Salute sessuale e salute generale- L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per prima ribadisce che una soddisfacente vita sessuale è un diritto di ogni essere umano, al pari del mantenimento di un buon stato di salute generale. Si moltiplicano, infatti, le evidenze della stretta correlazione tra sessualità sana e promozione/mantenimento della salute del singolo.
Il Consiglio dei Ministri europei (con la Raccomandazione R(98)7 regola n°68 consente ai detenuti di incontrare il proprio partner senza sorveglianza visiva. L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha raccomandato la necessità di mettere a disposizione dei detenuti un luogo per gli incontri.
Raccomandazione 1340(1997)
L'Art.8 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo stabilisce il "Diritto di stabilire relazioni diverse con altre persone, comprese le relazioni sessuali. Il comportamento sessuale è considerato un aspetto intimo della vita privata."
"Va profuso il massimo impegno nell'adozione, anche in via sperimentale, di tutte le possibili misure, organizzative e operative, adatte a valorizzare, nei limiti della normativa vigente, gli spazi e i momenti di affettività fra i detenuti e i loro congiunti e familiari. Occorre farsi carico di un nuovo modello trattamentale fondato sul mantenimento delle relazioni affettive, la cui mancata coltivazione rappresenta la principale causa del disagio individuale e un grave motivo di rischio suicidario. Bisogna fare perno sulla valorizzazione dei momenti di affettività per rafforzare i percorsi trattamentali."
Circolare DAP 24/04/2010-protocollo 0177644-2010
Alessandro Margara, quando era Direttore Generale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria operò una modifica dell'Ordinamento Penitenziario in questa prospettiva, ma la Corte dei Conti bocciò il provvedimento ritenendo necessaria una iniziativa legislativa.
La proposta si perse per strada nei meandri della burocrazia. Venne perpetrato un ulteriore tentativo dall'On. Franco Corleone, in qualità di Sottosegretario alla Giustizia, ma la caduta del Governo Prodi mandò in frantumi ogni velleità (era stata prefigurata una sperimentazione alla Casa Circondariale di Pisa per gli uomini e alla Casa Circondariale di Venezia Giudecca per le donne). Sono giacenti in Parlamento molte proposte di legge, ma alle parole non seguono i fatti. L'ultima proposta in ordine di tempo è del Sottosegretario alla Giustizia Sen. Alberti Casellati.
"Il potenziamento dei contatti con l'esterno,soprattutto con gli affetti familiari costituisce una risorsa importante per contrastare il fenomeno dei suicidi in carcere".(dall'audizione(nel 2011) del Capo del DAP Franco IONTA al Senato).
Negli ultimi giorni il Tribunale di Sorveglianza di Firenze con l'adesione della Procura fiorentina, ha sollevato un'eccezione di incostutuzionalità nel secondo comma dell'Art.18 dell'Ordinamento Penitenziario ,che impone la sorveglianza a vista degli incontri tra detenuti e familiari da parte della Polizia Penitenziaria. Secondo i Giudici fiorentini si tratta di una disciplina che impedisce al detenuto l'intimità dei rapporti affettivi con il coniuge o il convivente, imponendo l'astinenza sessuale, favorendo il ricorso a pratiche masturbatorie o omosessuali, ricercata o coatta e così violando alcuni diritti garantiti dagli articoli 2,3,27,29,31 e 32 della Costituzione. La norma lede il principio di uguaglianza e il prezioso assunto secondo cui la pena non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. E ancora secondo il Tribunale di Sorveglianza di Firenze nega il diritto alla famiglia e alla salute. In altre parole, impedisce il mantenimento di relazioni affettive con il coniuge o il convivente che sono fondamentali nella vita. Finalmente si schiude una prospettiva. Qualcuno incomincia a dire qualche cosa. Contro il silenzio della Legge. Lo ha sostenuto autorevolmente il Cardinale di Napoli Sepe. Lo ha ribadito il Cardinale di Milano Tettamanzi.
Autorevole la posizione favorevole assunta dal cardinale Carlo Maria Martini, anche per i riflessi nella teologia morale cattolica ed in particolare dell'etica sessuale. Nel libro Sulla giustizia delinea le tre condizioni per la rieducazione: aiutare a riconoscere la società; insegnare ad appagare i bisogni fondamentali; educare alla responsabilità.
