Indice:
1) Per la Consulta il cambio di sesso di un coniuge non consente la prosecuzione del matrimonio anche se entrambi i coniugi desiderano proseguire nella relazione coniugale. La Corte Costituzionale lancia però un monito al Parlamento : la coppia ha diritto di conservare la propria relazione, anche se omosessuale, ed è compito del legislatore disciplinare tale diritto con un'altra forma di convivenza registrata che tuteli i reciproci diritti e i doveri.
2) Il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale. Per le coppie eterosessuali -stabili, in età fertile e quando uno dei due sia affetto da infertilità o sterilità assoluta- l’accesso al materiale genetico esterno è legittimo quando è l’unico rimedio terapeutico per avere figli. Per la Consulta il desiderio di divenire genitori è incoercibile e il sacrificio imposto non è giustificato dalle esigenze di tutela del nascituro già garantite dalle norme vigenti.
3) Tecnologia e diritto : la notifica a mezzo posta certificata elettronica (pec) è valida se c’è la ricevuta automatica di avvenuta consegna. La notifica a mezzo pec è equiparata alla notifica a mezzo posta ed è irrilevante che il destinatario non abbia poi aperto il messaggio.
4) Quando al bar sembra di essere al saloon. Alcool, bicchieri in frantumi e atti osceni secondo il gestore del bar e gli avventori del locale. Euforia e affettuosità secondo l’interessato e la sua accompagnatrice. La Corte di Cassazione conferma che la condotta scomposta e violenta è un reato.
5) Il condomino è sempre parte del Condominio ? Anche quando arriva la parcella dell’avvocato del Condominio che gli ha fatto causa ? La Corte di Cassazione pronuncia una innovativa sentenza sulla ripartizione delle spese legali.
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FRONTE
1) Il cambio di sesso di un coniuge non consente la prosecuzione del matrimonio.
Il matrimonio presupposto dalla Costituzione è quello tra persone di sesso diverso. Una coppia, tuttavia, ha il diritto di conservare la propria relazione, anche se omosessuale, ed è compito del Legislatore disciplinare tale diritto e tutelarlo.
Un uomo decide di cambiare sesso e di diventare donna, trovando il consenso della moglie. Su ordine del Tribunale, quindi, l’Ufficiale di stato civile annota in calce all’atto di matrimonio il mutamento del sesso del marito, e, contestualmente, la “cessazione degli effetti del vincolo civile del matrimonio”.
La coppia si rivolge ai giudici per ottenere la cancellazione di quest’ultima annotazione, poiché non intende interrompere la vita coniugale.
Il procedimento arriva dinanzi alla Corte di Cassazione, che solleva questione di legittimità costituzionale con riferimento alla legge 164/1982 in tema di “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso” e che prevede automaticamente la risoluzione del matrimonio a seguito della modificazione della identità sessuale. In pratica all’altro coniuge non è riconosciuto il diritto di opporsi allo scioglimento del proprio matrimonio anche se entrambi i coniugi abbiano intenzione di proseguire la vita comune.
Allora, la Cassazione chiede alla Consulta di chiarire se questa sorta di “divorzio imposto” sia compatibile con la Costituzione, con il principio di uguaglianza e con la tutela del matrimonio. Più in generale, la Corte chiede se una simile ipotesi sia conciliabile con il sistema dei diritti personali delineato dalle norme costituzionali ed europee, che vede tutelato anche il diritto ad autodeterminarsi nelle scelte relative all’identità sessuale, come pure il diritto alla conservazione della propria relazione, quando essa sia stabile e continua, com’è nel matrimonio.
La Consulta ritiene che la questione di costituzionalità sollevata sia fondata, ma chiarisce che:
1) il modello di matrimonio delineato nel nostro ordinamento presuppone, come requisito essenziale, l’eterosessualità;
2) data questa premessa, è evidente che la legge 164/1982 non contrasta con la norma che tutela il matrimonio (poiché il matrimonio tutelato è quello tra persone di sesso diverso), né con il diritto alla difesa perché non è ammissibile un diritto della coppia non più eterosessuale a rimanere unita nel vincolo del matrimonio, né, infine, il principio di uguaglianza (poiché la particolarità del caso, che vede lo scioglimento del matrimonio per il mutamento del sesso di uno dei coniugi, giustifica una differente disciplina);
3) tuttavia, è inammissibile paragonare il rapporto che sopravvive alla fine del matrimonio ad un’unione nuova di persone dello stesso sesso, perché ciò equivale a cancellare, sul piano giuridico, la vita vissuta insieme dai coniugi, durante la quale essi hanno maturato reciproci diritti e doveri, anche di rilievo costituzionale che se non possono più esprimersi nel modello matrimoniale non sono, di per ciò stesso, sacrificabili ;
4) la norma costituzionale violata, allora, è l’art. 2, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e tra queste rientra anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso;
5) a tali unioni spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia e di ottenere il riconoscimento giuridico dei reciproci diritti e doveri: è tuttavia il Legislatore che deve garantirlo, trovando una formula adeguata alla sua tutela.
