Vivere per la proposta di legge Eutanasia Legale

Libertà sessuale, libera sessualità- 1976 - Adele Faccio

Piano improvisation di Salvatore Maresca Serra

Alba Montori su Facebook

domenica 12 novembre 2017

FRONTE/VERSO:Anno V, n. 10, newsletter novembre 2017

INDICE

1) Stalking. Quando il giudice protegge: il Tribunale di Milano sottopone  a “ingiunzione terapeutica” il persecutore per proteggere l’ex compagna e altre donne che eventualmente decidano di frequentarlo e decide di trasmettere, pur non avendone l’obbligo, il provvedimento giudiziario alla vittima in modo che possa sapere quale è la situazione detentiva dell’aggressore.    

2) Femminicidio. Quando il giudice non protegge:  il Tribunale di Messina condanna i magistrati per aver ignorato le denunce di una donna, poi uccisa dal marito, ma non può  risarcire i figli per la perdita della madre poiché la legge limita il risarcimento ai soli casi di privazione della libertà personale.   

3) C’è badge e badge. E’ illegittimo controllare il dipendente attraverso la lettura a distanza della sua tessera magnetica che controlla in modo continuo, permanente e globale i lavoratori.  

4) Separati ma in casa. Proseguire la convivenza in regime di separazione contrasta con i principi che ispirano la normativa in materia familiare.

5) Uso “improprio” della giustizia. Il condomino non può chiedere la condanna del Condominio per mettere a norma l’impianto elettrico comune poiché ha a disposizione ben altri ed efficaci rimedi a tutela della comproprietà della cosa comune.  
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FRONTE
  1) Stalking. Quando il giudice protegge: il Tribunale di Milano sottopone  a “ingiunzione terapeutica” il persecutore per proteggere l’ex compagna e altre donne che eventualmente decidano di frequentarlo e decide di trasmettere, pur non avendone l’obbligo, il provvedimento giudiziario alla vittima in modo che possa sapere quale è la situazione detentiva dell’aggressore.    

Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, decreto 19 ottobre 2017
Un individuo, con una particolare inclinazione alle aggressioni violente, riconosciuto affetto da una particolare malvagità di carattere patologico e incapace di provare affetto, dimostra nel corso degli anni una pericolosità sociale soprattutto contro le donne.
Nel 2006 viene condannato per maltrattamenti nei confronti della moglie e della suocera che, dopo violente percosse, uccide davanti ai minori, agendo con crudeltà per futili motivi come descrive la sentenza di condanna della Corte di Assise di Appello di Milano.
Nel 2016, uscito dal carcere:
- viene quasi subito denunciato per minaccia avendo detto di volere cercare la propria compagna, che aveva rotto la relazione con lui,  per ucciderla dando fuoco all’abitazione. Voleva anche procurarsi un’arma per uccidere il suo amante;
- rapina con violenza una donna e nel dicembre dello stesso anno, ubriaco, insulta, insegue e minaccia la ex compagna, che fugge salendo su un autobus. Il pregiudicato la minaccia con una pistola, creando panico anche tra i passeggeri. Prima di quest’ultimo episodio la donna  era stata sistematicamente molestata e minacciata con pedinamenti in tutti i luoghi frequentati, con messaggi anonimi, con minacce esplicite creandole un grave stato di paura, come si legge nel verbale d’arresto del dicembre 2016.
Il pregiudicato viene arrestato e detenuto in stato di custodia cautelare in carcere e, prima che ne scadano i termini,  la Sezione Misure cautelari del Tribunale di Milano esamina la possibilità di applicare la misura di sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per tre anni, con divieto di frequentazione dei luoghi normalmente frequentati dalla vittima.