Poi, a proposito dei bisogni fondamentali precisa: "il problema dell'affettività, difficilissimo, non può restare ignorato, irrisolto o addirittura esasperato o snaturato! E' un problema reale e di grande valore".
I diritti elementari dell'affettività e della sessualità devono rientrare a pieno titolo come elementi fondamentali del trattamento penitenziario. Del resto la sessualità fa parte integrante dell'affettività, è uno stimolo umano, un desiderio legittimo che viene negato proprio nel momento in cui si ha più bisogno di essere rassicurati. "L'insostenibile drammaticità della situazione carceraria italiana –precisa il Magistrato Francesco Maisto-è espressa dai dati assoluti di sovraffollamento, progressivamente crescenti, dal numero dei suicidi, dei tentativi di suicidio, degli atti di autolesionismo, evidentemente indicativo di una condizione di forte sofferenza umana in carcere". Il sovraffollamento non deve però costituire un alibi raffinato per non fare nulla, per non affrontare le problematiche che il carcere impone. Quello italiano non è un carcere civile. Quello italiano non è un carcere umano. Il carcere italiano è malato primariamente perché non realizza il dettato costituzionale della rieducazione della pena. La mancanza di sesso in carcere è mutilazione fisica, violenza, disperazione, crudeltà, brutalità. Eppure la sessualità è un atto naturale, come lo è respirare mangiare, dormire, defecare, urinare. A modo suo il carcere provvede, ma quando si parla di sessualità, tutto tace. Perché privare il detenuto di questo atto naturale?
"Quando si parla del sesso dei detenuti -dice Adriano Sofri- viene in luce la concezione che del sesso in generale ha una società. La sessualità non le appare come una dimensione naturale ,necessaria e ineliminabile della persona ,bensì come una concessione, un di più, se non un vizio: il vizio. La prigione svela questi sentimenti. Il sesso è piacere e vizio: è peccato. Essa appartiene alla necessaria afflizione: di più, essa è il cuore dell'afflizione. Tutto ciò ha fatto dimenticare che la privazione sessuale in carcere è una barbarie che si aggiunge alla privazione della libertà e al dolore:e fa apparire l'ipotesi della possibilità regolata da una relazione sessuale come un cedimento spericolato e lussurioso fatto al piacere dell'animale umano in gabbia. La privazione sessuale non è una privazione: non è cioè l'assenza, la mancanza di qualcosa. In quel vuoto cresce una distorsione, una deformazione che lo riempie fino a forzarne le pareti e farlo esplodere in malattia, pazzia, dolore senza controllo, mania e abiezione. Desiderio sessuale e amore, non sono un di più della vita umana, da far comparire e scomparire con misure regolamentari. Sono altrettanto incancellabili come il pensiero o il battito cardiaco. Le notizie di simili sperimentazioni in quasi tutti gli altri paesi europei sono accolte dai mezzi di comunicazione con quella malizia che finisce per associare il carcere alla casa d'appuntamenti, eppure le esperienze pilota ne confermano l'effetto estremamente positivo. Già direttive europee del 1985 invitavano gli Stati appartenenti alla comunità, ad adottare misure necessarie a tutelare la vita intima dei detenuti. Da allora esperimenti simili si sono succeduti in Russia e in altre nazioni quali l'Olanda, la Danimarca, la Spagna, la Svizzera, la Svezia, la Finlandia, la Norvegia, la Germania, il Belgio e in tempi più recenti l'Austria , la Francia e il Portogallo. Persino in Albania, dove manca veramente tutto, è prevista la sessualità in carcere. In una recente visita a Tirana in occasione di un Congresso Internazionale di Medicina Penitenziaria ho avuto modo di riscontrare quanto sopra con estrema sorpresa. In modo particolare la cattolicissima Spagna prevede, oltre all'istituzionalizzazione dell'affettività per tutti i detenuti, la funzione di un carcere che dispone appartamenti separati (case-famiglia) all'interno dei quali il detenuto trascorre un pò di tempo con i propri familiari nella massima discrezione ed intimità. Ricordo molto bene la visita effettuata pochi anni fa al carcere di Granada in Spagna. E di fronte alla mia sorpresa di trovarmi di fronte a 57 camere dell'amore, il Direttore mi spiegava: "E' una sorte di premialità per i detenuti che si comportano bene. Il detenuto può ricevere la propria moglie 1-2 volte al mese".