VERSO
1) Il cambio di sesso di un coniuge non consente la prosecuzione del matrimonio.
Corte costituzionale, 11 giugno 2014, n. 170.
“…1.−Nel corso di un giudizio promosso da una coppia sposata per ottenere la cancellazione della annotazione di «cessazione degli effetti del vincolo civile del [loro] matrimonio», che l’ufficiale di stato civile aveva apposta in calce all’atto di matrimonio, contestualmente all’annotazione, su ordine del Tribunale, della rettifica (da “maschile” a “femminile”) del sesso del marito, la Corte di cassazione – adita in sede di impugnazione avverso il decreto della Corte di Appello di Bologna che, in riforma della statuizione di primo grado, aveva respinto la domanda dei ricorrenti – ha sollevato con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale:
1) «dell’art. 4 della legge n. 164 del 1982 [Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso], nella formulazione anteriore all’abrogazione intervenuta per effetto dell’art. 36 del d.lgs. n. 150 del 2011 [Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69], nella parte in cui dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca l’automatica cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso senza la necessità di una domanda e di una pronuncia giudiziale, con riferimento ai parametri costituzionali degli artt. 2 e 29 Cost., e, in qualità di norme interposte, ai sensi degli artt. 10, primo comma, e 117 Cost., degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo con riguardo ad entrambi i coniugi»;
2) «degli artt. 2 e 4 della l. n. 164 del 1982 con riferimento al parametro costituzionale dell’art. 24 Cost., nella parte in cui prevedono la notificazione del ricorso per rettificazione di attribuzione di sesso all’altro coniuge, senza riconoscere a quest’ultimo il diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale nel giudizio in questione, né di esercitare il medesimo potere in altro giudizio, essendo esclusa la necessità di una pronuncia giudiziale dalla produzione ex lege dell’effetto solutorio in virtù del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso»;
3) «degli artt. 2 e 4 della l. n. 164 del 1982 con riferimento all’art. 24 Cost., negli stessi termini di cui sub 2), con riguardo al coniuge che ha ottenuto la rettificazione di attribuzione di sesso»;
4) «dell’art. 4 della l. n. 164 del 1982 con riferimento al parametro costituzionale dell’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di regime giuridico tra l’ipotesi di scioglimento automatico, operante ex lege, del vincolo coniugale previsto da tale norma in relazione all’art. 3, quarto comma, lettera g) della l. n. 898 del 1970 e successive modificazioni e le altre ipotesi indicate in detto art. 3, sub. 1, lettera a, b, c) e sub 2 lettera d).».
1.1.− Nel motivare la rilevanza della questione, la Corte rimettente ha ritenuto, in premessa, che l’Ufficiale di stato civile abbia nella specie correttamente operato in presenza della suddetta sentenza di rettificazione di sesso ed in applicazione del citato art. 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164, che testualmente, appunto, dispone che «la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso […] provoca lo scioglimento del matrimonio celebrato con il rito religioso».
1.2.− Ha escluso poi quella Corte che la successiva legge 6 marzo 1987, n. 74 …
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FRONTE
Il divieto di ricorrere alla procreazione assistita di tipo eterologo per le coppie impossibilitate ad avere figli a causa di infertilità/sterilità assoluta e irreversibile è in contrasto con il diritto a realizzare pienamente la vita familiare, anche con i figli, e incide sul diritto alla salute psico fisica.
Il Tribunale ordinario di Milano, il Tribunale di Firenze ed il Tribunale di Catania sollevano questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge 40/2004, che pone “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.
A Milano il caso riguarda una coppia in cui il marito è affetto da infertilità assoluta e i coniugi chiedono che sia eseguita in loro favore la fecondazione eterologa, mediante donazione di gamete maschile; a Firenze, il caso riguarda ugualmente un marito sterile; a Catania, invece, è la moglie ad essere colpita da infertilità, a causa dell’avvento di una menopausa precoce e la coppia chiede di ricorrere all’ovodonazione.
