Vivere per la proposta di legge Eutanasia Legale

Libertà sessuale, libera sessualità- 1976 - Adele Faccio

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giovedì 7 febbraio 2008

• da Il Foglio del 6 febbraio 2008, pag. 2

Piccola posta
di Adriano Sofri

Trovo assai istruttiva, quanto all'assurdità o peggio dei tempi, la polemica
sul bando dei radicali da parte del Partito democratico. Un po' per lealtà,
un po' perché se ne aspettavano molto meno che gli altri commensali (con
quella formula pannelliana, I Capaci di tutto contro I Buo­ni a nulla) I
radicali sono stati I più fedeli partecipi della vicenda del governo Prodi,
e I meno inclini agli ultimatum e ai calcoli di botteguccia. Emma Bonino si
è guada­gnata, come ogni volta che le venga affida­to un incarico di fiducia
- come il soldato Nemecsek, pronto a immergersi nella vasca dei pesci rossi,
se la consegna è quella - l'apprezzamento di tutti gli osservatori in buona
fede.
Ai radicali si deve in misura decisiva il più prestigioso dei rari
meriti di cui il governo può andar fiero, il voto all'O­nu per la moratoria
sulla pena di morte.
Ai radicali è stato fatto il torto evidente - e co­me tale riconosciuto in
pubblico da alcuni fra I più autorevoli giuristi, in privato da tutti -
di sottrarre I seggi in Senato che la lettera della legge
cioè la legge, assegnava loro, capaci oltretutto di dare al governo quella
infima maggioranza che ne avrebbe protratto l'esistenza.
In una esperienza go­vernativa lungo la quale le cose buone so­no state
realizzate non grazie ma nonostan­te o contro la coalizione di governo,
e la consumazione di una maggioranza si è bru­ciata fino alla mortificazione
e al rigetto di un intero popolo, e l'opposizione è cresciu­ta come un
pallone gonfiato senza prende­re alcuna iniziativa degna di memoria, e anzi
dando prove intestine di meschinità madornale e sbandierando dalla
prima ora fantastici proclami di illegittimità del risul­tato elettorale,
I radicali hanno fatto la loro parte costruttivamente facendosene un punto
d'onore, come gli ultimi giapponesi di una guerra perduta.
Nel corso di questa esperienza, e già alla sua vigilia, hanno am­piamente
dissipato una rischiata confusio­ne fra l'americanismo, che rivendicano, e
il bushismo, e fra il liberismo, che rivendica­no, e la legge della giungla.
Vantando a ra­gione una estraneità ai vizi castali, e anzi una primogenitura
nella denuncia della partitocrazia si tengono alla larga dalla cresta d'onda
demagogica, Hanno auspicato costantemente e vigorosamente indulto
e amnistia, e non se ne sono pentiti ipocrita­mente quando piovevano
pietre forcaiole.
Hanno sostenuto, con l'esempio della vita e della morte di militanti e
dirigenti politici che dalla loro solidarietà hanno tratto e soprattutto
dato forza, da Luca Coscioni a Piergiorgio Welby, battaglie tra le più
es­senziali per una nobile idea della politica.
Quanto all'aborto, solo una confusione fra la dolorosa libertà di scelta
personale del­le donne e l'infamia delle demografie coer­citive di stato
può ricacciare su trincee op­poste e accanite persone accomunate da
un intimo amore per la vita.

I radicali sono lai­ci, ma questo non dovrebbe guastare in nes­sun partito,
tanto meno nel Partito demo­cratico.
Qualcuno di loro sarà anche mangiapreti, ma I preti contemporanei
hanno a loro volta appetito da vendere.
Insomma, la mia opinione è che l'idiosincrasia per I ra­dicali sia una brutta
malattia, che per giun­ta vede loro come ammalati dal cui conta­gio guardarsi.
Ora, in un serio partito che voglia fare da sé, ed essere davvero aperto,
l'unico veto accettabile è quello contro chiunque voglia imporre veti alla
parteci­pazione altrui.
I radicali non lo fanno. Que­sta almeno è la mia opinione.

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