Il detenuto può ricevere la propria fidanzata o compagna. Se il detenuto non ha alcuna corrispondenza con l'esterno, la Direzione mette a disposizione le prostitute. Se il detenuto è omosessuale, può ricevere la visita del proprio compagno. Tutto si svolge con grande gratificazione del detenuto e della propria partner. Allora è forse il momento di chiedersi se fra i bisogni e i diritti dei detenuti vi siano anche il bisogno e il diritto di amare e di essere amati secondo le soluzioni adottate da paesi di grande civiltà penitenziaria. Questi sono fatti concreti. Questa è civiltà dei costumi. Alcuni anni fa ho visitato il carcere femminile di Caracas in Venezuela. Manca veramente tutto. Mancano anche le cose più semplici ed essenziali. In tale contesto di miseria e di abbandono, facevano sfoggio cinque piccoli ambienti forniti di camera e di servizi dove le detenute ricevono ogni 15/30 giorni il marito o il fidanzato. Le impressioni più favorevoli, però, le ho riportate visitando le strutture penitenziarie dell'Olanda, della Danimarca e soprattutto della Svezia, dove il modello ormai risulta consolidato con espressioni di funzionalità e di forte operatività. Qui si tratta di miniappartamenti forniti di camera matrimoniale con servizi e con locale cucina. Tutto risulta inserito in un'area verde, quasi dei piccoli cottage, dove gli incontri avvengono nel modo più semplice e spontaneo. In tale contesto si vivono tutte le dimensioni della vita familiare ,dalla preparazione dei pasti ai rapporti amorosi. Soltanto nel nostro Paese registriamo le punte più estreme del puritanesimo.
Sulle celle dell'amore si frappongono delle perplessità di ordine psicologico, di ordine ambientale e morale. Le motivazioni ambientali sono da riferirsi alla mancanza in carcere di strutture logistiche in un contesto di preoccupante sovraffollamento tali da evitare alla coppia di sottrarsi agli ineliminabili controlli e agli Agenti di Polizia Penitenziaria di essere adibiti anche a custodia e controllo degli amori tra le sbarre.
Ma allora cosa bisogna dire delle scene mortificanti ed imbarazzanti a cui assistiamo ora nei parlatori dove tra mille contorsioni ed acrobazie si cerca di strappare una carezza, un bacio, un attimo di intimità in mezzo alla folla vociante?
Nelle motivazioni psicologiche rientrerebbe la frustrazione della coppia in quanto verrebbe condizionata nella sua libertà di espressione. Le motivazioni morali sarebbero da riferirsi alle problematiche legate alla numerosa fetta di popolazione detenuta rappresentata dai celibi e dagli extracomunitari, cui dovremmo, ritenendo la sessualità un diritto ineliminabile di tutti, preoccuparci di trovare delle volontarie dell'amore. La pena si caratterizza essenzialmente come privazione; nel caso della reclusione, questo meccanismo non si arresta alla primaria privazione della libertà, ma va molto oltre, postulando norme, strutture, sistemi di vita , situazioni differenziali rispetto alla normalità dei rapporti umani liberi. Il detenuto non sparisce dal mondo senza lasciare traccia di sé: ha diritto a colloqui con i familiari, quindi implicitamente si riconosce l'imprescindibile esigenza di avvicinamento del recluso al mondo esterno, in particolare a quello dei suoi affetti.
Ma come si fa a pensare che un uomo o una donna possano salvaguardare i legami affettivi se gli unici momenti di contatto sono i colloqui, durante i quali sei guardato a vista?
La sessualità è un aspetto cruciale nella vita dell'individuo. Abolendola, ne derivano gravi tensioni, inquietudine,frustrazioni, deviazioni, perversioni, tendenze ed esposizione alla violenza. Chi si trova a riadattare il proprio ritmo vitale sulla base della privazione finisce con il convincersi che rinunciare alle pulsioni sessuali sia l'unica situazione praticabile.