Tuttavia, la legge 40 vieta la procreazione medicalmente assistita (PMA) di tipo eterologo, ossia, la fecondazione effettuata mediante donazione di gameti maschili (spermatozoi) o femminili (ovociti) da parte di un soggetto terzo rispetto alla coppia.
Poiché lo scopo dell’anzidetta legge è quello di “favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità della coppia mediante il ricorso alla PMA”, ai Tribunali di Milano, Firenze e Catania appare discriminatorio impedirne il ricorso proprio nel caso più grave, quello in cui uno dei coniugi è carente dei gameti idonei a concepire un embrione.
La legge 40, pertanto, violerebbe il principio di uguaglianza, nonché il diritto alla piena realizzazione della vita familiare e il diritto all’autodeterminazione. Sarebbe, infine, discriminatoria anche perché le coppie economicamente più ricche possono aggirare l’ostacolo legislativo recandosi all’estero per effettuare l’intervento desiderato.
L’Avvocatura generale dello Stato, al contrario, sostiene che la dichiarazione di incostituzionalità delle norme censurate creerebbe un pericoloso “vuoto normativo” e ritiene che la fecondazione eterologa leda il diritto del figlio a conoscere la propria identità genetica, con le relative implicazioni psicologiche. I Tribunali replicano che il diritto fondamentale alla maternità/paternità di soggetti “esistenti” non può essere compresso in nome del diritto attribuibile ad un’entità che non è ancora neanche venuta ad esistenza (embrione, feto).
La Corte ritiene effettivamente incostituzionale il divieto previsto dalla legge 40/2004, e spiega che:
1) il veto di fecondazione eterologa è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico proprio dall’art. 4 della legge 40 (poiché, in precedenza, l’applicazione della tecnica era lecita ed ammessa senza limiti) ed è privo di adeguate basi costituzionali. Tuttavia questo non basta per dichiarare incostituzionale il divieto, perché la soluzione di questioni che toccano temi etici particolarmente delicati spetta innanzitutto al Legislatore; la Corte, però, può verificare che il compromesso trovato sia un ragionevole bilanciamento di tutti gli interessi in gioco;
2) quindi, la scelta della coppia di formare una famiglia che abbia anche dei figli è espressione della fondamentale libertà di autodeterminarsi, che, anche se non è illimitata, non può incontrare un divieto assoluto;
3) inoltre il diritto alla salute va inteso in senso ampio, comprensivo della salute psichica, oltre che fisica, giacché gli atti di disposizione del proprio corpo, quando sono rivolti alla tutela della salute (anche psichica), sono leciti, e quindi ammessi;
4) in relazione alla tutela della salute psico/fisica, non ci sono differenze sostanziali tra PMA di tipo omologo ed eterologo quando ci si trova di fronte a patologie che sono causa di sterilità o infertilità assolute e irreversibili;
5) in questi casi, l’unico interesse contrapposto è quello della persona nata dalla fecondazione eterologa a conoscere le proprie origini genetiche, ma la formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli indipendentemente dal fattore genetico è già prevista nell’ordinamento, ed è l’istituto dell’adozione;
6) il divieto assoluto imposto dalla legge 40, dunque, è il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, perché determina un sacrificio eccessivo di quelli della coppia; esso, poi, provoca una discriminazione in base alla capacità economica dei soggetti coinvolti, che diventa intollerabile requisito per l’esercizio di un diritto fondamentale;
7) infine, è opportuno sottolineare che il potere della Consulta di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle leggi non può arretrare davanti al timore che ne derivi una carenza legislativa, che, comunque, non si verificherebbe, perché le norme della legge n. 40 riguardanti lo stato giuridico del nato ed i rapporti con i genitori sono applicabili interpretativamente anche al nato dalla fecondazione eterologa.
VERSO
2) Il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale.
Corte costituzionale, 10 giugno 2014, n. 162.
“…1.– Il Tribunale ordinario di Milano, il Tribunale ordinario di Firenze ed il Tribunale ordinario di Catania, con ordinanze dell’8 aprile, del 29 marzo e del 13 aprile 2013, hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3 Cost. (tutte le ordinanze), 2, 31 e 32 Cost. (la prima e la terza ordinanza), nonché (la prima ordinanza) agli artt. 29 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora in avanti: CEDU), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) (tutte le ordinanze) e degli artt. 9, commi 1 e 3, limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3», e 12, comma 1, di detta legge (la prima e la terza ordinanza).
