Emma Bonino
11-11-2011
Emma Bonino, vicepresidente del Senato: Signor Presidente, signori del Governo, colleghi, ci accingiamo oggi ad affrontare l'ultimo atto legislativo di questo Governo e, come ha ricordato il relatore, noi radicali lo faciliteremo, avendo condiviso la scelta di non partecipazione al voto.
Ma noi ci auguriamo soprattutto che questo atto possa aprire la strada ad una soluzione di Governo che consenta all'Italia non solo di uscire dalla situazione critica in cui si trova e di allontanare dal nostro orizzonte ogni ipotesi di default, ma soprattutto di creare le premesse di un assetto politico ed istituzionale di riforme strutturali della nostra economia, di riconquista di un sistema di legalità e di corretto funzionamento della democrazia, obiettivi che per oltre un quindicennio sono stati rinviati, ostacolati, impediti per responsabilità di tutti i Governi che si sono succeduti.
Noi radicali - e lo sottolineo da subito con chiarezza - riteniamo che andare a nuove elezioni in una simile situazione e con l'attuale sistema elettorale sarebbe un atto irresponsabile: significherebbe affidare la crisi a un Governo di ordinaria amministrazione; scaricare la responsabilità su un elettorato frastornato, disinformato e demoralizzato; lasciare il Paese alla mercé dei mercati, nei quali avrebbero la meglio proprio quelle azioni speculative che mirano al default dell'Italia, il più esposto dei Paesi fondatori dell'Unione europea, ma che attraverso di noi non nascondono di perseguire l'obiettivo di determinare la crisi della moneta unica europea.
Dobbiamo però anche evitare che un nuovo Governo di emergenza sia una delle tante versioni di affrettate formule di unità nazionale, una delle tante ammucchiate partitocratiche all'italiana che servono solo a deludere e ad aggravare i problemi. Penso invece che dobbiamo avere ambizione, capacità e coraggio per avere un Governo che consenta di prendere di petto l'emergenza, producendo cambiamenti anche politici, programmatici importanti, cambiando la politica nel suo complesso. Si tratta di una questione di ambizione, di capacità e di coraggio.
Per essere all'altezza di tale responsabilità dobbiamo sfatare due luoghi comuni. Il primo: non è vero che, di fronte a riforme serie, incisive, credibili, proposte da una classe politica credibile, gli italiani non capirebbero o non collaborerebbero. Mendes France diceva che politica è scegliere. Appunto. Perché gli italiani, quando è stata detta loro la verità, quando sono stati messi davanti alla necessità di sacrifici, anche gravosi, ma utili e necessari soprattutto per le prossime generazioni, hanno sempre assunto le loro responsabilità, mostrando di comprendere e collaborare alla salvezza del Paesi, della sua economia e della sua possibilità di sviluppo e di benessere. Aveva ragione Leonardo Sciascia. Sentite come era preveggente.
Il secondo luogo comune. Non è vero che siamo - come si sente dire - commissariati e che questo commissariamento europeo insedierebbe o limiterebbe la nostra sovranità democratica, perché da cinquant'anni fortunatamente abbiamo contribuito a delegare una parte della nostra sovranità alle istituzioni comunitarie e lo abbiamo fatto attraverso trattati europei liberamente sottoscritti. Le richieste che ci vengono dall'Europa sono pertanto legittime, responsabili, urgenti, necessarie. Certo, noi federalisti preferiremmo che ci venissero da istituzioni pienamente federali, perché in realtà la crisi che affrontiamo è molto più una crisi politica dell'Unione europea che una crisi macrofinanziaria.
Se noi guardiamo i numeri, gli Stati Uniti d'America (California, Arkansas, Illinois, New York) presentano numeri macrofinanziari ben peggiori dei nostri, della Grecia, della Spagna, del Portogallo; la loro differenza è che hanno un Governo degli Stati Uniti e nessuno può quindi permettersi di mettere in discussione la stabilità della loro moneta.