Nell’esame del caso il Tribunale rileva che dagli atti emerge che :
- si tratta di un pregiudicato la cui vita è caratterizzata da continui reati, non solo contro la persona visto che il soggetto era stato condannato anche per rapina, danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale, detenzione di armi e di sostanze stupefacenti;
- il suo comportamento, oltre a dimostrare che in carcere non era avvenuto alcun recupero, rende invece probabile che il pregiudicato possa compiere ancora i reati di cui si è reso colpevole in passato;
- si tratta di mettere al riparo le vittime certe, e quelle potenziali, con prescrizioni che limitino la sua libertà per proteggere  le eventuali vittime dell’uomo, sia la ex compagna sia altre donne che “malauguratamente” decidano di frequentarlo. 
Il difensore dell’uomo si oppone alla richiesta di applicazione di misure che ne restringano la libertà poiché a suo avviso  non rientra tra le categorie di individui cui possano applicarsi le misure di prevenzione e perché è intenzione certa dello “stalker” sottoporsi ad un programma di osservazione e trattamento per ridurre i tratti violenti della sua personalità.  Il Tribunale esaminati i fatti rileva che la pericolosità sociale, presupposto della applicazione delle misure di prevenzione, si deve desumere dall’esame della intera personalità del soggetto poiché è  un giudizio sintomatico che può essere formulato anche solo sulla base di  fatti  che giustifichino presunzioni, purché oggettivamente accertati, come: i precedenti penali e giudiziari, le denunzie di polizia, il tenore di vita, l'abituale compagnia di pregiudicati e di soggetti sottoposti a misure di prevenzione, altre manifestazioni obiettivamente contrastanti con la sicurezza pubblica, come quelle compiute contro la donna dopo l’uscita dal carcere. 
Il Tribunale osserva inoltre che:
- la giurisprudenza, sia nazionale che europea, ha chiarito che il venir meno della attuale e concreta pericolosità dipende non dal semplice decorso del tempo o dallo stato di detenzione ma dal compimento di atti volontari positivi che indichino in modo inequivoco ed incontrovertibile che il soggetto ha cambiato condotta di vita. Tali azioni che invece mancano nella vicenda in esame; 
- la Corte di Cassazione ha individuato la regola cui attenersi per accertare la pericolosità sociale: selezionare i fatti, dando particolare importanza alle sentenze definitive di condanna.
Per i fatti descritti è quindi evidente che, applicando i criteri di orientamento del rischio individuati nel piano nazionale antiviolenza, l’ex compagna del pregiudicato si trova in uno stato di grave pericolo.
Il pregiudicato va dunque considerato pericoloso per la sicurezza in relazione al rischio concreto di atti persecutori per la parte lesa.
Il Tribunale, evidenziando come il reato di atti persecutori sia stato inserito nel disegno di legge (concernente il codice antimafia attualmente all’esame del Senato) tra quei reati che consentono di applicare le misure di prevenzione anche solo in presenza di indizi, decide di applicare, sulla base dei gravi fatti sopra esposti la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di due anni e sei mesi.
Inoltre, l’ulteriore misura dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora deve essere applicata per esercitare un controllo sociale più efficace.
Fra le diverse regole da seguire, il pregiudicato ha dato il consenso a sottoporsi a un piano terapeutico, e il Tribunale, precisando che tale consenso andrà “costantemente monitorato”, stabilisce una “ingiunzione terapeutica”.
Il soggetto deve seguire un piano di trattamento terapeutico che lo porti, attraverso indicazioni specifiche degli esperti incaricati, a prendere coscienza del forte disvalore delle sue condotte violente contro soprattutto tre donne, una delle quali uccisa. La scopo, è che impari a contenere le sue pulsioni e che dia un senso critico a quanto compiuto.
La metodologia concreta da seguire in tale trattamento sarà decisa dal servizio che il Tribunale individua nel C.I.P.M. (Centro Italiano per la Promozione della Mediazione) di Milano , diretto dal criminologo dott. Giulini, per la “particolare competenza ed esperienza nella osservazione criminologica degli autori di reati di genere”. 
Il pregiudicato deve poi rispettare le seguenti regole, sempre per due anni e sei mesi:
- fissare, uscito dal carcere la propria dimora e farla conoscere all’autorità di P.S., non allontanandosene senza preventivo avviso all’autorità di P.S.;
- cercare un lavoro, vivere onestamente, rispettare le leggi, non associarsi abitualmente a persone che hanno subito condanne e/o sono sottoposte a misure di prevenzione e/o di sicurezza;
- non rincasare la sera più tardi delle ore 22.00 e non uscire la mattina prima delle ore 7.00 senza comprovata necessità e senza averne dato tempestiva notizia all’autorità locale di P.S.;
- non detenere e portare armi;
- non partecipare a riunioni in luogo pubblico per le quali deve essere dato preavviso alle pubbliche autorità;
- non frequentare i luoghi (residenza, dimora, lavoro, luoghi di vacanza o di viaggio o altro) normalmente frequentati dalla ex compagna;
- mantenersi in ogni caso ad almeno un chilometro di distanza dalla vittima e allontanarsi immediatamente in caso di incontro assolutamente occasionale;
- astenersi dal mettersi in comunicazione (telefonica, telematica o qualsiasi altra) con la vittima;
- prendere immediatamente contatto con il centro specialistico per sottoporsi ad un programma di osservazione trattamentale secondo il programma stabilito dagli esperti. 

Il Tribunale decide infine di rendere noto alla vittima il provvedimento giudiziario, a cura della Questura di Milano Divisione Anticrimine, in modo che l’ex compagna possa sapere quale è la situazione dell’aggressore e possa tutelarsi al riguardo.

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VERSO

1) Stalking. Quando il giudice protegge: il Tribunale di Milano sottopone  a “ingiunzione terapeutica” il persecutore per proteggere l’ex compagna e altre donne che eventualmente decidano di frequentarlo e decide di trasmettere, pur non avendone l’obbligo, il provvedimento giudiziario alla vittima in modo che possa sapere quale è la situazione detentiva dell’aggressore.    

Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, decreto 19 ottobre 2017
D E C R E T O nei confronti di: 
……. nato a …. il …….  residente a Milano …… 
Attualmente detenuto presso la casa circondariale di Pavia 
Assistito e difeso dall’avv. R. C. del foro di Milano via …. Milano nominata di fiducia (21/9/2017)
all’esito dell’udienza camerale del 19 ottobre 2017, svoltasi in assenza del proposto a cui è stato notificato il decreto di convocazione in data 13/9/2017;
 - sentito il P.M. che ha chiesto l’accoglimento della proposta;
- sentito il difensore che  ha chiesto il rigetto della proposta o comunque un’applicazione in forma attenuata;
- esaminati gli atti ed a scioglimento della riserva formulata;
osserva…….. è stato proposto dalla Questura di Milano con atto depositato in data 7/9/2017 per l’applicazione della misura della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza/dimora per la durata di anni 3 qualificata dal divieto di frequentazione dei luoghi normalmente frequentati da Argentino Emanuela avanzata ai sensi degli artt. 1 e ss D.L.vo 159/11.
Nella prospettiva dell’organo proponente gli elementi di fatto dai quali desumere un giudizio di pericolosità sociale si fondano sulle seguenti recenti vicende giudiziarie che hanno contraddistinto la vita del proposto secondo quanto riportato nella proposta:
Data e luogo del fatto
Natura del reato o periodo di detenzione
Fonte della informazione e descrizione del fatto
Pena irrogata
21.06.2005
Avviso Orale 
Questura di Milano “Comm.to Fiera” notificato provvedimento emesso da questo Ufficio il 04.06.2005 e scaduto il 03.06.2008  20.07.2005
Revoca dell’obbligo di presentazione alla p.g. 
Stazione Carabinieri di Milano Porta Sempione: dal 16.07.2005 revocato obbligo di presentazione giusta ordinanza nr.2229/2005 R.O.E. emessa il 19.04.2005 da codesta Procura 
08.02.2006 
Fermo di indiziato di delitto omicidio
Nucleo Operativo Carabinieri e Compagnia Carabinieri di Milano Duomo a conclusione di attività di indagine gli investigatori raccoglievano oggettivi e inequivocabili indizi sulla colpevolezza di … per il reato di omicidio della suocera B. F.. 
08.03.2006
Ordine di esecuzione per la carcerazione nr. 1074/2005 R.E. emessa il 25.02.2006 
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano per la pena di mesi 7 e giorni 28 di reclusione – si trovava già ristretto per omicidio. 
23.05.2007 
Arresti domiciliari
Casa Circondariale San Vittore: ammesso al regime degli arresti domiciliari giusta ordinanza nr. 19/06 R.G. Ass. del 22.05.2007  
07.06.2007
Indagato per minacce gravi
Questura di Milano ‘UPG’: veniva inviata una volante in questa Via Fleming 19 dove un uomo dichiarava di essere stato aggredito e picchiato senza apparente motivi da un condomino ed altra persona che si identificava in … e suo fratello. Gli stessi venivano raggiunti nel loro appartamento e negavano l’episodio con atteggiamenti violenti e autolesionistici. Il tutto mentre si trovava al regime di arresti domiciliari 
11.07.2007
Arrestato in esecuzione ordinanza di custodia cautelare
Stazione Carabinieri di Milano San Cristoforo – tradotto presso il Carcere di Milano San Vittore poiché gravemente indiziato di reati contro la persona – nr. 5488/06 Not. reato e nr. 19/06 Reg. Gen. Corte d’Assise 18.10.2012
Disposto affidamento ai servizi sociali 
Dimesso dalla Casa di Reclusione di Bollate perché disposto l’affidamento ai servizi sociali giusta ordinanza nr. 4166/12 Sius emessa dal Tribunale di Sorveglianza il 17.10.2012  16.06.2014 
Arrestato in ottemperanza all’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza datato 14.06.2014 
Stazione Carabinieri di Milano Barona: arrestato per sospensione misura alternativa dell’affidamento terapeutico con la detenzione carceraria poiché aveva iniziato ad avere nei confronti della propria moglie atteggiamenti persecutori e ingiuriosi
08.07.2014
Ordinanza di revoca dell’affidamento in prova
Tribunale di Sorveglianza di Milano: emessa ordinanza di revoca dell’affidamento ai servizi sociali a far data 31.10.2013 01.06.2016
Espiazione pena 
Ministero della Giustizia: comunicazione dell’avvenuta dimissione per espiazione pena
29.10.2016
 Denunciato per violazione art. 612 C.P. 
Questura di Milano ‘Comm.to Porta Ticinese’: alle ore 00.30 personale della volante interveniva dopo la segnalazione della presenza di una persona ferita e soccorsa da personale del 118 in una via della città. Veniva qui rintracciato Palmisano che raccontava di aver avuto un alterco con alcuni conoscenti. Trasportato in ospedale per le ferite riportate lo stesso cambiava versione asserendo di essere stato assalito da un uomo che indicava essere l’amante della propria compagna. Alle successive ore 03.00 gli agenti operanti notavano lo stesso  transitare in via Primo Mazzolari in evidente stato di agitazione dicendo di voler raggiungere la propria compagna a casa per ucciderla dando fuoco alla sua abitazione e dopo si sarebbe procurato un’arma per uccidere il suo amante. Gli operanti cercavano di portarlo alla ragione, venivano quindi raggiunti da A. E. sua fidanzata davanti alla quale …. dava in escandescenza e la minacciava di morte. ….. veniva accompagnato in Questura per essere denunciato per violazione art. 612 del C.P. 
04.11.2016
Denunciato per rapina
Questura di Milano ‘Comm.to Porta Ticinese’: derubava con violenza una cittadina di un prodotto di pasticceria appena acquistato
05.12.2016 
Arrestato per violazione art. 612 Bis del C.P.
Questura di Milano ‘Ufficio Prevenzione Generale’: alle ore 20.30 personale delle volanti veniva inviato in questa via Carlo Torre poiché una cittadina tale A. E. nata a Milano il ….. richiedeva il nostro intervento poiché era stata minacciata con una pistola dal suo ex compagno. La donna si presentava in evidente stato di agitazione e la stessa riferiva che ….. in compagnia di suo figlio minore intorno alle 20.00 l’aveva intercettata in questo Viale Tibaldi e l’aveva insultata. La stessa dunque decideva di prendere l’autobus sempre seguita dal …. e suo figlio e continuava ad insultarla. Lo stesso quindi scendeva dal mezzo pubblico e brandendo la pistola col calcio della stessa dava dei colpi sul vetro del bus, terrorizzando così tutti i passeggeri. L’A. quindi scendeva all’altezza di viale Cassala e contattava così le forze dell’ordine. Cominciava così la ricerca di …. che alle ore 21.20 veniva rintracciato. Lo stesso poco collaborativo si procurava delle lesioni colpendo un muro con una testata. L’arma non veniva ritrovata al suo seguito e dunque veniva effettuata una perquisizione domiciliare. All’interno dell’appartamento si trovavano i figli minori e la madre. Veniva quindi escusso … il figlio minore presente all’episodio delittuoso il quale confermava che il padre era in possesso di una pistola con cui aveva minacciato A. E. 
Giudicato con rito direttissimo veniva comminata la custodia cautelare in carcere. 



