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martedì 11 febbraio 2014

FRONTE-VERSO newsletter febbraio 2014:

In questo numero:
1)Provvedimenti di contenimento dell’inquinamento acustico da rumore ferroviario. Di chi è la competenza ?

2) Occorre provare il danno morale subito a seguito alla irragionevole durata del processo ?

3) Omesso versamento dell’IVA a causa della crisi economica. Per escludere la colpevolezza occorre dimostrare la impossibilità dell’adempimento.

4) Per l’adozione della misura di prevenzione del “foglio di via obbligatorio” a carico di una prostituta è necessario che vi sia la prova concreta di pericolosità sociale, attraverso comportamenti di rilevanza penale.

5) I Comuni non possono adottare ordinanze di demolizione di opere conformi ai progetti presentati con la SCIA (la Segnalazione Certificata di Attività). La sanzione della demolizione deve essere proceduta da un procedimento di garanzia in contraddittorio con il privato.

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FRONTE
1)Provvedimenti di contenimento dell’ inquinamento acustico da rumore ferroviario. Di chi è la competenza quando si tratta di servizi pubblici essenziali ?

La competenza ad emanare provvedimenti contingibili e urgenti in materia di contenimento dell’inquinamento acustico spetta al Presidente del Consiglio dei ministri.

Il Sindaco di Domodossola emana un’ordinanza con quale chiede a Rete Ferroviaria Italiana-RFI di predisporre un documento con le misure di mitigazione degli effetti negativi del rumore ferroviario sulla salute dei residenti. L’ordinanza assegna un termine di trenta giorni per darne esecuzione.

L’ordinanza del Sindaco richiama un parere dell’ARPA Piemonte che colloca il Comune di Domodossola tra quelli che patiscono il maggior impatto sulla salute per gli alti livelli di rumore notturno, che, attraverso il disturbo del sonno, provocano alterazioni biologiche e patologiche.

Contro tale ordinanza la RFI propone ricorso al TAR, sostenendo, tra l’altro, che il Sindaco non è competente ad adottare ordinanze contingibili e urgenti nella materia delle emissioni sonore prodotte da infrastrutture ferroviarie.

Il TAR accoglie il ricorso e spiega che:

1) la Legge quadro sull’inquinamento acustico prevede che, in caso di eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente, il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della giunta regionale, il prefetto, il Ministro dell'ambiente, il Presidente del Consiglio dei ministri, a seconda della competenza, possono ordinare il provvisorio ricorso a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore;

2) tuttavia, quando si tratta di servizi pubblici essenziali, la stessa norma prevede che la predetta facoltà sia riservata esclusivamente al Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di uniformare l’azione amministrativa nella materia in questione, quando riferita ai servizi pubblici essenziali;

in tali ipotesi, infatti, venendo in rilievo interessi pubblici concorrenti, la sede di composizione del conflitto non può essere individuata a livello comunale, bensì nazionale, anche quando si tratti di provvedimenti contingibili e urgenti.