Del sesso fuori legge ci si ammala. Il fenomeno dell'omosessualità è consequenziale. L'omosessualità in carcere è così diffusa perché è compensatoria, ma non si può pensare che non abbia conseguenze sul piano psicologico: per una persona eterosessuale forzarsi a un comportamento omosessuale costituisce una violenza, una frustrazione e una caduta di autostima, in fondo un'umiliazione, che induce spesso pesanti sensi di colpa. Nei primi giorni, nei primi mesi il sesso non esiste. Lentamente avviene il risveglio. La lunga astinenza sessuale inizialmente determina sovraeccitazione permanente con stati reattivi dal punta di vista clinico(eccitazione, macerazione del pensiero, costruzione ideativa di situazioni scabrose, stato allucinante con violenza di rappresentazione).
Ci si deve riabituare alla passata giovane età con la masturbazione, che però, un po' alla volta lascia sempre più insoddisfatti, e lo sforzo continuo di richiamare alla mente immagini eccitanti dato il lento trascorrere dei mesi e degli anni e i ricordi che con il tempo sfumano sempre di più. Fino a questo momento il detenuto con la sessualità normale è sempre riuscito a sentire naturale schifo per i discorsi dei detenuti più anziani di anni di carcere, basati sui contatti fra uomo e uomo o sull'eccitazione che può suscitare la nudità di un uomo, ma da questo istante stesso lentamente avviene lo sgretolamento che lascia disorientato il soggetto stesso. La natura con la sua intrinseca, inarrestabile potenza, dopo essere stata imprigionata, umiliata, ridotta a monologhi solitari ha incominciato a muovere i suoi passi lavorando contro ogni volontà, disintegrando e neutralizzando le diverse barriere ed ambientando la sessualità sul terreno che è costretta a vivere.
Un uomo che prima non si degnava neanche di uno sguardo, diviene poi meta fissa e obiettivo privilegiato dello sguardo del detenuto che avrà ritrovato un qualche cosa di visivo per eccitarsi perché il ricordo della donna sarà andato sempre affievolendosi nel tempo in immagini quasi irreali. "Io stesso –diceva un giorno un detenuto- ero considerato fuori dal carcere uno dei più quotati dongiovanni. Ebbene ammetto di essere diventato omosessuale. Odio gli uomini che mi hanno costretto a diventare tale, ma sono grato all'inarrestabile potenza della natura. Noi detenuti faticosamente cerchiamo nel corpo di un altro uomo la donna. Fuori di qua nel corpo della donna, cercheremo l'uomo." Il torrente della sessualità abbatte ogni diga. Se la diga dovesse resistere, subentrerebbe la pazzia. La vita solitaria diventa un tormento perché si ha bisogno di toccare, ma toccare se stessi, ad un certo punto, non è più soddisfacente, non è più sufficiente. Allora si comincia a rubare con occhiate furtive le nudità dei compagni di cella mentre si spogliano o si vestono. Inizia il corteggiamento, il gesto affettuoso, la parola dolce, il resto è un epilogo scontato naturale.
"Uscendo da qui un giorno –diceva un altro detenuto- i miei desideri sessuali viaggeranno su due binari distinti. E' assurdo, assolutamente impensabile, che una volta libero tutto ritornerà normale come prima. Non potrà mai essere così. Se si scopre difatti un piacere o meglio se si conquista faticosamente un piacere nuovo superando ostacoli di ogni genere, non si vorrà più perderlo".
La deviazione sessuale non si potrà mai più correggere (lo sostiene una ricerca scientifica americana). E' da considerare che la completezza di un amplesso, per un detenuto tornato libero, la troverà in convegni a tre. Ormai sono ridotti a poveri esseri brancolanti fra due opposti desideri, fra due opposte forme. Questo perché costretti ad inserirsi in uno schema anormale che inesorabilmente danneggia. Tornati liberi si troveranno in una società che condanna l'omosessualità e dovranno mendicare simili contatti, pagare anche subendo un ridicolo quanto ingiusto disprezzo. "Non mi sento assolutamente in colpa per essere diventato omosessuale. La colpa va fatta risalire a chi costringe a questa dolorosa, degradante deviazione che con l'andar del tempo piace." La repressione della vita sessuale e affettiva è forse il principale motivo per cui si può affermare che il carcere non è rieducativo e non tende al reinserimento del condannato nella vita sociale, così come chiede la Costituzione, ma che anzi è diseducativo, induce pesanti regressioni,accentua i tratti violenti della personalità e coltiva nei detenuti forti risentimenti nei confronti della società.
