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giovedì 26 novembre 2009

RESO ORFANO DAL PROIBIZIONISMO SULLE DROGHE LA TERRIBILE STORIA DI RUDRA BIANZINO



Quando avrà letto la terribile storia di Rudra Bianzino, un giovane di sedici anni reso orfano dal proibizionismo sulle droghe e dalla legge che porta anche il suo nome, forse il presidente della Camera Gianfranco Fini la rinnegherà, come ha già in parte fatto con la normativa sull’immigrazione che porta il nome Bossi – Fini. Infatti anche la terribile legge che porta il suo nome, e che lungi dall’avere salvato alcun tossico dal suo destino di tossicodipendenza, annovera invece una sequela di lutti come conseguenza della sua applicazione. E a quattro anni dalla sua forzata approvazione ha sinora ottenuto un unico risultato: riempire le carceri italiane a mo’ di discarica sociale di emarginati dello sballo pesante e di innocui spinellatori.
Il falegname Aldo Bianzino, era il classico alternativo che si ritira a fare l’artigiano in Umbria in un piccolo casale insieme alla moglie e all’unico figlio, chiamato Rudra in onore della sua innocua filosofia indiana fatta di non violenza, yoga, meditazione, vegetarianesimo e, perché no?, di qualche canna occasionale.
Bianzino fu arrestato il 12 ottobre 2007 con un blitz che fu venduto sui tg regionali dell’Umbria quasi come un’operazione contro il cartello di Medellin. Gli trovarono cinquanta piccole piante di marijuana nell’orto e un paio di etti di erba essiccata. Valore stupefacente del tutto? Lo stesso che può dare una trentina di grammi di hashish importato dal Nepal. Uso personale quindi. Sprezzanti del ridicolo gli inquirenti dissero che “erano stati sequestrati 30 euro proventi dello spaccio”. Ci mancavano solo i complimenti del capo della polizia per la “brillante operazione” e agli ingredienti della propaganda proibizionista non sarebbe mancato nulla.
I complimenti ovviamente non ci furono: Bianzino da incensurato quale era avrebbe dovuto attendere con la moglie, Roberta Radici, arrestata anche lei benché non avesse mai fatto uso di cannabis, la convalida dell’arresto del gip tranquillamente agli arresti domiciliari.
E che poteva fare? Scappare in Colombia da Pablo Escobar? Invece fu trasferito nello stra maledetto carcere di Capanne a Perugia. Il giorno dopo la moglie era stata rilasciata e lui invece era alla morgue. Probabilmente pestato da qualcuno durante il fermo in caserma oppure all’entrata in carcere. Bianzino morì così e un anno dopo, incapace dal dolore da cui fu sopraffatta di continuare a curarsi un tumore al seno, lo seguì al cimitero anche la moglie Roberta.
L’autopsia fatta dal medico legale Luca Lalli il 16 ottobre parlava di triplice trauma cranico e di lesioni degli organi interni, milza e fegato. Inoltre del sangue fu ritrovato nell’addome e nelle pelvi. Un pestaggio scientifico senza lasciare segni esterni, contrariamente a quanto è avvenuto per il povero Stefano Cucchi, la cui morte ha contribuito a riaprire tutti questi casi dimenticati tra cui quello di Bianzino.
Dimenticati peraltro da tutti tranne che dai Radicali italiani che già nel 2007 con un’interrogazione di Sergio D’Elia chiedevano giustizia per lui e per quelli come lui che muoiono ogni mese se non ogni giorno dimenticati in qualche carcere italiano, dove il più delle volte si trovano per avere violato la legge Fini Giovanardi.
Fatto sta che quando Aldo Bianzino viene portato in carcere il 12 ottobre del 2007, alle 19 circa, è in buone condizioni generali di salute, così riporta il diario clinico.
Il pm Giuseppe Petrazzini, che aveva fatto arrestare Aldo e la sua compagna la sera del venerdì 12 ottobre 2007, è lo stesso magistrato che ha avuto in carico le indagini sul suo successivo decesso avvenuto nella notte tra il 13 e il 14. Aldo era stato visto da un medico, che l'aveva riscontrato sano e da un avvocato d'ufficio, col quale aveva parlato verso le 17 di sabato. Non sono state mai rese disponibili registrazioni di telecamere su ciò che è avvenuto successivamente, né, dopo il decesso, la cella risulta sia stata isolata e sigillata, né che siano stati chiamati per un intervento i reparti speciali di indagine dei carabinieri. A detta degli altri detenuti del reparto, durante la notte Aldo aveva suonato più volte il campanello d'allarme ed aveva invocato l'assistenza di un medico, sentendosi anche, pare, mandare al diavolo dall'assistente del corridoio, la guardia carceraria Gian Luca Cantore. Per ora è l’unico che rischia di pagare qualcosa per questa morte perché il prossimo primo dicembre ci sarà davanti al gip di Perugia l’udienza preliminare per omissione di soccorso.
E il povero orfano Rudra, vittima della legge Fini – Giovanardi e della violenza delle istituzioni carcerarie? Per ora gli fa da tutore il fratello del padre ammazzato in carcere ed è stato “politicamente adottato” dai Radicali italiani che in qualche maniera lo hanno aiutato anche economicamente. Per lui ha fatto qualcosa di buono persino Beppe Grillo che ha raccolto 80 mila euro con uno spettacolo vincolandoli in banca a suo favore e rendendoglieli disponibili per quando avrà diciotto anni.
Ma Rudra Bianzino rischia di non riuscire neanche a finire gli studi liceali non parliamo di quelli universitari. E scrivendo di lui la speranza è che non solo il presidente della Camera faccia il “mea culpa” per la legge che porta il suo nome ma anche che il Capo dello Stato prenda a cuore la sorte di Rudra Bianzino, una adolescente senza più famiglia perché qualcuno ha creduto di fare carriera sulla pelle di suo padre con una modesta operazione di polizia di provincia spacciata, questa sì, come operazione anti droga.
Dimitri Buffa

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