2.– Il Tribunale ordinario di Milano premette che nel giudizio principale due coniugi hanno proposto reclamo ex art. 669-terdecies del codice di procedura civile chiedendo, in riforma dell’ordinanza pronunciata dal giudice di prima istanza, che sia ordinato in via d’urgenza ad un medico chirurgo al quale si erano rivolti, di eseguire in loro favore, secondo le metodiche della procreazione medicalmente assistita (di seguito: PMA) la fecondazione di tipo eterologo, mediante donazione di gamete maschile, a causa dell’infertilità assoluta, dovuta ad azoospermia completa, da cui risulta affetto il coniuge maschio.
Il rimettente deduce che, con ordinanza del 2 febbraio 2011, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale delle norme sopra indicate, in riferimento a molteplici parametri costituzionali, e questa Corte, con ordinanza n. 150 del 2012, ha ordinato la restituzione degli atti, per un rinnovato esame dei termini delle stesse, in considerazione della sopravvenuta sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo del 3 novembre 2011, ... e altri contro Austria.
2.1.– Il giudice a quo svolge ampie argomentazioni per sostenere che quest’ultima sentenza permetterebbe di ritenere che il divieto in esame si pone in contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU. A suo avviso, «devono, dunque, essere integralmente riproposti i principi illustrati e le argomentazioni dispiegate a sostegno della questione di legittimità costituzionale già sollevata», in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU.
2.2.– Secondo il rimettente, il quale implicitamente, ma chiaramente, deduce la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 5 della legge n. 40 del 2004, le disposizioni censurate si porrebbero, altresì, in contrasto con gli artt. 2, 29 e 31 Cost., poiché violerebbero il diritto fondamentale alla piena realizzazione della vita privata familiare ed il diritto di autodeterminazione delle coppie colpite da sterilità o infertilità irreversibile. L’art. 2 Cost. garantisce, infatti, anche il diritto alla formazione di una famiglia, riconosciuto dall’art. 29 Cost., mentre il successivo art. 30, stabilendo la giusta e doverosa tutela dei figli, reca un «passaggio che presuppone – riconoscendolo – e tutela la finalità procreativa del matrimonio». I concetti di famiglia e genitorialità dovrebbero essere, inoltre, identificati tenendo conto dell’evoluzione dell’ordinamento e del principio in virtù del quale «la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti» (sentenza n. 494 del 2002).
Il concepimento mediante pratiche di PMA non violerebbe il diritto del concepito al riconoscimento formale e sostanziale di un proprio status filiationis, «elemento costitutivo dell’identità personale», congruamente tutelato anche in caso di fecondazione eterologa, in considerazione dell’assunzione dei pertinenti obblighi da parte dei genitori biologici e non genetici. La citata sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo avrebbe, inoltre, confermato la riconducibilità del diritto in esame all’art. 8 della CEDU e, in definitiva, il diritto di identità e di autodeterminazione della coppia in ordine alla propria genitorialità sarebbe leso dal divieto di accesso ad un certo tipo di fecondazione anche quando, come nella specie, essa sia indispensabile.
2.3.– Le norme in esame violerebbero anche gli artt. 3 e 31 Cost., dato che i principi di non discriminazione e ragionevolezza rendono ammissibile la fissazione di determinati limiti ai diritti, ma vietano di stabilire una diversità di trattamento di situazioni identiche o omologhe, in difetto di ragionevoli giustificazioni.
La formazione di una famiglia, che include la scelta di avere figli, costituirebbe un diritto fondamentale della coppia, rispondente ad un interesse pubblico riconosciuto e tutelato dagli art. 2, 29 e 31 Cost. Obiettivo della legge n. 40 del 2004 sarebbe «quello di favorire la soluzione dei…
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FRONTE
3) Tecnologia e diritto : la notifica a mezzo pec è valida se c’è la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio: è irrilevante che il destinatario non lo abbia aperto per aver smarrito la password.
Il Tribunale di Bologna dichiara il fallimento di una società, la quale propone appello contro la sentenza. La società sostiene di non aver potuto leggere il messaggio di posta elettronica certificata (Pec), inviatole dalla cancelleria e contenente il ricorso del debitore e il decreto di convocazione all’udienza, per aver smarrito la relativa password: poiché non c’è la prova che il messaggio sia stato ricevuto dal destinatario, la notifica sarebbe da considerare come mai avvenuta. La Corte d’appello respinge questa tesi: in base alle norme vigenti, nel momento in cui il gestore della pec del destinatario invia al mittente la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio, si ha la certezza legale che quest’ultimo sia stato conosciuto dal destinatario stesso.
