione del paziente nel rispetto delle sue scelte e dei suoi orientamenti. A noi questa teo-pedagogia travestita da psicoterapia inquieta e preoccupa, e ci appare una pericolosissima deriva culturale da bloccare sul nascere.

* § *

Curare l’omosessualità - La parola a un omosessuale credente.

Un intervento sulle terapie riparative dell’orientamento sessuale descritte da Liberazione il 23 dicembre 2007. In un articolo scritto per Liberazione lo scorso 27 dicembre, Aurelio Mancuso osservava che: «I tanti gay credenti, sacerdoti e non, con cui ho relazione tramite email, sms, incontri più o meno catacombali, sono un buon polso della situazione. Su quello che è avvenuto in questi giorni, è calato un eloquente silenzio». Il giorno dopo, in una dichiarazione che aveva l’obiettivo di chiarire il tipo di attività che svolge con le persone omosessuali, il professor Tonino Cantelmi (lo psichiatra che Liberazione ha indicato come referente italiano per quanti “curano” le persone omosessuali) ha parlato di un lavoro il cui obiettivo principale è quello di rispettare «i valori degli omosessuali credenti». «Forse - mi sono detto - è il caso che qualche omosessuale credente dica finalmente qualche cosa». Ma ero molto impegnato con il lavoro e ho sperato che qualcun altro intervenisse. A distanza di una settimana, visto che nessun altro l’ha fatto, ho deciso di scrivere quello che penso delle terapie riparative dell’orientamento sessuale. Come tanti omosessuali cattolici della mia età certi approcci terapeutici li conosco bene, perché una ventina di anni fa ho chiesto a uno psicoterapeuta di “farmi diventare eterosessuale”. Quando la senatrice Binetti sostiene che allora le persone omosessuali venivano quasi sempre curate, non fa altro che raccontare quello che succedeva a tante persone come me. Purtroppo non parla dei tantissimi fallimenti di queste cure e delle conseguenze che questi fallimenti avevano nella vita di coloro che si erano illusi di “guarire” dall’omosessualità. Nel mio caso, dopo un anno di trattamenti, mi sono ritrovato con un lavoro che non mi piaceva (avevo infatti troncato i sogni di carriera accademica che una modesta borsa di studio da ricercatore aveva alimentato e ho cercato in fretta e furia un impiego che mi permettesse di pagare la terapia) e con una lieve depressione che mi teneva sveglio per ore durante la notte. Ho però conosciuto persone a cui le cose sono andate decisamente peggio: qualcuno è ancora in una clinica psichiatrica, qualcuno si è addirittura suicidato dopo aver constatato che tre anni di sforzi per diventare ‘normale’ si erano rivelati inutili. Gli stessi sostenitori della validità delle terapie riparative parlano di guarigione possibile solo per terzo degli omosessuali trattati e spendono fiumi di parole per raccontare le storie di successo della loro attività terapeutica. A quanti offrono certe pratiche terapeutiche a chi chiede di abbandonare uno “stile di vita gay” occorre a questo punto chiedere se si sono mai chiesti che fine hanno fatto i tanti omosessuali che hanno abbandonato la terapia: posso dire, per averne aiutati tanti, che la maggior parte di costoro ne esce a pezzi e maledice il giorno in cui aveva deciso di chiedere di guarire dall’omosessualità. Forse un buon medico dovrebbe spingere i suoi pazienti a non intraprendere cure che rischiano di comprometterne l’equilibrio, soprattutto quando il rischio di fallimento di aggira intorno al 70%. Non è stata quindi la lobby gay, come sostiene la senatrice Binetti, a togliere l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. E’ stato il buon senso di centinaia di professionisti seri che, dopo aver visto le conseguenze nefaste di certe pratiche terapeutiche, hanno deciso che forse era il caso di utilizzare un approccio diverso: se un omosessuale va da uno psicoterapeuta, l’obiettivo che quest’ultimo gli deve indicare non è tanto quello di “guarire” dall’omosessualità, quanto quello