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FRONTE

2) Femminicidio. Quando il giudice non protegge:  il Tribunale di Messina condanna i magistrati per aver ignorato le denunce di una donna, poi uccisa dal marito, ma non può  risarcire i figli per la perdita della madre poiché la legge limita il risarcimento ai soli casi di privazione della libertà personale.    

Tribunale di Messina, Sezione I, sentenza 30 maggio 2017
Uno zio chiede allo Stato il risarcimento dei danni subiti dai suoi nipoti a causa dell’omicidio della madre, sua sorella, uccisa dal marito nonostante avesse presentato nei suoi confronti dodici querele.
Responsabili della morte della donna, secondo lo zio tutore dei minori, sono i magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone, che, ignorando le querele presentate dalla vittima tra il settembre del 2006 ed il settembre del 2007, non hanno fatto in modo di evitare che il marito potesse ucciderla.
Le querele della donna, che si stava separando dal marito, riguardavano ingiurie, danneggiamenti, minacce, violenze e danneggiamenti. A sua volta, anche il marito aveva querelato la moglie e persino ottenuto, in un primo momento, l'affidamento dei tre figli. La vicenda, infatti, era caratterizzata da un furioso conflitto tra i coniugi, con accuse reciproche, perizie psichiatriche, assistenti sociali, tribunali.
La somma richiesta allo Stato per la responsabilità dei magistrati a titolo di danno patrimoniale è di 259.000 € mentre è di 1.500.000 € per ciascun figlio a titolo di danno non patrimoniale subito per la perdita del rapporto con la madre.
Nel giudizio si costituisce la Avvocatura dello Stato per Presidenza del Consiglio dei Ministri che  contesta ogni addebito. 
Il Tribunale di Messina accoglie in parte le richieste del ricorrente e stabilisce che:
- la questione va trattata alla luce della legge, del 1988 e modificata nel 2015, sulla responsabilità dei magistrati per aver causato un danno ingiusto a seguito di un atto, un provvedimento o un comportamento adottato o negato, con dolo o colpa grave, o per diniego di giustizia (per rifiuto, ritardo od omissione di atti del proprio ufficio);
- la legge prevede che vi sia colpa grave quando il magistrato:
-- viola la legge per negligenza non scusabile,
-- afferma, per negligenza inescusabile, l’esistenza di un fatto che è, invece, palesemente escluso dagli atti del procedimento,
- nega, sempre per negligenza inescusabile, l’esistenza di un fatto che risulta esistente agli atti del procedimento,
-  emette un provvedimento riguardante la libertà personale delle persone al di fuori dei casi previsti dalla legge o senza motivazione;
La legge esclude che vi sia responsabilità per l’attività d’interpretazione di norme di diritto, o per la di valutazione di fatti o prove. E la Corte di cassazione ha sottolineato che si tratta di un principio importantissimo, vista la sua funzione di tutela dell’indipendenza del giudice.
Inoltre, la Corte di cassazione ha chiarito che la colpa grave si manifesta anche quando il magistrato manipoli a piacimento le norme giuridiche, dando luogo ad una decisione assurda e contraria alla logica ed alla volontà del legislatore.
Entrando nel merito della vicenda per i fatti denunciati dalla donna, il Tribunale distingue due fasi:
1) la prima, fino alla querela del 27 settembre 2006, quando o vigeva il divieto di applicare misure cautelari personali (come ad esempio, l’allontanamento dalla casa familiare), o queste erano previste solo in caso di flagranza di reato, e il marito della donna non era mai stato sorpreso a schiaffeggiare la moglie, o ad insultarla, o a danneggiarle la macchina;
2) la seconda, dalla querela del 2 giugno 2007 quando però tutto cambia perché la donna ha denunciato di aver trovato in più occasioni il marito con un coltello con lama di dieci centimetri tra le mani, mentre, con aria di sfida e minaccia, fingeva di pulirsi le unghie, ed anche di essere stata apertamente minacciata con un arco artigianale con una freccia metallica ricavata dall’antenna televisiva ; per queste querele, da cui si poteva dedurre, se non la volontà di uccidere almeno la possibilità che facesse male alla moglie, non risulta che la Procura si sia mossa per ordinare perquisizioni (personale o locale) o altri tipi di indagine violando la norma costituzionale seocndo cui il “Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. 
Il Tribunale di Messina rilevando la sostanziale inerzia della Procura rileva  poi che per affermare la responsabilità dei magistrati, e quindi l’obbligo dello Stato al risarcimento, occorre verificare se l’azione fosse stata invece compiuta, avrebbe potuto impedire il fatto o almeno attenuarlo;
- nel caso in questione, è fondato ritenere che se fosse stata ordinata una perquisizione, sarebbe stato trovato il coltello con cui poi la vittima è stata uccisa e perciò si sarebbe potuto salvare la donna;
- e quindi, con negligenza inescusabile, i magistrati non hanno adottato i dovuti atti che avrebbero consentito di neutralizzare la pericolosità sociale dell’uomo ed evitato “l’omicidio della donna”; 
- sulla quantificazione del danno, la legge (sulla responsabilità civile dei giudici del 1988), applicabile ai fatti in esame (prima delle modifiche intervenute nel 2015), limita il risarcimento del danno non patrimoniale alla sola ipotesi di privazione della libertà personale, quindi il Tribunale di Messina non ha potuto accogliere la richiesta di risarcire i figli per la perdita del rapporto con la madre;