Quindi, è del tutto irrilevante che il messaggio non sia stato poi effettivamente aperto dal destinatario a causa della sua incuria: ciò che importa per considerare l’atto regolarmente notificato via pec è unicamente l’attestazione dell’avvenuta consegna del messaggio.
La Corte, al contrario di quanto sostenuto dalla società ricorrente, sottolinea inoltre come la notificazione per via telematica garantisca una maggiore certezza rispetto a quella eseguita con le modalità tradizionali e questo rende l’evoluzione del sistema di notificazione ormai irreversibile.
VERSO
3) Tecnologia e diritto : la notifica a mezzo pec è valida se c’è la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio: è irrilevante che il destinatario non lo abbia aperto per aver smarrito la password.
Corte D’ Appello di Bologna, 16 giugno 2014, n. 10587.
“…, …, …, hanno chiesto al Tribunale di Bologna di dichiarare il fallimento della … s.r.l., della quale erano dipendenti e creditrici per somme non ottenute a seguito di esecuzioni forzate, intraprese senza successo.
Il primo giudice nella contumacia della … s.r.l. ne ha dichiarato il fallimento, rilevando che i debiti scaduti superavano i 30.000,00 euro, che risultavano superati i limiti dimensionali, secondo quanto emergeva dei bilanci, e che la società era insolvente, attesta l’esistenza di crediti di lavoro non adempiuti e l’infruttuosità dei tentativi di esecuzione compiuti dall’Ufficiale giudiziario in data 16.8.2013.
Contro tale sentenza ha proposto reclamo la … s.r.l. rilevando che:
a) non v’era prova della notifica avvenuta a mezzo PEC, perché all’interno del fascicolo fallimentare v’è “attestazione di posta certificata pec aruba dell’avvenuta consegna di quanto spedito dal Cancelliere alla PEC del debitore … ma non vi alcuna certezza che tale notifica sia stata ricevuta dalla società fallita”, come emergerebbe anche dalla circostanza che a verbale del procedimento prefallimentare è scritto che il difensore delle ricorrenti ha depositato “ricorso regolarmente notificato alla società debitrice”, notifica, quest’ultima, …
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4) Quando al bar sembra di essere al saloon. La Corte di Cassazione conferma che la condotta scomposta e violenta è un reato.
Il reato di molestia o disturbo alle persone non è un reato continuato, per cui, ai fini della condanna, è sufficiente che il fatto molesto si sia verificato una sola volta.
L’avventore di un locale viene condannato a pagare 200€ di ammenda per molestie e disturbo, ai sensi dell’art. 660 del Codice penale. L’uomo avrebbe tenuto, sotto il probabile effetto dell’alcol, una condotta scorretta e violenta (colpi sul bancone, urla, rottura di bicchieri), creando disturbo agli altri presenti. Avrebbe anche tenuto atteggiamenti al limite dell’oscenità nei confronti della sua accompagnatrice.
Il condannato propone ricorso per Cassazione, sostenendo che la motivazione della sentenza sia illogica e contraddittoria. Infatti, il suo stato di euforia ed il conseguente atteggiamento affettuoso tenuto nei confronti della compagna non avevano portato nessuno dei presenti ad allontanarsi dal locale.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e afferma che:
1) il Tribunale ha correttamente motivato la propria sentenza, seguendo un percorso logico, che, partendo dalle prove raccolte, è giunto ragionevolmente alla decisione;
2) la ricostruzione analitica del fatto operata dal Tribunale ha chiaramente dimostrato l’atteggiamento inopportuno del ricorrente, che, con i suoi comportamenti, ha invaso illegittimamente la sfera di libertà degli altri presenti.
4) Quando al bar sembra di essere al saloon. La Corte di Cassazione conferma che la condotta scomposta e violenta è un reato.
Corte di Cassazione, Penale, Sez. I, 26 giugno 2014, n. 27873.
Corte di Cassazione, Penale, Sez. I, 26 giugno 2014, n. 27873.