di imparare a vivere bene quella stessa omosessualità che una volta veniva curata con le conseguenze che ho descritto sopra. Sarebbe poi interessante monitorare nel corso degli anni quella minoranza che, a un certo punto, afferma di essere “guarita” dall’omosessualità. Nei nostri gruppi capita di incontrare persone che, dopo anni di lotte contro le loro inclinazioni, alla fine si riconoscono sconfitti e raccontano, con amarezza, di «aver buttato via i vent’anni più belli della vita!». Negli Stati Uniti, dove grazie ai soldi di alcune sette protestanti , le terapie riparative dell’orientamento sessuale hanno una diffusione molto maggiore che in Italia, gli “ex-ex-gay” sono ormai la maggioranza di coloro che, dopo essersi sottoposti a un trattamento, hanno affermato di essere guariti dall’omosessualità. Alcuni percorsi sono addirittura grotteschi, come dimostra la storia Michel Bussee, fondatore di Exodus International (forse la più importante associazione di ex-gay degli Stati Uniti) che si è innamorato di un altro dirigente della stessa associazione e ha deciso, dopo anni di conferenze in cui aveva raccontato a migliaia di persone di esserne definitivamente guarito, di “riabbracciare” l’omosessualità. Personalmente posso dire di aver conosciuto più di una persona che, dopo avermi detto di essere definitivamente “guarita” dall’omosessualità, ha poi avuto dei comportamenti che contraddicevano questa guarigione. D’altra parte lo stesso Joseph Nicolosi (lo psicoterapeuta americano che afferma di aver “guarito” cinquecento persone dall’omosessualità) afferma che la guarigione dall’omosessualità non coincide con la fine delle pulsioni omoerotiche, ma con l’approdo a una vita in cui queste stesse pulsioni vengono per lo più represse, isolando gli eventuali contatti omosessuali in cui si può sempre ricadere. Di fronte a una affermazione di questo genere sarebbe il caso di chiedersi con che coraggio si esortano le persone che “guariscono” dall’omosessualità a sposarsi calpestando il diritto che una moglie ha di sperimentare nel compagno quella passione che ciascuno di noi desidera vedere nel partner. L’obiettivo di staccare l’omosessuale dalle cattive compagnie dei gay che sono contenti di esserlo è talmente impellente che non ci si cura delle sofferenze che questo distacco comporta nell’omosessuale stesso e, soprattutto, nella donna che ha avuto la sfortuna di sposarlo. Dare un supporto pseudo-scientifico a certi espedienti a cui si ricorreva in un lontano passato per risolvere il “problema” dell’omosessualità, significa essere dei veri e propri incoscienti. Alla luce delle osservazioni che ho appena fatto credo di poter concludere che, agli omosessuali che chiedono di essere “curati” (come del resto ho fatto io tanti anni fa), un medico onesto deve rispondere che l’omosessualità non è una malattia da curare, perché l’eventuale cura comporta rischi molto maggiori dell’omosessualità stessa. La strada che un omosessuale credente è chiamato a percorrere per non rinunciare ai suoi valori non passa attraverso la negazione dell’omosessualità, ma si gioca nella capacità che abbiamo di mettere l’omosessualità stessa in relazione con gli altri aspetti della nostra vita. Ci si accorgerà allora che la vera risposta alla promiscuità che certi autori, sbagliando, identificano con lo “stile di vita gay”, non è la cura dell’orientamento omosessuale, ma il progetto di vivere quello stesso orientamento in maniera responsabile, facendosi carico non tanto del proprio benessere, ma del benessere delle persone che il Signore le fa incontrare. Gianni Geraci Presidente Gruppo del Guado - Cristiani Omosessuali - Via Soperga 36 – Milano www.gaycristiani.it

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Omosessualità: l’Ordine dei medici intervenga nei confronti di psichiatri cattolici che vogliono curare gli omosessuali perché “malati”.

La pericolosità di una nuova offensiva fondamentalista.