- è stato invece accolto il risarcimento di danno patrimoniale richiesto di 259.200 € stimato in base a criteri che il Tribunale ha potuto condividere.

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VERSO

2) Femminicidio. Quando il giudice non protegge:  il Tribunale di Messina condanna i magistrati per aver ignorato le denunce di una donna, poi uccisa dal marito, ma non può  risarcire i figli per la perdita della madre poiché la legge limita il risarcimento ai soli casi di privazione della libertà personale.   

Tribunale di Messina, Sezione I, sentenza 30 maggio 2017  

Nella causa civile iscritta al n. 5384/2015 Reg. Gen. assunta in decisione all'udienza del 15.03.2017, promossa da Calì Carmelo, cod. fisc.CLA CML 67 B20 Z133E, nella qualità di genitore adottivo di....., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alfredo Galasso e Licia D'Amico, elettivamente domiciliato in Messina Via XXIV Maggio n. 18 presso lo studio legale Tommasini, Ricorrente contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, cod. fisc. 80188230587, in persona del Prediente pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale di Stato di Messina, presso i cui uffici, siti in Via dei Mille is. 221 è ope legis domiciliata, Resistente
OGGETTO: responsabilità magistrati ai sensi della legge 117/1988. Conclusioni: le parti precisano le conclusioni riportandosi a tutto quanto dedotto ed eccepito negli atti e verbali di causa.
IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Carmelo Calì nella qualità di tutore di .... -oggi in Calì a seguito dell'avvenuta adozione dei minori da parte del ricorrente-, figli di .... Marianna e ... Saverio, ha agito in giudizio al fine di far accertare la responsabilità del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone e/o dei magistrati da lui designati ai sensi degli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 117/1988 per l'omicidio di .... marianna ad opera del marito, ... Saverio, consumato in data 3 ottobre 2007. Il ricorrente ha esposto che ... Marianna, nel periodo compreso tra il mese di settembre 2006 ed il mese di settembre 2007, ha presentato alle Autorità competenti dodici querele nei confronti del marito, autore di violenze fisiche, aggressioni, minacce a suo danno e che, ciononostante, la Procura della Repubblica di Caltagirone nulla ha fatto per impedire la consumazione dell'omicidio della donna. Il ricorrente ha esposto che la procura di Caltagirone avrebbe omesso -così integrando gli estremi della negligenza inescusabile- di porre in essere i dovuti atti di indagine che avrebbero consentito di neutralizzare la pericolosità sociale del ..., ovvero non avrebbe: 1) disposto l'interrogatorio del..., 2) sollecitato gli organi competenti ad emettere un trattamento sanitario obbligatorio, ai sensi dell'art. 73 c.p.p., 3) disposto il ricovero presso una casa di cura o ospedale psichiatrico a titolo di misura di sicurezza persoanle ex art. 206 c.p., 4) richiesto l'applicazione della misura di sicurezza ex art. 219, comma 3 c.p.. Il ricorrente ha chiesto, pertanto, il risarcimento dei danni subiti dalla prole della p 1 i i i a causa della uccisione della madre ad opera del marito, sub specie di danno patrimoniale nella misura di € 259.000,00 -consistente nella perdita di reddito derivante dalla attività lavorativa svolta dalla .... e di danno non patrimoniale per perdita del rapporto parentale nella misura di€ 1.500.000,00 per ciascun figlio.
Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccependo l'inammissibilità del ricorso per intervenuto decorso del termine biennale previsto dall'art.  della legge 117/88; ha contestato ogni addebito di responsabilità evidenziando che nessuna negligenza era imputabile alla Procura; infine ha dedotto l'infondatezza della pretesa risarcitoria relativamente al danno non patrimoniale. Con decreto depositato il 20.07.2012 il Tribunale di Messina ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per tardività dell'azione. La decisione di inammissibilità ai sensi degli artt. -5 della legge 117/88 è stata confermata dalla Corte di Appello di Messina che ha rigettato il reclamo proposto da Calì Carmelo.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 12 settembre 2014 n. 19265, ha accolto le doglianze del ricorrente ed ha cassato il provvedimento impugnato, rinviando il giudizio alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione personale. Con pronuncia del 17.7.2015 n. 15095 la Corte di Cassazione, in correzione del precedente provvedimento, ha così disposto "cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Messina affinché proceda, come giudice di primo grado, al giudizio di merito in ordine alla domanda risarcitoria proposta dall'odierno ricorrente nei confronti della Presidenza del Consiglio dei
Ministri". Correttamente riassunto il giudizio davanti al Tribunale di Messina, alla udienza del 24.06.2016 sono state precisate le conclusioni e il giudizio è stato assunto in decisione con concessione dei termini, ai sensi del!' art. 190 c.p.c., per lo
scambio degli scritti difensivi.
La causa, con ordinanza dell' 11. 01.1 7, è stata rimessa in istruttoria, onerando la parte più diligente alla produzione in giudizio di documentazione non rinvenuta agli atti e la cui esistenza è risultata pacificamente ammessa dalle parti. Alla udienza del 15 .3 .1 7 sono state precisate le conclusioni ed il giudizio è stato assunto a sentenza concedendo termine di 20 giorni per il deposito delle comparse conclusionali e successivo termine di 20 giorni per le memorie di replica.
2. Preliminarmente si osserva, contrariamente all'assunto dell'Avvocatura di Stato, che il Tribunale non è più tenuto a pronunciarsi sulla ammissibilità del ricorso, atteso che, come risulta dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 15095/2015 , "è pacifico che la cassazione del provvedimento di inammissibilità, alla luce del citato art. 5 della legge n.117 del 1988 e della menzionata giurisprudenza, implica per ciò solo la delibazione del fumus boni iuris della domanda, la conclusione della fase di ammissibilità del giudizio di responsabilità civile e l'inizio della relativa fase di merito davanti al giudice di primo grado".