“…1. Con sentenza del 13 giugno 2012 il Tribunale di Trento ha dichiarato … colpevole del reato previsto dall'art. 660 cod. pen., contestatogli per avere cagionato molestia e disturbo alle persone che si trovavano all'interno del locale "...", sito nel comune di …., e l'ha condannato alla pena di euro duecento di ammenda, mentre l'ha assolto dal reato di cui all'art. 527 cod. pen. per insussistenza del fatto e ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in ordine ai reati di minaccia e danneggiamento, di cui ai capi 2) e 3) della imputazione, escluse le rispettive circostanze aggravanti, per difetto di querela.
Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione di condanna per il reato di molestia e disturbo alle persone, che la condotta scomposta e violenta tenuta dall'imputato, verosimilmente alterato dall'alcool, nel locale, come descritta dai testi escussi e attestata dalle foto in atti, era di per sé produttiva di disturbo per le persone che erano all'interno dello stesso locale. Anche gli atteggiamenti inurbani, petulanti e scorretti tenuti dall'imputato nella fase prodromica, come quelli posti in essere - nonostante le ripetute rimostranze del gestore - nei confronti di …., che avevano fondato la iniziale contestazione di atti osceni in luogo pubblico, erano state tali da provocare disagio, tanto che il teste ... si era girato, durante tale fase, dando la schiena allo stesso imputato perché disturbato dalla sua condotta.
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FRONTE
In data 7 aprile 1995 l’assemblea di un Condominio di Cava dei Tirreni, in provincia di Salerno, approvava il rendiconto delle spese ordinarie e straordinarie addebitando a due condomini i costi relativi alle parcelle degli avvocati che avevano assistito il Condominio in una causa promossa nei loro confronti.
I due condomini impugnavano la delibera davanti al Tribunale di Salerno richiedendone l’annullamento dell’art. 1132 del codice civile che stabilisce che qualora l’assemblea abbia deliberato di intentare una causa o di difendersi in una causa promossa da terzi, il singolo condomino può esprimere il suo dissenso. In questo caso non sarà tenuto al pagamento delle spese legali.
In primo grado, il Tribunale di Salerno accoglieva le domande dei due condomini mentre la Corte d’Appello di Salerno, in secondo grado, dava ragione al Condominio.
La Corte di Cassazione ha invece accolto le ragioni dei due condomini affermando i seguenti principi:
- la lite giudiziaria è sorta tra il Condominio e il condomino, pertanto non si può applicare l’art. 1132 c.c., che disciplina l’ipotesi di lite tra il Condominio e un terzo estraneo;
- il caso in esame deve invece essere risolto applicando il seguente principio, già affermato dalla Cassazione in una decisione del 1970: quando si instaura una causa tra Condominio e singoli condomini, l’unità condominiale si scinde in due gruppi di condomini in contrasto tra loro; sarà il giudice a stabilire quale delle due parti in lite dovrà sopportare il pagamento delle spese legali sulla base delle sole regole processuali.
VERSO
5) Il condomino è sempre parte del Condominio ? Anche quando arriva la parcella dell’avvocato del Condominio che gli ha fatto causa ?
Corte di Cassazione, II Sez., Civile, 18 giugno 2014, n. 13885
Con atto di citazione notificato il 7 giugno 1995 … ed …., quali proprietari di unità immobiliari site nel fabbricato di (OMISSIS) (n. 3 appartamenti, n. 2 locali a piano terra ed un locale seminterrato adibito a video-pub-bar e paninoteca), evocavano, dinanzi al Tribunale di Salerno, il CONDOMINIO del medesimo stabile esponendo che l'assemblea condominiale in data 7.4.1995 (verbale comunicato l'8.5.1995) aveva approvato il rendiconto delle spese ordinarie e straordinarie al 30.9.1994 senza che agli attori, per deliberato ostruzionismo, fosse stato consentito di prendere visione della documentazione a supporto dei costi di bilancio e pur dichiarando di riservare ulteriori e più puntuali contestazioni all'esito dell'esibizione in giudizio degli atti invano richiesti, deducevano che non erano da loro dovute le spese legali indicate in L. 6.196.150, perché maturare nella vertenza promossa contro di loro, relative ad acconti all'avvocato..., nonché le spese legali dell'avvocato..., indicate in L. 4.403.790, e le spese legali versate all'ing..., in quanto pagamenti oggetto di precedente impugnativa, delle quali era già stato investito il Tribunale di Salerno;
aggiungevano i Condomini che nella medesima adunanza il CONDOMINIO aveva approvato il bilancio di previsione con un aumento del 10% rispetto alla precedente previsione di spesa, autorizzando l'amministratore ad applicare le tabelle correnti, salvo che per la spesa di manutenzione….
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