Radicali Italiani ringrazia Liberazione

Dichiarazione di Rita Bernardini, Segretaria di Radicali Italiani e Sergio Rovasio, radicale, membro della Direzione della Rnp:

“L’offensiva clerico-omofobica ha ora aperto il fronte della ‘guarigione’ o ‘riparazione’ dell’omosessualità. Grazie al quotidiano Liberazione e al giornalista Davide Varì è stata messa in luce una vicenda più da Medio Evo che da nuovo millennio. Piuttosto che riconoscere diritti alle persone lgbt si cerca di farle passare per malati mentali, squilibrati da far curare dagli psichiatri. Ciò che è ancor più grave è che il capofila di questa nuova branca della medicina è il Professor Tonino Cantelmi, presidente e fondatore dell’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici e docente di psichiatria all’Università Gregoriana, nonché Diacono permanente della Diocesi di Roma . Insomma, proprio un medico ‘neutrale’ che certamente antepone alla religione cattolica i riferimenti medico-scientifici! Peccato però che la comunità medico-scientifica non consideri l’omosessualità una malattia e che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha cancellato questa assurdità nel 1990. Delle due l’una: o il Professor Cantelmi abusa della sua professione e per questo devono intervenire gli Ordini dei medici, degli Psichiatri o degli Psicologi oppure ‘guarisce’ davvero le persone che non piacciono alle gerarchie cattoliche e allora, da radicali, chiederemo tutti di essere curati”. I Deputati radicali presentano un’interrogazione nella quale chiedono conto anche dei privilegi statali accordati all’Università Gregoriana”.

INVIATO DA Sergio Rovasio

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ORGOGLIO E PREGIUDIZI -----------a cura di Alba Montori

Le preghiere sono inadeguate…

C’è chi, dopo aver per centinaia di anni (o solo per decenni se vogliamo limitarci agli “ultimi” denunciati) taciuto e acconsentito alla violenza pedofilo/pedagogica da parte dei suoi preti e prelati, di fronte alle centinaia di denunce pubbliche di giovani violati, ormai adulti, genitori e parrocchiani indignati che non riesce più a far tacere “peramordidio” l’unica azione che propone è “la preghiera per i preti pedofili”, per i rei di tali mostruosità, senza spenderne neanche mezza per chi ha dovuto subirle, indifeso, prima durante e dopo. E sono gli stessi che, imponendo il potere della loro “santa verità di diretta ispirazione divina, hanno coltivato nelle persone semplici, da loro stessi istruite ad essere incivili e intolleranti, il disprezzo e l’odio per l’omosessualità naturale, come di quella adulta e consapevole, accomunandola biecamente e ipocritamente ai loro delitti per meglio nasconderne la violenza agli ingenui fedeli. Gli effetti nefasti di ciò, amplificato dai media e dall’ignoranza stratificata nella società a tutti i livelli, sono quotidianalente sotto gli occhi di tutti, ma a quanto pare solo pochi hanno occhi per vedere le cause e gli effetti, quelli purtroppo veri e reali, anche troppo. Così le minacce di morte per Aurelio Mancuso sono solo l’ultima manifestazione in ordine di tempo del clima di odio ormai mantenuto ferocemente vivo quotidianamente. La “guerra santa” è stata ormai scatenata, contro la diversità di genere a cominciare dagli omosessuali e dalle donne, col pretesto della tutela della “famiglia” (quella “buona” dev’essere solo quella etero-santa e assolutamente prolifica) col pretesto della “tutela della vita” . La vita da tutelare ovviamente è solo quella degli embrioni, non certo delle donne, dei froci o delle lesbiche. Chi è omofobo, “laico” o “clerico” che sia, non li considera evidentemente umani, tantomeno dotati di diritti a esistere così come sono, a meno che non si facciano “guarire” dall’esser così come sono e probabilmente neanche in questo caso... La situazione diventa sempre più pesante, di giorno in giorno e senza tregua alcuna. Perciò sono sempre più convinta che è necessario e urgente attuare un’azione nonviolenta in difesa del diritto di ciascun* ad esistere così come è, di qualunque colore e di qualunqe genere sia. Dopo sessant’anni di inapplicazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana (ma non solo di quello) in troppi si continuano a comportare come se non ci fosse, come se non fosse loro compito rispettarla e farla rispettare anche riguardo all’omosessualità. La legge europea specifica contro l’omofobia esiste. Va applicata anche in Italia, anche se i nostri eletti sono disposti a farci pagare fior di multe
( si perchè poi si scaricano sul debito pubblico e quindi sulle nostre tasche) per non volerla inserire, né tantomeno applicare, nella legislazione italica.
Propongo perciò a tutta la gente di buona volontà di comportarsi comunque come se tale norma europea fosse a tutti gli effetti già operante ( perchè di fatto, volenti o nolenti così ha da essere) partendo da alcune semplici attività:
1- la raccolta sistematica dei nomi e cognomi degli omofobi, partendo da quelli che sbandierano la loro omofobia sui media oltre che nelle sedi istituzionali, o nella loro attività professionale ( ad es. psico, medici, magistrati, docenti ecc) a qualunque schieramento appartengano;
2- la loro denuncia alle autorità competenti per istigazione alla violenza;
3- la raccolta sistematica dei casi di omofobia, documentati, magari anche denunciati, ma non perseguiti, per denunciarli pubblicamente;
4- la segnalazione dei siti web ( almeno quelli in italiano) dove vengono propagandate forme di istigazione alla violenza, fisica e/o psicologica, nei confronti di tutte le forme di diversità di genere, per segnalarli all’attenzione pubblica e delle autorità competenti, italiane ed europee.
La raccolta di questi dati è già iniziata, ma è comunque difficile, senza l’aiuto di tutta la gente di buona volontà della Comunità varia, perciò vi rinnovo l’invito a collaborare inviando le vostre segnalazioni al mio blog con l’etichetta “omofobia”, “OMOFOBIonLINE”
grazie