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FRONTE

3) C’è badge e badge. E’ illegittimo controllare il dipendente attraverso la lettura a distanza della sua tessera magnetica che controlla in modo continuo, permanente e globale i lavoratori.  

Cassazione civile, Sezione Lavoro, 14 luglio 2017, n. 17531
Una nota società di trasporti licenzia un dipendente poiché dai dati acquisiti mediante il sistema di badge in uso emergono anomalie sulla sua effettiva presenza in servizio.
Il lavoratore fa causa al Tribunale di Napoli che accoglie il suo ricorso, annullando la sanzione, sulla base delle seguenti circostanze accertate nel corso del giudizio:
- la società datrice di lavoro si è dotata di un sistema di controllo (a radio frequenza) differente dal cartellino marcatempo, generalmente in uso presso le aziende, per rilevare l'orario di entrata ed uscita del dipendente;
- il sistema utilizzato dalla società, infatti, attraverso la lettura a distanza della tessera magnetica in dotazione al lavoratore permette di acquisire dati ulteriori rispetto all'ora di entrata e uscita (ad esempio, qualsiasi interruzione o sospensione del servizio nel corso della giornata lavorativa, sia all’interno che all’esterno dei locali aziendali) inviandoli in tempo reale alla centrale operativa;
- il sistema deve pertanto considerarsi non un rilevatore solo di presenze ma uno strumento di controllo a distanza dei dipendenti, vietato dallo statuto dei lavoratori in assenza di uno specifico accordo sindacale.
La Corte d'appello di Napoli conferma la sentenza del primo giudice.
La controversia giunge poi alla Corte di Cassazione che respinge il ricorso del datore di lavoro sulla base dei seguenti motivi:
- gli accertamenti eseguiti dal Tribunale e confermati in appello hanno appurato che il sistema in uso presso la società non si limitava a rilevare l’orario di entrata/uscita dei dipendenti ma realizzava di fatto un controllo a distanza dei lavoratori;
- è fondamentale contemperare il diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore di lavoro di garantire l’organizzazione, la produzione e la sicurezza del lavoro, ma ciò non può prescindere dal rispetto delle norme di garanzia previste dalla legge. Pertanto il datore di lavoro che intenda utilizzare uno strumento di controllo a distanza dei lavoratori deve prima concordarlo con le rappresentanze sindacali o avere l’autorizzazione scritta dell’ispettorato del lavoro. In mancanza di queste necessarie cautele il controllo a distanza dei lavoratori è illegittimo.

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VERSO

3) C’è badge e badge. E’ illegittimo controllare il dipendente attraverso la lettura a distanza della sua tessera magnetica che controlla in modo continuo, permanente e globale i lavoratori.  
Cassazione civile, Sezione Lavoro, 14 luglio 2017, n. 17531

SENTENZA n. 17531 del 14 luglio 2017 
sul ricorso 22293/2013 proposto da:
GRANDI STAZIONI S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio degli avvocati CARLO BOURSIER NIUTTA, MARCELLO DE LUCA TAMAJO, che la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
C.N., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell'avvocato SERGIO VACIRCA, rappresentato e difeso dall'avvocato GIUSEPPE FERRARO, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
avverso la sentenza n. 1466/2013 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/04/2013 R.G.N. 4591/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/03/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbimento dell'incidentale condizionato;
udito l'Avvocato ANTONIO ARMENTANO per delega verbale Avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA; udito l'Avvocato GIUSEPPE FERRARO.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 23.3.2011, il Tribunale di Napoli dichiarò l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 3.6.2010 a C.N. dalla Grandi Stazioni s.p.a., con ordine di reintegra e condanna della società al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società, evidenziandone l'erroneità per aver ritenuto illegittimo il sistema "badge" in uso nel'azienda.
Resisteva il C..
Con sentenza depositata l'11 aprile 2013, la Corte d'appello di Napoli rigettava il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Grandi Stazioni, affidato a due motivi.
Resiste il C. con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato a quattro motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

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FRONTE
) Separati ma in casa. Proseguire la convivenza in regime di separazione contrasta con i principi che ispirano la normativa in materia familiare.