Nelle celle dove è vietata la distribuzione di preservativi, le malattie sessualmente trasmissibili tra cui l'infezione da HIV si diffondono a macchia d'olio.
Tutelare il quadro delle affettività di un detenuto consente di restituire senza dubbio alla società un soggetto migliore. E' un investimento che porta benefici per tutti. Gli ostacoli sono di natura burocratica e culturale. La posizione intransigente a sfavore della Polizia Penitenziaria rallenta il processo decisionale e l'attuazione dei provvedimenti. Con molta umiltà vorrei ricordare agli amici della Polizia Penitenziaria che forse è più edificante assistere alle scene che si realizzano in una sala-colloqui?
Bisogna riflettere finalmente con serietà e grande responsabilità. Il nostro Paese è rimasto in dietro, ma molto in dietro. Come mai in quasi tutti i Paesi europei esistono le stanze dell'amore? Ci sarà pure qualche motivazione seria alla base, oltre che delle inconfutabili pronunce di natura scientifica e la tutela di diritti inalienabili dell'uomo? Bisogna abbattere i pregiudizi che hanno creato già troppi danni e bisogna lasciarsi convincere dalle esperienze ampiamente maturate negli altri paesi europei. Con il passare del tempo in carcere si subiscono gravi alterazioni e mutilazioni in merito soprattutto alla vista, al linguaggio, al movimento, al sesso. Il tatto viene colpito in modo prominente poiché in carcere come sostiene Daniel Gonin la superficie del corpo non ha più né tatto né contatto.
Le sensazioni che il corpo produce in carcere sono principalmente segnali di allarme. Ben presto viene a mancare la piacevolezza del toccare e l'intera gamma tattile,che si possedeva prima della carcerazione,inizia a perdere sfumature poiché molti oggetti di uso comune all'esterno non sono presenti nella struttura detentiva; ma l'assenza più grande è il tatto del tatto, la propria pelle con la pelle di un'altra persona: il contatto fisico. Ai detenuti vengono a mancare i gesti più semplici che servono a dimostrare affetto: un bacio, una carezza, un abbraccio. La stretta di mano resta un freddo e comune gesto di saluto da rivolgere a coloro con i quali si svolge un colloquio. Esiste un gravissimo problema sessuale in carcere di fronte al quale si continua a osservare indifferenza, si preferisce schivare l'argomento, si preferisce non parlare. La forzata privazione sessuale è una crudeltà e una brutalità, una forma di mutilazione fisica e di tortura. Il problema è serio e merita un'attenta rivalutazione contro il silenzio della legge stessa. Non solo regna l'omosessualità, accanto alla repressione e alla violenza, ma essa è accompagnata e caratterizzata da gelosie, litigi e ricatti che creano una galera nella galera.
Esiste inevitabilmente inoltre tutta una serie di surrogati, basati sull'autoerotismo che rendono il sesso una cosa disgustosa, una sorta di pratica deformata da un istinto del tutto indipendente dalla naturale affettività. E' veramente indispensabile e inderogabile ricercare una soluzione se si vuole restituire al detenuto la sua dignità di essere umano. Nella sala colloqui dei detenuti si frappone un dannato muretto di separazione dai propri familiari. La moglie, la fidanzata, la compagna diventano dei soggetti a mezzobusto. "Sono contento di avere visto la mia compagna -diceva un detenuto a Pisa- ma mi sento mutilato nei sentimenti."