VERSO
1) Provvedimenti di contenimento dell’inquinamento acustico. Di chi è la competenza quando si tratta di servizi pubblici essenziali ? 
TAR Piemonte, Sez. I, 10 gennaio 2014, n. 51.
“……1. Con ricorso notificato in data 21 dicembre 2012 e 4 gennaio 2013 e depositato il 10 gennaio 2013, ….. ha impugnato l’ordinanza n. 226 del 5 novembre 2012 notificata il 19 novembre 2012 con cui il Sindaco di …. le ha ordinato di provvedere entro 30 giorni dalla ricezione dell’atto a "dare riscontro all’Amministrazione Comunale di …. delle misure di mitigazione che […..] intende attuare sul territorio comunale per evitare i rischi da rumore ferroviario e il potenziale impatto sulla salute dei residenti, in attesa della soluzione definitiva del problema", indicando, in particolare, "i tempi di messa in esecuzione "di tali misure di mitigazione, "che non potranno essere comunque superiori ad un mese a partire dalla data di trasmissione del documento di …".
2. Il provvedimento è stato adottato ai sensi degli artt. 50 e 54 del D. Lgs. 267/2000 e s.m.i. sulla scorta del parere reso dall’ARPA Piemonte SC Epidemiologia e Salute Ambientale del 20 luglio 2012 prot. n. 74949, nel quale – riporta il provvedimento - "sono descritti gli effetti negativi per la salute derivanti dal disturbo del sonno fisiologico nella popolazione e le soglie di rumore correlate con la comparsa delle alterazioni biologiche e patologiche studiate e riportate nella letteratura scientifica internazionale", con la precisazione, in particolare, che "i livelli di rumore notturno misurato, nei vari siti di misura, collocano la situazione dei Comuni di …. e …. nelle fasce con maggior impatto sulla salute, con percentuali di popolazione interessata dagli effetti sanitari collocabile tra il 20% e il 30%", e con la rilevazione di "valori…inaccettabili" dal punto di vista epidemiologico.
3. Attraverso quattro motivi di ricorso, la ricorrente ha lamentato:
I) la mancata comunicazione di avvio del procedimento, necessaria anche nel caso di ordinanze … per la sentenza integrale cliccare qui 
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FRONTE
2) Prova del danno morale per la irragionevole durata  del processo. 
Nel procedimento di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo, solo il danno patrimoniale deve essere provato in modo pieno e rigoroso, mentre il danno morale si presume sussistente fino a prova contraria.
Alcuni soggetti ricorrono alla Corte d’appello di Firenze per domandare l’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo precedentemente svoltosi dinanzi al TAR Lazio.
Il Giudice dichiara inammissibile il ricorso per l’equa riparazione a causa dell’indeterminatezza della domanda.
Anche la Cassazione lo dichiara a sua volta inammissibile, in quanto mancante del quesito di diritto.
Contro quest’ultima decisione viene proposto ricorso per revocazione.
La Corte di Cassazione, ravvisata la svista in cui è incorsa la precedente Sezione, dichiara fondata la domanda dei ricorrenti e, guardando al merito del ricorso per equa riparazione proposto dinanzi alla Corte d’appello di Firenze, chiarisce che:
1)               nel giudizio di equa riparazione per la durata irragionevole del processo, la parte ricorrente assolve all’onere della prova dimostrando la complessiva durata del processo ;
2)               il danno patrimoniale risarcibile è solo quello che trova la sua causa nell’irragionevole ritardo nella conclusione del processo, e ne è conseguenza immediata e diretta;
il danno non patrimoniale (morale), invece, non necessita di apposita prova, dal momento che consegue normalmente al protrarsi ingiustificato di un procedimento giurisdizionale; pertanto, nessun onere di doverlo dimostrare può essere addossato al ricorrente.

VERSO
2) Prova del danno morale per la irragionevole durata del processo.
Corte di Cassazione civile, Sez. II, 20 gennaio 2014, n. 1070.
“……
Con sentenza n. 25010 del 2011 (depositata il 25 novembre 2011 e non notificata), la Prima Sezione civile di questa Corte dichiarava l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nell'interesse dei ricorrenti indicati in intestazione avverso il decreto n. 453/08 della Corte di appello di Firenze adottato all'esito di un procedimento conseguente ad una domanda di equa riparazione formulata ai sensi della L. n. 89 del 2001 nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze. 
 I predetti ricorrenti hanno impugnato per revocazione ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c. la suddetta  sentenza deducendo che, con la stessa, il collegio aveva illegittimamente dichiarato  Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-01-2014, n. 1070 l'inammissibilità del ricorso, avendo fondato la sua decisione sull'errore di fatto della ritenuta insussistenza del quesito di diritto (imposto dall'art. 366 bis c.p.c., "ratione temporis" applicabile) a corredo dell'unico motivo avanzato, che, invece, risultava inequivocabilmente riportato a conclusione della medesima censura (per come potevasi rilevare, inequivocamente, a pag. 12 del testo del ricorso proposto avverso il decreto della Corte fiorentina). 
 Con ordinanza interlocutoria n. 12237 del 2013 (depositata il 20 maggio 2013), il designato collegio della 6^ Sezione civile di questa Corte dichiarava - in sede rescindente - l'ammissibilità del proposto ricorso per revocazione e rinviava per l'esame dell'adeguatezza del quesito - e, quindi … per  la sentenza integrale cliccare qui 
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FRONTE
3) Omesso versamento dell’IVA a causa della crisi economica : per escludere la colpevolezza occorre dimostrare la impossibilità dell’adempimento. Affinché sia integrato il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto è sufficiente non aver provveduto al versamento di quanto dovuto, senza che rilevi l’elemento soggettivo del reato.
La Sezione penale della Corte d’Appello di Milano condanna un contribuente per non aver pagato una certa somma a titolo di IVA entro il termine previsto.
Il contribuente propone ricorso per Cassazione sostenendo che, in precedenza, i Giudici non avevano adeguatamente considerato la mancanza dell’elemento soggettivo del reato di omesso versamento. Infatti, l’IVA non era stata versata solo a causa del grave momento di crisi economica vissuto dalla Società.
La Cassazione respinge il ricorso e precisa che:
1)               perché il reato possa ritenersi integrato nel suo elemento soggettivo, non è necessario che il contribuente si prefigga lo scopo determinato di evadere le imposte, ma è sufficiente che sia cosciente di farlo e che voglia farlo;
2)               inoltre, essendo un preciso onere del contribuente accantonare quanto via via incassato a titolo di IVA, lo stesso contribuente non può invocare la crisi di liquidità al momento della scadenza del termine lungo di versamento dell’imposta;
quindi, non può essere dedotta in modo generico la crisi economica per escludere la colpevolezza, ma è necessario indicare concretamente, e in maniera specifica, gli elementi da cui si evinca una reale ed “incolpevole” impossibilità all'adempimento.

