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mercoledì 4 novembre 2015

4 novembre 1966. E seguenti...

Ricordo molto bene quel giorno del 1966: ero all'Accademia di Belle Arti di Roma nella mia aula a disegnare dal  vero con i miei compagni e la nostra modella aveva la radiolina accesa per sentire e farci sentire un po ' di musichetta, quando cominciarono ad arrivare le prime frammentarie notizie di quanto stava accadendo a Firenze, ma anche nella Maremma: l'Arno straripato in più aree che aveva invaso la città,  l'Ombrone più a sud che aveva rotto gli argini e il ponte dell'Aurelia, l'Esercito che stava partendo al soccorso.

 Erano circa le 11.30 e con due amici ci guardammo, sconvolti , ma con lo stesso pensiero.
Dabbasso c'era un telefono a gettone, uno dopo l'altra chiamammo a casa per dire che non saremmo tornati per pranzo e neanche per cena, inventammo lì per lì di dover lavorare urgente a un progetto chiesto dal prof. di architettura  Per tre quattro giorni dovevamo lavorare a tempo pieno dove eravamo più attrezzati per disegnare assieme.
Non so come reagirono gli altri genitori, ma mia madre incasso' la bugia senza problemi.

 E partimmo, prima in autostop, poi beccammo lungo la via Aurelia una colonna di camion dell'esercito in marcia per raggiungere Firenze da sud attraverso la Maremma. Il ponte sull'Ombrone era scomparso e il fiume aveva occupato la pianura scorrendo come un vero fiume in piena.
04.11.1966 Alluvione di Firenze a Prato



La colonna che ci ospitava riuscì a passare solo perché nel tempo che ci avevamo messo ad arrivare fin lì i soldati di stanza a Grosseto erano riusciti a costruire un ponte di fortuna. Proseguimmo, sballottati dentro al camion che non era certo comodo, non riuscivamo ad orientarci, la notte calò presto come sempre in novembre e poi continuava a piovere. Quando finalmente riuscimmo ad arrivare, per quale strada non so, probabilmente la Cassia, ormai quasi albeggiava.











I ponti avevano retto all'urto della piena: passando dal ponte Santa Trinita si vedeva il Ponte Vecchio ancora ben saldo, ma con le botteghe praticamente sott'acqua,
Ci distribuirono degli stivali di gomma che indossammo lasciando le nostre scarpe sul camion, poi ci scaricarono tutti in piazza Santa Croce e mentre gli altri andavano a vedere di informarsi su come e dove renderci utili, ricordo che sono entrata come un lampo dentro la chiesa.




Il pavimento era ancora tutto coperto di fango che mi arrivava quasi al bordo degli stivali e si vedeva però che l'acqua era arrivata ben più su, fino ad ingoiare quasi interamente il Crocifisso meraviglioso di Cimabue di cui ricordavo ogni centimetro.....

Crocifisso di Santa Croce 


 Questo sopra è l'immagine di come è ora, dopo anni di restauro.
Solo parte della testa era ed è stata risparmiata dall'onda puzzolente..
In quell'alba grigia, in mezzo al fango, sono rimasta lì davanti, a piangere come un'imbecille, e ancora adesso mi viene da piangere ogni volta che ci penso.



 Poi mi sono buttata nel lavoro assieme agli amici vecchi e nuovi e a mani nude, con i vestiti coi quali eravamo partiti, abbiamo come formiche operose raccolto pulito alla meglio spostato trascinato quintali di codici alluvionati strappati dalle viscere del Palazzo Vecchio, dall'Archivio di Stato di Firenze, opere d'arte sommerse dal fango, senza curarci del cibo e del sonno, caricandoli sui camion coi quali eravamo arrivati per portarli dove potessero essere salvati, puliti, restaurati.

 In gran parte furono portati nell'Archivio di Stato all'EUR.









4 novembre 1966 a Firenze gli Angeli del fango




Firenze, Piazzale Michelangelo

angeli del fango


Firenze, Angeli del Fango





all'Accademia dei Georgofili



all'Archivio Centrale dello Stato a Roma-EUR



Qualcuno ci ha chiamato "angeli del fango", ma avevamo di angelico probabilmente solo l'ingenuità e la purezza d'animo di adolescenti ben allevati, ben educati ad amare la cultura e probabilmente l'aspetto, adolescenti o poco più come eravamo ma già pronti a metterci in gioco per ciò che ritenevamo importante.
E aiutare i Fiorentini a salvare la loro Cultura, che era (ed è) anche Nostra Cultura, sapevamo per istinto e per educazione civile che era non solo importante, ma indispensabile.
Il fango invece era tanto, appiccicoso, puzzolente e terribile, pronto ad ingoiare tutte le stupende opere dell'ingegno e della meravigliosa tecnica che sono l'indispensabile per l'arte, pronto a diventare un veicolo di infezioni e malattie pericolose. Pronto a divorare le carte, le miniature, le dorature, i materiali dei colori distesi sulle tavole per rappresentare la bellezza...

Quell'alluvione e ciò che ne seguì fu in realtà una opportunità fantastica per conoscere e conoscerci tra noi, scambiarci esperienze, pensieri, informazioni, amicizia, sesso. Perché non c'era il web, allora, e per comunicare avevamo a disposizione la scuola ( non tutti), il telefono ( non tutti e solo se ti conoscevi ) e la posta, che funzionava, allora.
Eh sì, perchè chiacchierammo e parlammo e come no, mentre ficcavamo le mani nella melma per ripescare i codici dell'archivio e i pacchi di lettere e ce li passavamo di mano in mano fino ai camion dove i soldatini, nostri coetanei in divisa, li stipavano per portarli ai centri di recupero....

Nei centri di recupero ci ritrovammo poi per mesi in molti  "angeli" a proseguire il lavoro di salvataggio, staccando foglio da foglio, mettendo tra le pagine quintali di carte assorbenti, lavorando di notte, dopo scuola e/o lavoro, con sul naso sciarpe intrise di profumi dozzinali e fortissimi che compravamo ai grandi magazzini per riuscire a sopravanzare e ignorare il puzzo orribile dei residui dell'alluvione in via di decomposizione sulle carte.

Ma è stata anche quella una esperienza eccezionale: mi sono passate per le mani lettere autografe preziose, da messaggi di Machiavelli a contratti di Donatello  e mappe catastali delle famiglie fiorentine dal 1200  complete di disegno acquarellato delle intere costruzioni in varie viste e persino degli animali e degli alberi presenti!

Sono convinta che i fermenti studenteschi che già avevano cominciato a coagularsi intorno alla questione Zanzara a Milano e  intorno all'omicidio di Paolo Rossi a Roma trovarono terreno eccellente di coltura proprio là, in quella incredibile esperienza tra il fango dell'alluvione e la montagna di carte degli archivi dove i documenti della Storia ci sono stati letteralmente messi in mano per studiarceli dal vero e non per sentito dire e abbiamo avuto l'opportunità imprevista di conoscerci liberamente.
Come è andata poi fa parte del mito. Ma la Storia è nei documenti.

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