In queste condizioni la rieducazione è una parola vuota, priva di significato. Questo porta inevitabilmente, soprattutto nel caso di condanne lunghe alla disgregazione delle famiglie, lasciando il detenuto ancora più solo. Ma vi è anche un altro aspetto che troppo spesso non viene preso in considerazione, quello dei compagni e delle compagne dei detenuti, che pur non avendo commesso alcun reato che non sia quello di amare un detenuto, si vedono negata inesorabilmente la possibilità di avere rapporti sessuali con esso. Non si dice mai che la persona reclusa è, anzitutto un castrato sessuale o, se si preferisce un subcastrato sessuale, dato che nessuno lo evira fisicamente. Permettere ai detenuti di vivere i propri affetti, aprire le carceri alla sessualità è un tentativo concreto di umanizzare la detenzione ed è un segnale importante di prospettiva anche per i familiari, perché negare, impedire a un detenuto la sessualità comporta sul piano sostanziale privarne anche la moglie o la fidanzata o la compagna che, in definitiva non hanno alcuna colpa da espiare.
Interrompere il flusso dei rapporti umani a un singolo individuo significa separarlo dalla sua stessa storia personale, significa amputarlo di quelle dimensioni sociali che lo hanno generato, nutrito e sostenuto. Eppure il diniego della sessualità in carcere non può considerarsi come un effetto trascurabile della reclusione. Si tratta piuttosto di una punizione aggiuntiva particolarmente afflittiva, tanto che si potrebbe ipotizzare che rientri in una definizione ampia del concetto di trattamento degradante.
Come ha ricordato Adriano Sofri -la privazione della sessualità non è una semplice "privazione-vuoto"; è piuttosto una grave distorsione che porta con sé dolore e malattia. Il carcere demolisce, anno dopo anno, quella che si potrebbe definire l'identità sociale del detenuto. Tutti sono concordi nel riconoscere che l'attività sessuale nell'uomo rappresenta un ciclo organico che non è possibile interrompere senza determinare nel soggetto in ogni caso dei traumi sia fisici che psichici. Alcuni detenuti considerano la mancanza di sessualità come la vera tortura, la punizione in sé. Prende il sopravvento la solitudine, l'emarginazione.
La realtà è allucinante, piena di desolazione. Si sente imponente il bisogno di amare e di essere amato. Però intorno o vicino non c'è nulla a cui poter dedicare i propri sentimenti.
Il carcere è un momento di vertigine.
Tutto si proietta lontano: le persone, i volti, le aspirazioni, le abitudini, i sentimenti che prima rappresentano la vita, schizzano all'improvviso da un passato che appare subito remoto, lontanissimo, quasi remoto. Il carcere così diventa un inferno dove dominano le inibizioni e le repressioni. Il detenuto viene rinchiuso in cella 22 ore al giorno. Viene rinchiuso il suo corpo, ma anche la sua stessa volontà, i suoi stessi desideri. Tutto viene deciso e gestito dagli altri. La sessualità, invece, è l'unico aspetto della vita di relazione dei detenuti che non risulta normativizzato da regolamenti o da disposizioni ministeriali. Dunque la privazione sessuale non ha bisogno neanche di essere presa in conto nei codici, nominata nei regolamenti, può essere imposta come costitutiva della carcerazione. Quanto sopra crea inevitabilmente le premesse per il realizzarsi di inconfessabili arbìtri. Il sesso apre al tempo del desiderio, ma il tempo del detenuto è caratterizzato soprattutto dal bisogno e dalla sopravvivenza. Risulta ormai comprovato che molti individui, che fino al momento di essere associati al carcere avevano avuto ed espresso un comportamento sessuale normale, a causa della promiscuità della vita carceraria, del turpiloquio, delle oscenità di cui diventano spettatori, mano a mano che si adattano all'ambiente, vedono affievolirsi i loro freni inibitori e crollare i loro principi morali, lasciando che l'istinto incontrollato prevalga fino a giungere alle forme più basse di degradazione.