VERSO
3)Omesso versamento dell’IVA a causa della crisi economica : per escludere la colpevolezza occorre dimostrare la impossibilità dell’adempimento. 
Corte di Cassazione penale, Sez. III, 21 gennaio 2014, n. 2614.
“……La Corte d'Appello di Milano con sentenza 17.4.2012 ha confermato la colpevolezza di … per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter rilevando, per quanto interessa:
- che l'erronea indicazione della data di consumazione del reato ((OMISSIS)) in luogo del (OMISSIS)) non integrava alcuna nullità del capo si imputazione perchè, trattandosi di condotta contestata in fatto, il termine per la presentazione della dichiarazione (e quindi la data di consumazione del reato) non poteva che essere quella del (OMISSIS) prevista dalla legge;
- che, quanto alla censura riguardante l'assenza dell'elemento soggettivo, la dedotta difficoltà nel pagamento del debito non aveva rilievo atteso che il soggetto passivo dell'imposta ha solo l'obbligo di versare l'IVA; pertanto, nel caso di specie, vi è stata destinazione a scopi diversi degli importi dovuti.
Il difensore ricorre per cassazione con due motivi. 
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente denunzia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) e c), la nullità del capo di imputazione in ordine alla determinazione del tempus commissi delicti, dolendosi della mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p. o della mancata trasmissione degli atti al PM in considerazione dell'errore della data di consumazione del reato contenuta nel capo di imputazione … per la sentenza integrale cliccare qui
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FRONTE
 4) Per l’adozione della misura di prevenzione del “foglio di via obbligatorio” a carico di una prostituta è necessario che vi sia la prova concreta di pericolosità sociale, attraverso comportamenti di rilevanza penale. 
A seguito di una modifica legislativa, non possono più essere sanzionati con la misura del foglio di via obbligatorio quei comportamenti che, pur qualificabili come disdicevoli o contrari al buon costume, non sono caratterizzati dalla rilevanza penale.
Il Questore di Perugia emana un provvedimento che vieta ad una prostituta straniera di fare ritorno nel Comune per un periodo di tre anni.
La donna propone ricorso al TAR Umbria, che lo respinge, e si rivolge, così, al Consiglio di Stato.
Anche il Consiglio di Stato dà ragione al Questore e afferma che:
1)               secondo il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”, il Questore può rimandare nel Comune di residenza le persone che sono ritenute pericolose per la sicurezza pubblica
2)               per l’applicazione della misura è necessario che i comportamenti concreti dell’interessato si configurino come un pericolo per la sicurezza pubblica, e assumano rilevanza penale;
3)               la prostituzione "di strada", di per sé, non costituisce reato, e, di conseguenza, non può ritenersi presupposto sufficiente per l'applicazione della misura di prevenzione in parola;
4)               tuttavia, nel caso di specie, l’esercizio della prostituzione assume rilevanza in quanto associato ai comportamenti penalmente rilevanti posti in essere dall’appellante;
5)               infatti, in passato, quest’ultima aveva minacciato di violenza fisica un’altra prostituta al fine di garantirsi il posto in una certa zona per l’esercizio del meretricio, e, inoltre, aveva minacciato di morte un’altra, dalla quale pretendeva che le fosse versato il corrispettivo della sua attività.

