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sabato 27 marzo 2021

PARLAMENTO SENZA IDEALI...

Questo scritto è  di  Mauro Mellini, amico, giurista, laico  fino al midollo, italiano, che se n'è andato l'estate scorsa alla veneranda età di 93 anni, dopo una vita intera spesa per la giustizia giusta.

Mi mancano le sue discussioni sulla nostra giustizia e le nostre istituzioni politiche di cui lo ringrazio, dedicandogli un pensiero affettuoso.

AMg

PARLAMENTO SENZA IDEALI
La prima volta che vidi l’aula di Montecitorio ero uno studente venuto a Roma, un po’ impacciato ma con un bagaglio forse troppo pesante e confuso di ideali, di convinzioni, di speranze. Non c’era ancora la Costituente. C’era in aula una seduta della Consulta, una specie di palestra per l’esercizio dei futuri deputati, i cui componenti erano stati nominati dal Governo su designazione del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) dai partiti e dai sindacati ed associazioni varie. Qualcosa che assomigliava, perciò, un po’ troppo ad una variante “democratica” della Camera dei Fasci e delle Corporazioni che vi era stata insediata dal regime da poco rovesciato e bandito.
Ricordo che quell’aula che l’arroganza provocatoria di Mussolini aveva definito “sorda e grigia” e che, in realtà non è un capolavoro di buon gusto, mi apparve come un tempio, un luogo sacro alle libertà che avevo viste sprezzate e conculcate. E la mia presenza lì, consentitami da un biglietto per le tribune passate per più mani, la sentii come un pellegrinaggio laico.
Devo dire che altrettanta commozione non provai quando nel 1976 tornai in quell’aula da deputato (ero tornato da spettatore in tribuna quando era in corso l’Assemblea Costituente).
Credo che nessuno di quanti leggeranno queste righe riconoscerà in quella commozione di un ragazzo nel 1946 altro che un moto dell’animo ancora quasi adolescenziale. Ma, a parte il fatto che allora si poteva avere (e qualcosa io ne avevo) una esperienza ed una storia personale anche ad un’età considerata “immatura”, quella sensazione della sacralità del Parlamento e della sua stessa sede non era affatto da ritenersi puerile o propria di persone facilmente portate all’emozione.
Benedetto Croce, che non era un “credente”, riconoscendosi nel Cristianesimo solo come in una delle componenti essenziali della nostra storia (di qui il suo “Perché non possiamo non dirci cristiani”) disse nel suo discorso di apertura della Costituente che in quel momento l’animo dei Costituenti, di fronte al compito ad essi assegnato dalla storia, dovesse levarsi ad una invocazione, quella della frase liturgica “Veni creator spiritus”.
Se vado oggi rovistando nel mio passato e riflettendo su quegli eventi della storia di cui sono stato testimone, è perché la legislatura inaugurata nei giorni scorsi ed il contesto e l’atmosfera stessa della nostra vita odierna, segnano l’opposto, il fondo del pozzo (e sperabile) non tanto e non solo della disgregazione di partiti e, benché nessuno voglia ammetterlo, di istituzioni, e non solo come ipotetici “templi della libertà”, ma della stessa concezione della vita pubblica come contesto in cui emozioni profonde, senso della “società civile”, ideali ed idee e dedizione ad esse di vita di giovani e di anziani sembrano addirittura inconcepibili, magari false o risibili.
Giorni fa il Segretario della C.E.I., ha commentato l’esito delle elezioni italiane, rilevando che per la prima volta in Parlamento non esiste una rappresentanza che si qualifichi cattolica.
La considerazione è in verità meno significativa e tempestiva di quanto sembri perché è stato proprio l’abuso della qualifica di partiti cristiano e cattolico di quella che fu la D.C. e poi del gruppo che con varia denominazione volle presentarsi come suo erede, a dare il colpo più grave alla struttura ideologica della costituzione dei partiti ed a rendere vaga ed inconsistente la qualificazione ideologica che essi si davano. Per troppo lungo tempo il partito della Democrazia Cristiana non fu che un camuffamento di un partito neotemporalista, appoggiato e reso potente dalla struttura organizzativa della Chiesa Cattolica. Quando, dopo il referendum sul divorzio e dopo la progressiva “internazionalizzazione” del papato, venne meno il carattere neotemporalista, la qualificazione “cristiana” non ebbe più reale valore.
Contemporaneamente o quasi, si spensero le luci della ideologica comunista. Lo spegnimento di quella socialista fu invece traumatico, operato secondo la strategia che il Partito Comunista Sovietico aveva imposto ai “confratelli europei”.
Ma non è qui ed ora il caso di soffermarsi sulla storia della fine delle ideologie come forze portanti dei partiti italiani.
Certo è che, dopo “Mani Pulite” una differenziazione ideologica non esiste più e la stessa fantasia nella ricerca di nuove denominazioni conferma che le divisioni in fazioni contrapposte (in realtà non è neppure esatto parlare di contrapposizione) è più o meno casuale. Senza ideologie e senza ideali. E poi, inevitabilmente senza idee coerenti.
E’ inutile dire, quindi che l’appartenenza a siffatti partiti non può essere, a sua volta che casuale o di convenienza contingente. E che parlare di passione per la politica in tale situazione è poco meno che risibile.
Che l’”antipolitica” e la politica più rozza e corrotta si diffonda e diventi “normale” è in certa misura inevitabile.
Una politica senza ideali e senza passioni non sa essere figlia e momento della storia né espressione di una cultura.
E attira più gli ignoranti che le persone colte, mentre favorisce, al più, la nascita e la crescita di corporazioni di tecnocrati nonché di “signori della legge” (magistrati come partito).
Abbiamo parlato, poc’anzi, della scomparsa dei partiti “ideologici” comunista, socialista e cattolico.
Quanto al Partito Liberale esso era stato già marginalizzato e schiacciato proprio dalla tenaglia cattocomunista. Paradossalmente di esso ne è forse rimasto qualcosa più degli altri partiti. Confusa un’idea liberale, con le “regole del giuoco” che i suoi nemici hanno accettato o finto di accettare per fare la loro politica illiberale e di demonizzazione di quanti il liberalismo ci ha dato ed ha dato alle formazioni di questa società è ciò che ne rimane.
Talvolta si ha la sensazione che la distruzione del partito, delle idee e delle culture liberali, essendo compito politico di altre forze che ha contraddistinto un’epoca, sia stata meno integrale e profonda della distruzione per consunzione delle ideologie dei suoi carnefici. Può darsi che ciò sia anche più vero e rilevante di quanto possa apparire.
E può darsi che proprio in questo le future generazioni possano sperare.
Mauro Mellini
26.03.2018

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