Alba Montori blog: http://albamontori.blogspot.com

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TUTTOSPOSI 2008

L’Arcigay di Napoli apprende con desolata perplessità che gli organizzatori di“TuttoSposi 2008” hanno scelto di pubblicizzare con una campagna provocatoria, e spot sulle reti di Berlusconi, la 29ma fiera che quest’anno è “del matrimonio costituzionale”, come si specifica nel sottotitolo facendo riferimento alla interpretazione eterosessista ed ideologica dell’articolo 29, dichiarandosi poi apertamente contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso. “Le trovate per pubblicizzare la ‘sagra dello sposalizio’ non sono mai state così becere come quest’anno”, afferma Salvatore Simioli, presidente dell’Arcigay di Napoli, “Se gli imprenditori di ‘TuttoSposi’ temono un calo di profitti con l’estensione del matrimonio alle coppie non eterosessuali si sbagliano di grosso. Se l’istituto matrimoniale fosse esteso anche alle coppie omosessuali come in Spagna, ci sarebbero conseguenze positive per tutti, sia per chi si batte affinché sia riconosciuto il valore degli affetti che legano gli aspiranti coniugi dello stesso sesso, sia per le aziende di ‘TuttoSposi’ che scoprirebbero nuovi ed estesi mercati”. “E aspettiamo ora che i paladini dell’ortodossia clericale, in testa il noto Don Rodrigo da Ceppaloni, esprimano il proprio disappunto per l’utilizzazione anche questa volta mondana del ‘sacro matrimonio’”, conclude Simioli, “Quanto alle coppie gay e lesbiche napoletane, sopravviveranno anche a questa ‘trovata’, essendo attente più ai sentimenti che al catering: non possiamo infatti rinunciare al riconoscimento pubblico delle nostre relazioni, ma possiamo soprassedere al frac e ai confetti”.