Tribunale di Como, 29 maggio - 6 giugno 2017
Una coppia di coniugi presenta al Tribunale di Como un’istanza affinchè l’accordo di separazione venga omologato dal giudice cui è assegnato il compito di controllare che le modalità stabilite consensualmente dai coniugi siano legittime e opportune, soprattutto riguardo agli eventuali figli. Nella istanza i coniugi chiedono di essere dichiarati separati poiché non provano più reciproco sentimento né attrazione fisica e nel contempo manifestano l’intenzione di proseguire la loro convivenza sotto il medesimo tetto, da “separati in casa”.
La coppia motiva l’intendimento di proseguire la convivenza a tempo indeterminato con la volontà di preservare le risorse economiche familiari, di agevolare il percorso scolastico del figlio nonché per garantire alla moglie malata adeguata assistenza personale. Il Tribunale non accogliere la richiesta per i seguenti motivi:
1)  le parti possono determinare liberamente la propria sfera personale e familiare ma, comunque, all’interno del perimetro giuridico riconosciuto dalla legislazione vigente;
2) la coabitazione rappresenta uno dei doveri previsti dal codice civile a fondamento della vita coniugale e, pertanto, non si può affermare la validità di un accordo di separazione volto a preservare la coabitazione una volta che sia cessata la comunione spirituale e materiale tra le parti;
3) l’impossibilità della convivenza costituisce uno dei presupposti della separazione, conseguentemente tale intollerabilità non si può ravvisare laddove gli stessi coniugi progettino di prorogare la convivenza sotto il medesimo tetto;
4) il desiderio di proseguire la convivenza in regime di separazione non trova corrispondenza in alcuno strumento giuridico nel nostro ordinamento.
Per tutti i motivi esposti il Giudice non accoglie la pretesa avanzata dai coniugi di ottenere un riconoscimento giuridico al loro accordo poiché il suo contenuto non è previsto dall’ordinamento vigente, anzi si pone in contrasto con i principi che ispirano la normativa in materia familiare.
Peraltro, se si acconsentisse a una separazione consensuale svincolata da riferimenti oggettivi ci si presterebbe facilmente ad operazioni elusive per finalità anche illecite.

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VERSO
4) Separati ma in casa. Proseguire la convivenza in regime di separazione contrasta con i principi che ispirano la normativa in materia familiare.

Tribunale di Como, 29 maggio - 6 giugno 2017

le condizioni di separazione contemplate nel ricorso concernono sostanzialmente (stante la dichiarata autosufficienza economica di entrambi i coniugi, la comproprietà della casa familiare, e la presenza di un figlio maggiorenne, studente), il sostegno economico a quest'ultimo nonché la gestione dell'habitat familiare;
essendo lo accordo dei coniugi elemento fondante delle condizioni di separazione, l'atto in cui si realizza il consenso circa la separazione ha natura negoziale ancorché non contrattuale, incidendo su diritti soggettivi, in tale contesto il decreto di omologa svolge la funzione di controllare la compatibilità della convenzione pattizia rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché, in presenza di figli minori, ovvero maggiorenni non autosufficienti economicamente, di compiere ex art. 158 2 co c.c. la più pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative ad affidamento e mantenimento allo interesse degli stessi (cfr. Cass. 9287/97, 2602/13);
ciò premesso in fatto e in diritto, devesi rilevare che le condizioni (di cui ai paragrafi 3 - 4 - del ricorso) relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e al fondo di risparmio accantonato per il figlio risultano corrispondenti allo interesse del giovane; lo stesso deve dirsi quanto al paragrafo 5, relativo alla fruizione delle vetture dei coniugi, questioni che rivestono un indubbio contenuto economico, al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare, e non contrastano con alcuna norma cogente;
quanto alle condizioni relative alla gestione della casa familiare, di cui al paragrafo 2, si impongono invece una serie di rilievi; detto paragrafo prevede infatti che i coniugi proseguano la convivenza a tempo indeterminato, ovvero sino a quando le condizioni economiche familiari non consentiranno di reperire una diversa soluzione abitativa; non viene cioè fissato alcun termine, neppure indicativo, per il rilascio della casa familiare (evidentemente non materialmente divisibile) da parte dell'uno o dell'altro coniuge, né detto termine può essere altrimenti supposto, con riferimento a futuri miglioramenti economici, essendo entrambi i coniugi lavoratori dipendenti, quindi versando in condizione reddituale tendenzialmente stabile, e non avendo indicato le ragioni dello eventuale auspicato incremento dei rispettivi redditi;

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FRONTE

5) Uso “improprio” della giustizia. Il condomino non può chiedere la condanna del Condominio per mettere a norma l’impianto elettrico comune poiché ha a disposizione ben altri ed efficaci rimedi a tutela della comproprietà della cosa comune.   

