Oggi un anno fa uno dei più cari amici della mia scatenata giovinezza, rimasto amico attraverso il passaggio dal secondo al terzo millennio anzi pure migliorato, visto che siamo anche riusciti a frequentarci un po' di più malgrado gli acciacchi, ha scelto proprio questa data per andarsene dove non so.
Addormentandosi pacificamente nel suo letto, lui che di mali incurabili stava facendo collezione ormai.
Gettando incurante, anzi forse ironicamente nella nevrosi dell'avidità e nella paranoia dei sensi di colpa una intera famiglia pugliese che aveva lasciato a quindici anni.
Stringendo nella tristezza dell'affetto troncato bruscamente l'altra famiglia, quella sua, quella che si era costruito attraverso il tempo nella metropoli tentacolare, Roma eterna.
Atto naturale il suo, come il nascere, semplice e definitivo, improvviso ma non certo inaspettato, anzi serenamente preventivato e calcolato, organizzato in un certo senso nei suoi effetti da lui stesso con il suo sano e solidissimo senso pratico.
Tutto quel che abbiamo vissuto insieme, quel che ci è passato addosso, mi sembra ogni giorno più lontano, parte di un universo che non esiste più e che qualche volta mi viene il dubbio che sia mai esistito.
Quel che mi circonda adesso lo sento sempre più falso ed inutile, proprio come sentivo falso ed inutile ciò che mi circondava alla fine del millennio scorso, e contro cui ho lottato con tutte le mie poche, povere forze, assieme a pochi illusi come me, per trasformarlo in gaiezza e amore. Ma non sono più adolescente, ho già abbondantemente doppiato il mezzo secolo, sono vecchia ormai, anche se il mio cervello non vuole adeguarsi.
Se il risultato dei miei, dei nostri sforzi, è quello che vedo e sento intorno a me dai media, dalla gente che incontro, dalle istituzioni dello stato, ora che forze me ne sono rimaste ben poche penso di invidiarti un po', Riccardo: ovunque tu sia sicuramente stai ben lontano da tutte queste meschinerie, anzi se le vedi sicuramente ti divertirai un mondo.
Buona libertà a te, amico mio.
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