""TERZA INTIFADA, L'APPELLO DI BARGHOUTI: "È L'ORA DELLA RESISTENZA ARMATA". SUI SOCIAL NETWORK APPELLI A INVESTIRE I COLONI ""
pubblicato su
http://www.huffingtonpost.it/2014/11/11/terza-intifada_n_6138484.html?utm_hp_ref=italy
Le macabre vignette di
dalla STAMPA di oggi, 11/11/2014, a pag. 12, con il titolo
"Canzoni, vignette e social network: investire i passanti diventa pop"
«Investi un bimbo di 2 mesi, investii coloni, trasforma la strada in una trappola, per AI Aqsa, investili, investili»: sono le strofe di «Car Intifada» la canzone che il tandem pop palestinese Anas Garadat e Abu Khayad ha postato su Facebook riscuotendo un successo che riassume e descrive le caratteristiche dei recenti attacchi anti-israeliani compiuti con trattori, auto e pulmini a Gerusalemme.
Se la loro pagina Facebook «MoslimMan.Rok» da venerdì a oggi ha registrato oltre 350.000 visualizzazioni, oltre 25.000 «mi piace» ed è stata condivisa almeno 17.000 volte è perché quando recita «Benedetto Akari Ibrahim» - l'autore dell'attacco con il pulmino di mercoledì scorso che ha fatto un morto e 14 feriti - e ripete «Facciamolo per AI-Aqsa» declina la rivolta anti-israeliana in un gesto personale, facendone un vettore della cultura popolare palestinese.
Come fermare gli assassini (e chi li lascia fare)
Il problema si può esprimere in questa maniera: che cosa bisogna fare con gli assassini? Meglio ancora, con coloro che cercano di commettere omicidi? Uno stato democratico e un popolo civile come fanno a fermare un'ondata di uccisioni?
La risposta è semplice, mi direte voi. Bisogna fermarli, scoprirli prima se possibile, se no arrestarli durante o dopo la loro azione, bloccarli se occorre anche con la forza. Buona risposta, condivido. Ma se gli assassini sono tanti? Lo stesso, mi dite voi, e in più arrestare gli organizzatori. E se i legami fra loro sono laschi, se agiscono soprattutto per imitazione e per ideologia, sulla base del fatto che episodi simili sono esplicitamente approvati dal loro ambiente? Come si va a prendere della gente che ha pochi legami organizzativi, singoli individui? Voi mi dite che bisogna seguire le armi. Pistole e mitra costano, le bombe non sono facilissime da costruire, ci vuole una rete, dei soldi: quelli vanno scoperti e sequestrati, quella deve essere indagata e bloccata. Così si arriva anche agli attentatori che vanno fermati, incarcerati, espulsi. Certo, è una tattica nota, che applicano anche i servizi di sicurezza europei e americani (quando dei giudici non processano gli agenti che difendono la nostra sicurezza, come è accaduto in Italia non tanto tempo fa).
Ma adesso c'è una novità. Gli assassini hanno capito di non aver proprio bisogno dei mitra e degli esplosivi. Come non hanno più bisogno di dirottare gli aerei, dopo che la sicurezza è stata rafforzata abbastanza da renderglielo impossibile. Certo, le azioni degli anni Settanta e Ottanta, con centinaia di passeggeri prigionieri nelle piste della Libia, della Giordania e dell'Uganda erano molto spettacolari, facevano una bella pubblicità. Ma quando non è stato più possibile sono passati agli attentatori suicidi. E ora, quand'è diventato difficile fare anche questi attentati? Semplice, si usano i sassi, le molotov, i coltelli. E le automobili. Tutti oggetti mortali, se usati con determinazione. Ma semplici da procurare, impossibili da bloccare, e così “poveri” da suscitare facilmente simpatia negli sprovveduti.
Chi di voi ha un'automobile? Avete mai pensato, avvicinandovi alle strisce pedonali di accelerare e travolgere un po' di passanti, magari qualche bambino, che non conoscete ma hanno l'aria di appartenere ai vostri avversari? Io guido da quasi cinquant'anni, francamente ho fatto molte trasgressioni, ho parcheggiato dove era proibito, ho superato i limiti di velocità... ma non ho mai pensato di usare la macchina come un'arma. E i sassi? Lo facevano i ragazzini disturbati dai ponti sull'autostrada, qualche anno fa. Ma chi ha pensato di usare le pietre per ammazzare i propri nemici? I sassi sono dappertutto e se ne tirate tanti, qualcuno certamente morirà... Non parliamo dei coltelli, che si trovano in ogni cucina, in ogni officina. Ve ne mettete uno in tasca e zac! lo infilate nella pancia al primo che passa. Non lo conoscete, ma anche lui fa parte della tribù che odiate.