VERSO 
4) Per l’adozione della misura di prevenzione del “foglio di via obbligatorio” a carico di una prostituta è necessario che vi sia la prova concreta di pericolosità sociale, attraverso comportamenti di rilevanza penale. Consiglio Di Stato, Sez. III, 22 gennaio 2014, n. 288.
“……1.- La signora ...ha appellato la sentenza, n. 358 del 10 novembre 2011, con la quale il T.A.R. per l’Umbria ha respinto il ricorso da lei proposto avverso il provvedimento con il quale il Questore di …, in data 25 agosto 2010, le ha vietato di fare ritorno nel Comune di … per la durata di anni tre.
2.- L’appello non è fondato.
Come ha affermato il T.A.R. per l’Umbria nella sentenza appellata, il Questore di … ha fatto applicazione, nella fattispecie, dell’art. 2 della legge n. 1423 del 1956, le cui disposizioni sono ora contenute nell’art. 2 del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione). 
Ai sensi di tale disposizione il Questore può rimandare nel Comune dal quale si sono allontanate, con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, le persone che sono ritenute pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni.
3.- Per giurisprudenza pacifica tale misura può essere adottata nei confronti delle persone ritenute capaci di commettere o di vivere con abitualità di reati di natura delittuosa e nei confronti di coloro che siano sospetti di compiere reati idonei ad offendere determinati beni giuridici, identificati nella integrità fisica e morale dei minori, nella sanità, nella sicurezza e nella tranquillità pubblica.
E’ ritenuta comunque necessaria la presenza di circostanze tali da configurare una situazione rilevatrice di condizioni di pericolosità per la sicurezza pubblica, la quale, pur non per la sentenza integrale cliccare qui 
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FRONTE
5) I Comuni non possono adottare ordini di demolizione di opere conformi ai progetti presentati con la SCIA (la Segnalazione Certificata di Attività).  
La sanzione della demolizione deve essere proceduta da un procedimento di garanzia, a tutela del privato, quando le opere realizzate corrispondono   a quelle dichiarate.  
Nel  2011 il proprietario di un appartamento presenta un progetto per realizzare una serra sul suo terrazzo. La presentazione del progetto avviene non con la richiesta di un permesso di costruire ma con la più semplice e spedita procedura della SCIA (la Segnalazione Certificata di Attività). Un anno dopo la realizzazione della serra, l’Amministrazione ci ripensa,  contesta l’intervento ed ordina la demolizione dell’opera. Il proprietario si rivolge al TAR sostenendo la conformità delle opere alla normativa edilizie. Il proprietario contesta inoltre il fatto che il titolo autorizzativo si era oramai formato e che dunque l’amministrazione non poteva tout court emanare una ordinanza di demolizione. Il TAR gli dà ragione affermando che l’Amministrazione doveva attivare un procedimento di annullamento della SCIA instaurando un contraddittorio con l’interessato a garanzia dei suoi legittimi interessi. 

VERSO
  5) I Comuni non possono  adottare ordini di demolizione di opere conformi ai  progetti presentati con la SCIA (la Segnalazione Certificata di Attività).  
La sanzione della demolizione deve essere preceduta da un procedimento di garanzia, a tutela del cittadino, quando le opere realizzate corrispondono a quelle dichiarate.
TAR Lombardia, Sez. II, 24 gennaio 2014, Ordinanza n. 126 di accoglimento della domanda di sospensione dell’ordine di demolizione.
“……Ritenuto che il ricorso sia assistito da sufficiente fumus, in quanto l’Amministrazione intimata ha adottato l’ordinanza di demolizione nonostante i lavori effettuati siano conformi a quelli dichiarati con SCIA presentata in data 28 novembre 2011, senza rimuovere preventivamente, mediante l’esercizio dei propri poteri di autotutela, il titolo formatosi;
Ritenuto pertanto che l’istanza cautelare debba essere accolta;
Ritenuto che sussistano giustificate ragioni per disporre la compensazione delle spese relative alla presente fase di giudizio…
per la ordinanza integrale cliccare qui         
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per la cortesia di Avv. Ileana Alesso e di Avv. Maurizia Borea

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