Onorevoli colleghi, dobbiamo cominciare a fare qui ed ora, proprio nel momento più nevralgico e apparentemente inarrestabile della nostra crisi, quello che non è stato fatto negli ultimi 15 anni per effetto di veti incrociati politici e sociali, per malintesi interessi elettorali, per miopia conservatrice di vecchi privilegi e vecchi equilibri.
Le ricette sono note a tutti: dalla spesa pubblica senza tagli lineari, ai costi non della politica, cari colleghi, ma ai costi della partitocrazia, che sono un'altra cosa, a cominciare dal finanziamento pubblico dei partiti, ma fin giù, e ancora più giù, a tutte le altre incrostazioni che siamo andati costruendo.
È vero, nel momento in cui chiede ai cittadini dei sacrifici, la politica deve dare l'esempio. Temo che non ne siamo stati all'altezza. E temo anche che rincorrere in modo un po' demagogico la semplice strada della riduzione della rappresentanza parlamentare non sia esattamente la cosa migliore che dobbiamo fare.
È per questo, onorevoli colleghi, che l'idea di trascinare il Paese in tre lunghi mesi di campagna elettorale, lo ripeto, mi sembra una pura follia autolesionista. La crisi ci ha sospinto su un terreno finora inesplorato e il punto di non ritorno va evitato in ogni modo e non sarà neppure qualche maxiemendamento o qualche decreto‑legge a salvarci. Dobbiamo rapidamente riacquistare credibilità ed offrire una visione strutturata di dove vogliamo andare. Per questo la strada maestra è quella di un nuovo Governo, con grandi segnali di discontinuità, che sappia affrontare quello che tutti già sappiamo, la riforma del mercato del lavoro, ma accompagnata dagli ammortizzatori sociali universali, altrimenti è ovviamente un massacro; un mercato del lavoro che si apra alle donne e ai giovani, che dia ossigeno all'economia, liberalizzando interi settori soffocati da bardature ed incrostazioni; dobbiamo riformare un sistema pensionistico ormai insostenibile; condurre una lotta all'evasione, ma da radicale soprattutto vi dico che va affrontata la questione della malagiustizia, penale o civile che sia, che danneggia l'economia, danneggia lo Stato di diritto, danneggia il rapporto cittadini‑Stato, cittadini‑giustizia, insomma, alla fine, danneggia e mina la democrazia. Come sapete, avevamo proposto un'amnistia per la Repubblica. Avete detto di no. Fate però qualcos'altro, perché così non è possibile.
Infine, sta a noi, onorevoli colleghi, soprattutto a noi, europeisti determinati e preoccupati per il futuro dell'Italia e dell'Europa, continuare a lottare per una maggiore integrazione europea come strada maestra per uscire da questa crisi, avviando un processo che preveda una riduzione, insomma, della sovranità nazionale a favore di una sovranità più ampia, per un'Europa, insomma, federalista, perché, come vi dice sempre Marco Pannella e vi ripete, l'Europa delle Patrie ha finito di distruggere anche le Patrie, senza contribuire a costruire la Patria europea.
In questo senso, l'Italia è diventata un banco di prova per l'intera Unione monetaria. Per molti versi sta quindi a noi dimostrare che non si tratta di commissariamento ma che potremmo agire se solo ci dessimo le condizioni da apripista per una nuova Europa democratica.
Sta dunque a tutti noi, colleghi, non sprecare questa crisi, ma farne un'opportunità di rilancio dell'intero Paese, di ripartenza democratica, di speranza di un futuro che è alla nostra portata perché - lo ripeto - se la politica è in crisi, l'economia del nostro Paese, invece, è ancora vitale, ha degli asset con cui riesce, nonostante tutto, non solo a vivere ma a rilanciare.
Forse siamo noi che non siamo stati all'altezza.
(Applausi dal Gruppo PD, dai banchi del Governo e del senatore Amato. Congratulazioni).
è attualmente Vicepresidente del Senato della Repubblica, eletta nell'aprile 2008 nelle liste del Partito Democratico. Nella scorsa legislatura è stata Ministro per il commercio internazionale e per le politiche europee nel governo Prodi II e deputato della Rosa nel pugno.
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