Cassazione civile, Sezione VI, 5 luglio 2017, n. 16608
Nel 2007 il proprietario di un appartamento si rivolge al Tribunale di Palermo contro il Condominio sostenendo che i lavori di adeguamento dell’impianto elettrico alla normativa europea erano stati mal eseguiti e avevano causato sia al proprio che ad altri appartamenti, nonché alle luci della scala comune, continue interruzioni di energia.
Il condomino chiede al giudice di condannare il Condominio:
ad eseguire i necessari lavori e rendere l'impianto elettrico conforme alle disposizioni di legge;
a risarcire i danni patrimoniali (rottura del frigo e della lavatrice, per € 10.000) e non patrimoniali subiti.
Il Condominio non partecipa al giudizio.
Il Tribunale accoglie la domanda risarcitoria, nel ridotto importo di € 5.000 e condanna il Condominio al rifacimento dell'impianto elettrico.
A questo punto il Condominio impugna la decisione davanti alla Corte d'Appello di Palermo poiché se dalle relazioni tecniche, di entrambi i gradi di giudizio, risulta che l'impianto elettrico condominiale non era a norma, con conseguenti carenze funzionali e di sicurezza, ciò non comporta di per sé che dal quel cattivo funzionamento derivino mal funzionamenti nel singolo appartamento.
Il Giudice d’Appello condanna quindi il condomino al pagamento delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio a favore del Condominio. La controversia viene infine portata dal condomino, che ritiene ingiusta la decisione, davanti alla Corte di Cassazione che così decide:
1. il diritto invocato dal proprietario del singolo appartamento è infondato. Infatti il Codice civile delimita l'estensione dell'impianto elettrico condominiale all'inizio degli impianti delle singole unità immobiliari, al "punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini". Per questa ragione, la responsabilità del Condominio si ferma prima delle diramazioni nei vari appartamenti, i cui impianti elettrici devono ricevere manutenzione dai singoli proprietari. 
2. il diritto di uso dell’impianto condominiale, che ciascun condomino può vantare, ha il suo fondamento nel rapporto di comproprietà della cosa comune. Quindi il singolo condomino non può richiedere la condanna del Condominio a mettere a norma dell'impianto elettrico comune come se si trattasse dell’adempimento di una prestazione contrattuale.
3. Il singolo condomino, comproprietario della cosa comune ha invece a disposizione ben altri rimedi giuridici quali:
- le impugnazioni delle deliberazioni assembleari,
- i ricorsi contro i provvedimenti dell'amministratore,
- la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore,
- il ricorso all'autorità giudiziaria per l’amministrazione della cosa comune,
- una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione nel provvedere alla riparazione o all'adeguamento dell'impianto comune.

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VERSO

5) Uso “improprio” della giustizia. Il condomino non può chiedere la condanna del Condominio per mettere a norma l’impianto elettrico comune poiché ha a disposizione ben altri ed efficaci rimedi a tutela della comproprietà della cosa comune.   

Cassazione civile, Sezione VI, 5 luglio 2017, n. 16608
L.M.R. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi avverso la sentenza della Corte d'Appello di Palermo n. 1941/2015 del 29 dicembre 2015. La sentenza impugnata ha accolto l'appello del Condominio (OMISSIS), avverso la sentenza n. 833/2009 del Tribunale di Palermo, ed ha così rigettato le domande proposte dal L.M. con citazione del 6 novembre 2007, volte ad ottenere la condanna del Condominio (OMISSIS), a rendere l'impianto elettrico che fornisce il suo appartamento conforme alle disposizioni di legge ed ad eseguire i necessari lavori, nonchè a risarcire i danni materiali e non patrimoniali subiti. L.M.R. aveva dedotto che, a seguito dei lavori di adeguamento dell'impianto elettrico condominiale alla normativa comunitaria, eseguiti in modo non conforme alle regole dell'arte, si erano verificate nella sua unità immobiliare di proprietà esclusiva continue interruzioni della fornitura di energia elettrica, come anche malfunzionamenti in altri appartamenti e nella luce scala. Da tali continui black out e variazioni di tensione elettrica il L.M. aveva sostenuto di aver ricevuto danni per la rottura del frigorifero e della lavatrice, con esborsi pari ad Euro 10.000,00. Il Tribunale aveva accolto la domanda risarcitoria per l'importo di Euro 5.000,00 ed aveva condannato il Condominio al rifacimento dell'impianto elettrico. La Corte d'Appello, viceversa, evidenziava che le relazioni di CTU espletate nei due gradi di giudizio avessero accertato che l'impianto elettrico condominiale non fosse in regola rispetto alle normative tecniche, e perciò rivelasse carenze funzionali e di sicurezza. Pur tuttavia, sempre alla luce delle risultanze peritali, la Corte di Palermo negava l'esistenza di un nesso causale tra il cattivo funzionamento dell'impianto condominiale e quello pertinente la proprietà esclusiva del L.M., come anche tra i difetti dell'impianto comune ed i danni subiti dall'attore.
Il primo motivo di ricorso di L.M.R. denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. e art. 1117 c.c., non essendosi la Corte d'Appello pronunciata sulla domanda di condanna del Condominio al ripristino ed alla messa a norma dell'impianto elettrico condominiale.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 4, avendo la Corte di Palermo negato il collegamento tra il cattivo funzionamento dell'impianto elettrico condominiale e quello del condomino, senza enunciare la motivazione seguita, ed anzi andando contro le risultanze di entrambe le CTU.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 2043 c.c., non avendo la Corte collegato il nesso causale al fatto del Condominio, responsabile del danno.
Il quarto motivo censura la violazione dell'art. 91 c.p.c., avendo la Corte di Palermo posto a carico dell'appellante anche le spese processuali e gli onorari di difesa sostenuti in primo grado dal Condominio, il quale era invece rimasto contumace davanti al Tribunale.

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