Salvatore Simioli
Presidente Arcigay Napoli
Cell.3479262425

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STIMA E SOLIDARIETA’ AD ENZO FOSCHI

Il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli esprime la propria stima e profonda solidarietà ad Enzo Foschi, vittima dell’ennesima minaccia da parte di un sedicente gruppo delle Brigate rosse. Il Circolo si stringe idealmente intorno ad Enzo Foschi e a tutti coloro che ricevono minacce ingiuriose e farneticanti, ricordando che questi gravi atti intimidatori non ci impauriscono e che al contrario compattano le forze laiche e democratiche che nel nostro Paese lavorano quotidianamente per ottenere una migliore qualità della vita per tutti.

Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli

Rossana Praitano - Presidente

Segreteria Politica – Andrea Berardicurti

06/5413985 – 348/7708437

Via Efeso, 2/A 00146 R O M A
tel. 065413985 fax 065413971
3487708437

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LA GIUSTIZIA DI BARBABLU’

Per chi vuole liberarsi della moglie per una ventenne dell’Est o per ereditare l’appartamento la legge italiana offre grandi possibilità. Il giudice Bruno Tinti nel libro: “ Toghe Rotte” fornisce preziosi ragguagli agli aspiranti uxoricidi. Per prima cosa bisogna disporre di una moglie e di un buon motivo per sopprimerla, quindi la si può eliminare. Chi vuole potrà dar sfogo al suo sadismo in quanto non considerato una seria aggravante. Dopo l’omicidio bisogna correre subito dai Carabinieri per autodenunciarsi, spiegare i dettagli del delitto e far rintracciare gli strumenti utilizzati per compierlo (punteruolo, pistola, martello, ecc.). Non sussistono più i pericoli di inquinamento delle prove e di fuga. L’arresto non è perciò necessario. In attesa del processo si potrà continuare la propria normale attività.Per l’uxoricidio è previsto l’ergastolo, ma il marito può dimostrare di “aver agito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui” (art. 62 n.2), ad esempio le corna, essere disponibile a risarcire i parenti della ex moglie (art. 62 n.6) e chiedere il rito abbreviato. Il giudice, dotato di calcolatrice, comincia a detrarre: - la pena, senza le aggravanti, non è più l’ergastolo, ma il carcere per 24 anni - meno un terzo, art. 62 n.2 (stato d’ira) = 16 anni - meno un terzo, art. 62 n.6 (risarcimento) = 11,33 anni periodico - meno un terzo, art. 62 bis, attenuanti generiche (concesse a tutti) = 7,5 anni- meno un terzo per il rito abbreviato = 5 anni - se l’omicidio è avvenuto prima del maggio 2006 sono scontati tre anni per l’indulto ceppalonico = 2 anni con la sospensione condizionale della pena. Nel caso la Giustizia sia particolarmente severa con una condanna a tre anni, il marito verrebbe affidato ai servizi sociali. L’uxoricidio conviene . Un libro, la sponsorizzazione di una linea intimo maschile e una serata da Vespa. Si può raggiungere la tranquillità economica. In Italia le mogli sono utili anche da morte. Ps: L’iter giudiziario è valido anche per i mariti.
FONTE: http://www.beppegrillo.it/2008/01/la_giustizia_di.html

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RADIO POPOLARE L’Altro Martedì la trasmissione di cultura ed informazione omosessuale di Radio Popolare condotta da Eleonora Dall’Ovo, Emiliano Placchi e Paolo Ruiu Martedì 8 gennaio dalle ore 22.35 alle ore 23.30 ospita Le Sorelle Martinetti le suffraggette della musica “en travesti” in occasione del loro primo cd musicale in uscita a gennaio per la P-NUTS di Giorgio Bozzo www.myspace.com/sorellemarinetti e speciale Tom Bouden conosciuto in tutta Europa per Max&Sven, autore di fumetti ironici e piccanti, impietosi verso la comunità gay della quale mette alla berlina soprattutto la disinvoltura sessuale senza moralismi, ma con bonaria irriverenza.

a cura di Massimo Basili email: omomail@radiopopolare.it Radio Popolare FM 107.600

streaming su www.radiopopolare.it

Buena Vida

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