da La Repubblica del 19 marzo 2008, pag. 38
di Rita Bernardini
 Pare non sia facile di questi tempi esprimersi in materia di aborto se non 
 in termini di «difesa a oltranza della legge 194» o comunque di una sua 
 applicazione in senso restrittivo. E' con piacere dunque che ho letto 
 l'editoriale di Miriam Mafai su Repubblica a proposito della «burocrazia 
 dell'aborto». Noi radicali siano da sempre contro l'aborto «di Stato».
 
 «Di Stato» perché con la legge attuale i medici ed i giudici, al posto 
 della donna, sono chiamati a sindacare sulle motivazioni che portano la 
 paziente ad abortire. «Di Stato», ancora, perché ai cittadini non si 
 consente di poter optare per l'aborto in una clinica privata, obbligandoli a 
 rivolgersi alle sole strutture pubbliche.
 
 Già nel 1981, e poi ancora nel 1995, ancora nella scorsa legislatura 
 (2001-06) e infine in quella appena conclusasi, abbiamo presentato quesiti 
 referendari e proposte di legge per abrogare quelle parti della legge che 
 per noi configurano l'aborto di Stato. L'ultima proposta di legge (n.1858) 
 recita: «Per l'interruzione volontaria della gravidanza la donna può 
 rivolgersi, altresì, agli studi medici e alle strutture sanitarie 
 autorizzati dalla Regione».
 
 In un momento in cui l'obiezione di coscienza si trasforma in boicottaggio 
 strisciante, persino sulla cosiddetta pillola del giorno dopo, noi siamo 
 con chi lotta veramente perché sia ridotto il numero degli aborti e non 
 con chi ipocritamente vuole tenere le donne sotto scacco.
 
 
 
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