Ecco, va così. In Israele va così, ma fra un po' andrà così anche nelle nostre strade, sono mode che si diffondono. Come reagisce un paese civile a un'epidemia del genere? Difendersi è molto difficile. Come faccio a sapere che la macchina che si avvicina mentre io passo sulle strisce non solo potrebbe non fermarsi per imprudenza, idiozia o ubriachezza, ma potrebbe proprio puntarmi addosso? Anche se evito di attraversare (difficile...), i marciapiedi non sono certo una difesa. E come faccio a sapere che lo sconosciuto che incontro non ha un coltello per sbudellare il primo che incontra, cioè proprio me? Se mi muovo in macchina, come mi garantisco da una scarica di sassi dietro alla prima curva? Se prendo un tassì, l'autista non potrebbe uccidermi? Se chiedo un passaggio, sono sicuro che non mi rapiscano? Se accetto di andare in gita con un compagno di lavoro, come posso sapere che non mi spaccherà la testa con una pietra, nel primo sentiero isolato? Lo ripeto, succede oggi in Israele, tutte queste cose sono accadute negli ultimi mesi, settimane, giorni (oltre a qualche pistolettata a un leader religioso che lo ha lasciato in fin di vita, questo lo sapete). Ma domani certamente avverrà qui.
E allora, come si reagisce? Il tassista che ha assassinato una ragazza sua cliente dalle parti di Nazareth, il clandestino che ha accoltellato il soldato a Tel Aviv, i due investimenti di Gerusalemme e quello di Gush Etzion, che finora hanno fatto quattro morti, il killer che ha sparato al rabbino Glick, non si conoscevano affatto, l'accoltellatore della ragazza uccisa ieri in Giudea: non avevano ricevuto armi o finanziamenti (almeno non granché). Non facevano parte di una rete. Non “lupi solitari” come ha scritto qualcuno in relazione agli attentatori della maratona di Boston o agli assassini di Tolosa e Bruxelles (vedete che sono già qui?). Piuttosto conformisti del crimine, imitatori, obbedienti ad appelli alla guerra santa. Come fermarli? Certamente si potrebbe permettere alle vittime di difendersi, allentare le regole di ingaggio per poliziotti e militari, si potrebbero fare rappresaglie, come abbattere le case degli attentatori. Probabilmente in Israele bisognerà farlo, per riguadagnare un po' di deterrenza, rendere più difficile il lavoro sporco degli assassini. Ma non basta e i rischi di aumentare il disordine sono grandi.
E allora? Bisogna punire i mandanti. Coloro che con la propaganda, la diffusione degli esempi, la santificazione degli attentatori precedenti, l'appello alle “giornate della rabbia” e altre idiozie del genere alimentano il crimine, in buona parte lo provocano. Almeno in Israele, non è difficile trovarli. Ci sono pesci piccoli nei movimenti islamici delle città arabe di Israele e perfino alla Knesset, il parlamento israeliano. Ma i pesci grossi sono altrove: a Gaza e a Ramallah. Hamas e Fatah. E per quanto riguarda Fatah, un nome fra tutti: il suo leader, che è anche il dittatore dell'Autorità Palestinese, da quasi dieci anni senza il fastidio di elezioni e da sei senza un parlamento: Mahmud Abbas. Netanyahu e Bennett l'hanno detto con chiarezza: il primo responsabile dell'ondata di omicidi è lui, un qualunque tribunale se il caso non fosse politico lo condannerebbe per apologia di reato e per concorso.
C'è però un piccolo problema, che la materia è politica. Che Abbas è l'uomo di Obama (e ora anche della Mogherini, io lo trovavo esteticamente più adatto alla Ashton, ma contenta lei...). Insomma, che è appoggiato massicciamente dalle diplomazie europee e americana. Le quali, prontissime a protestare pesantemente quando il governo israeliano annuncia che si è firmata la licenza edilizia per un paio di palazzi in un sobborgo di Gerusalemme (“questo fatto è grave e suscita dubbi sulla volontà di pace del governo israeliano”) sugli assassini di gente qualunque, di bambini di tre mesi, di ragazza, di passanti (purché abbiano l'aria ebraica, naturalmente), non dicono niente. Dunque, Abbas è il mandante e i leader americani e europei ne sono i complici. Ci sarebbe un solo modo per fermare gli attentati “a bassa intensità” come quelli di questi giorni: che le diplomazie internazionali rendessero chiaro ad Abbas che se continuano gli omicidi sarà lasciato al suo destino, senza un euro o un dollaro e senza appoggi politici. Ma questo non accade. Tutto il contrario, quanto più Fatah e i media dell'Autorità Palestinese (che sono sotto il controllo di Abbas) spargono l'epidemia dell'omicidio libero, tanto più gli europei si affrettano a riconoscerlo, a tributargli onori.
C'è un solo modo per fermare i complici degli assassini, rendere chiaro che lo sono. Provo a farlo qui.
Signori commons, membri del parlamento inglese; signori membri del governo svedese, signori senatori irlandesi, eccellenza Lady Pesc, guardatevi le mani: sono sporche. Dello stesso sporco di cui Macbeth non riusciva a pulirsi, per quanto si lavasse continuamente, di uno sporco che non va via e di cui siete responsabili di fronte alla storia: quello del sangue delle vittime innocenti che anche grazie ai vostri “obiettivi politici”, al vostro “riconoscimento”, alla vostra teoria di uno stato palestinese inesistente ma necessario, per cui si può bene consumare qualche assassinio, sono state prese di mira e uccise.
Voi non avete ammazzato nessuno, è chiaro.
Il sangue non lo avete sparso voi.
Ma state lasciando che questo avvenga.
Non potete fare finta che non vi riguardi.
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
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