Masturbazione (eccitata dalle scene di giornali pornografici che rivestono le mura delle celle e soprattutto della toilette), fellatio, pederastia, saffismo, rappresentano pratiche ben note negli istituti penitenziari, ma mentre nelle carceri giudiziarie il fenomeno è meno conclamato e l'omosessualità risulta per lo più occasionale, molto grave si presenta l'incidenza nelle carceri penali, dove almeno il 50-60% dei detenuti si presta a pratiche omosessuali. In stretta correlazione con l'omosessualità si registra un aumento considerevole dell'incidenza di prostatiti, di emorroidi e di malattie sessualmente trasmissibili. La sessualità in carcere ha una forza immane che non può sottostare ad alcun regolamento. E' fin troppo comprensibile la scena, l'atmosfera che si registra in carcere quando arriva un travestito, un transessuale (tra i quali numerosi e famosi i viados brasiliani). Suscita desiderio, ilarità o repulsione. Opportunamente l'Amministrazione Penitenziaria al fine di poter scongiurare motivi di disordini, colloca tali soggetti in isolamento in cella singola. Per reagire allo stato di repressione, di continenza coatta, la maggior parte dei detenuti si crea, si ritaglia un proprio mondo sessuale tappezzando la propria con giornali pornografici (che risultano essere i giornali più acquistati e richiesti in carcere) cercando di coinvolgere i compagni con narrazioni fantastiche riferite all'attività sessuale precedente alla carcerazione. Il sesso diventa un'ossessione. Prima si ricorre alla masturbazione anche 2-3 volte al giorno. In seguito questa pratica non fornisce più l'appagamento delle proprie soddisfazioni e si è portati inesorabilmente a desiderare il rapporto omosessuale che può divenire talora anche mezzo di sfruttamento.
Difatti ci sono giovani che si prostituiscono, magari per una dose di eroina e persino per un pacchetto di sigarette. Nell'ambiente carcerario la sessualità inibita erotizza tutta la vita del recluso e ne accentua il richiamo biologico con un ritmo intensamente dinamico.
Il corpo della donna nell'immaginazione diviene un'epopea, rappresenta la conquista del West. Il carcere in definitiva è il regno naturale per il flirt omosessuale, dell'adescamento, del corteggiamento, del prossenitismo, del ritualismo amoroso, della prostituzione aberrante con drammi di gelosia e di rivalità. Ma prostituirsi non è solo un atto fisico e morale, diviene in carcere un sistema, qualcosa che costringe il detenuto ad accettare l'intimità da persone che in molti casi detesta. Diventa un robot, un self-service del piacere. Il detenuto, non appena oltrepassa il portone del carcere, deve abituarsi volente o meno a tanti cambiamenti piccoli o grandi. Mangiare seduto su una branda, muoversi poco come se si trovasse su una navetta spaziale, assuefarsi a cibi non usati prima. Tutto in presenza di altri, anche dormire in un'ora insolita e con la luce accesa. Nei primi giorni il sesso non esiste. Lentamente avviene il risveglio. La lunga astinenza sessuale inizialmente determina sovraeccitazione permanente con stati reattivi dal punto di vista clinico (eccitazione, macerazione del pensiero, costruzione ideativa di situazioni scabrose, stato allucinante con violenza di rappresentazione). Un po' alla volta la masturbazione lascia sempre più insoddisfatti.
Incomincia allora il periodo delle fotografie pornografiche, ma dura poco tempo. E carta e soltanto carta, mentre fisiologicamente, fisicamente si sente la necessità della carne per completare l'eccitazione. Crediamo che la mancanza di stimoli faccia temere la perdita completa della propria dimensione sessuale, la quale viene così sollecitata senza pausa, in maniera macchinosa, tramite artifici plateali. Molti detenuti sono dediti alla masturbazione con tutte le raffinatezze che tale arte comporta. Alcuni fessurano il materasso o il guanciale introducendovi borse di acqua calda che riproducono naturalmente in scala ridotta l'ambiente ideale. Altri utilizzano la bistecca che viene predisposta o nell'intercapedine del termosifone o direttamente in un buco a misura nel muro. Nelle colonie agricole invece i detenuti pastori per sfogare i loro istinti sessuali si servono di pecore o mucche. La natura con la sua intrinseca, paurosa potenza, dopo essere stata imprigionata ,umiliata, ridotta a monologhi solitari ,ha incominciato a muovere i suoi passi lavorando contro ogni volontà, disintegrando e neutralizzando le diverse barriere ed ambientando la sessualità sul terreno che è costretta a vivere. Un uomo che prima non si degnava neanche di uno sguardo, diviene poi meta fissa e obiettivo privilegiato dello sguardo del detenuto che avrà rintracciato un qualche cosa di visivo per eccitarsi perché il ricordo della donna sarà andato sempre affievolendosi nel tempo. Il torrente della sessualità abbatte ogni diga. Se la diga dovesse resistere subentrerebbe la pazzia. Alcuni detenuti, per denunciare lo stato di abbandono in cui si vengono a trovare, al fine di reclamare attenzione hanno portato la protesta a un gesto eclatante: sono arrivati persino a cucirsi l'organo sessuale.
Il problema della sessualità in carcere merita attenzione e rispetto perché vi confluiscono e l'animano gli istinti, le sensazioni, le emozioni, i sentimenti radicati in ogni uomo.
La sessualità è insopprimibile bisogno di vita, un po' come respirare, nutrirsi, dormire, espletare i bisogni fisiologici.
Mutilando l'umanità, comprimendo la natura oltre un certo limite, non rimane che la patologia della rinuncia o la patologia della degenerazione. In modo ineluttabile i detenuti risultano consegnati a una dimensione esistenziale monocromatica, dimezzata per l'assenza dell'altro sesso che solo dà senso al proprio. Ne derivano gravi tensioni, inquietudini, frustrazioni, deviazioni, perversioni, tendenze ed esposizione alla violenza. Si accentuano le turbe psicosomatiche. Allora è forse arrivato il momento di chiedersi se tra i bisogni e i diritti dei detenuti vi siano anche il bisogno e il diritto di amare e di essere amati secondo le soluzioni adottate da paesi di grande civiltà penitenziaria come la Danimarca, la Norvegia, la Svezia, la Svizzera e la Spagna.
Se il carcere deve essere idealmente un luogo di rieducazione o più realisticamente un luogo dove possa essere almeno conservata la dignità umana, i comportamenti sessuofobici di chi sta fuori dalle sbarre e fa leggi e regolamenti, non sembrano lungimiranti, né utili al reinserimento sociale di questi soggetti. Non solo per loro stessi e per il loro diritto di continuare a vivere, ma per l'intera società. Questa diversa visione del carcere è l'espressione di un modo civile di intendere la pena ,in una vera ottica rieducativa che può avvenire solo dando fiducia a chi ha sbagliato, stimolandolo a ricostruire onestamente la sua vita e non infliggendo continui castighi aggiuntivi al detenuto e ai suoi cari.
Mantenere e coltivare la propria affettività in carcere non è una gentile concessione, ma un sacrosanto diritto di ogni essere umano, anche se privato della libertà. In carcere si va perché si è puniti e non per essere puniti. La pena rilevante è la privazione della libertà e qualunque patimento ulteriore, qualunque misura di afflizione non hanno senso, scopo e giustificazione. Offendono soltanto la ragione e l'umanità. E' forse anche triste e mortificante condannare a inseguire la giustizia sulla strada della sofferenza piuttosto che su quella dell'umanità, della civiltà, della speranza. Bisogna essere in grado di rimuovere il timore che qualunque misura di sofferenza sottratta alla pena sia sottratta alla giustizia.
Esistono altresì fondamentali interessi di difesa sociale. Il carcere deve essere in grado di restituire alla società uomini e donne non dico migliorati perché ciò è utopia, ma almeno non peggiorati e degradati nella loro dignità. Molte ormai sono le denunce corredate scientificamente dei guasti psicologici che l'astinenza comporta sulla personalità del recluso, tutte concordi nel riconoscere che l'attività sessuale nell'uomo rappresenta un ciclo organico che non è possibile interrompere senza determinare nel soggetto, in ogni caso, dei traumi sia fisici che psichici. Al detenuto va riconosciuto il diritto alla sessualità libera e consapevole. La vita sessuale e affettiva, ricca di sfumature e di elementi veramente armonizzati e fluttuanti, è un valore costitutivo della dignità di ogni uomo. Bisogna tentare di portare finalmente a risoluzione il problema della sessualità in carcere. Anche questo è un segnale importante nella prospettiva di un carcere più civile ed umano, dove non si possa più dire che carcere è malattia. Del resto sono ormai passati tanti anni dai tempi bui delle celle sempre sprangate, del pane-acqua e bugliolo e della pena esclusivamente afflittiva.
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