Vivere per la proposta di legge Eutanasia Legale

Libertà sessuale, libera sessualità- 1976 - Adele Faccio

Piano improvisation di Salvatore Maresca Serra

Alba Montori su Facebook

domenica 9 settembre 2007

PEGAH: LA PETIZIONE POTREBBE CONTRIBUIRE A GARANTIRLE ASILO NEL REGNO UNITO

PEGAH: LA PETIZIONE POTREBBE CONTRIBUIRE A GARANTIRLE ASILO NEL REGNO UNITO

UN PRECEDENTE NELL'AGOSTO 2006, QUANDO UN GAY UGANDESE OTTENNE L'ASILO CON 10.000 FIRME E IL RICORSO IN APPELLO, NONOSTANTE L'OPPOSIZIONE DELL'HOME OFFICE

di Matteo Pegoraro – Gruppo EveryOne

Si chiama Moses Kayiza, è un ugandese omosessuale che ha ottenuto l'asilo politico come rifugiato in Gran Bretagna lo scorso anno, e potrebbe rappresentare un importantissimo precedente per il caso di Pegah Emambakhsh .

Moses è fuggito dall'Uganda nel maggio del 2004 . Secondo le leggi, la cultura e la religione ugandesi, l'omosessualità è considerata un crimine, per la quale sono previste durissime pene detentive, fino ad arrivare all'ergastolo.

Yoweri Museveni, il Presidente dell'Uganda, aveva manifestato negli ultimi anni proprio la volontà di ordinare l'arresto di tutti gli omosessuali del Paese, correggendo poi le sue dichiarazioni con l'augurio di ritornare "al buon tempo in cui erano i genitori di questi individui a farli sparire e ad ammazzarli".

Moses aveva vissuto in segreto la sua omosessualità sin da giovane, per diversi anni. Nel 2003, le pressioni provenienti dalla sua famiglia e dalla tradizione culturale del suo Paese lo costrinsero a un'unione matrimoniale combinata.

Dopo tredici mesi di matrimonio e un periodo di separazione, la moglie di Moses ritornò nella casa coniugale e scoprì il marito con un altro uomo, quel compagno segreto con cui perdurava una relazione amorosa da anni. La donna lo denunciò alle autorità, e sulla base delle evidenze raccolte, la polizia arrestò Moses più e più volte.

Come spesso succede in Uganda, durante le incarcerazioni Moses fu torturato e violentato per sette giorni dagli agenti delle forze di sicurezza che lo avevano in custodia . Questo prima della sua disperata fuga, nel maggio di tre anni fa, verso il Regno Unito, dove avrebbe richiesto rifugio.

Moses, arrivato in Inghilterra, si era stabilito nell'area di Manchester, dove aveva intessuto contatti e amicizie con la comunità gay locale.

Questo fino allo scorso anno, il 2006, quando il segretario di Stato dell'Home Office John Reid, in carica dal 5 maggio 2006 per il Governo di Tony Blair, aveva definitivamente negato l'asilo politico al cittadino ugandese . Il Giudice aveva infatti rifiutato l'appello di Moses con motivazioni ancor più gravi e pretestuose di quelle addotte dall'attuale segretario di Stato Jacqui Smith nei confronti di Pegah Emambakhsh.

"Se, come dice il richiedente asilo, l'omosessualità è illegale e criminalizzata in Uganda, trovo spiacevole il fatto che per quattro notti in una stazione di polizia gli agenti abbiano abusato di lui" aveva decretato il Giudice. "Da prove oggettive" aveva continuato "è evidente che l'omosessualità sia tuttora oggetto di persecuzione in Uganda. Tuttavia, appaiono, al momento attuale, pochissimi, se non nulli, i provvedimenti adottati per rafforzare questo tipo di legge persecutoria".

Dunque, nonostante Amnesty International abbia documentato negli anni ripetuti casi di omosessuali torturati in Uganda, e nonostante gli stessi referti medici di Moses confermassero la sua esperienza di tortura e violenza, l'uomo si ritrovò respinta la sua richiesta.

Nel momento in cui stava per essere deportato, afflitto da una grave crisi nervosa da stress e crisi di panico, venne ricoverato in base alla sezione 2 del Mental Health Act. Mentre era in ospedale, e all'avvocato veniva offerta la possibilità di ricorrere in appello alla decisione dell'Home Office attraverso un'Immigration Court, venivano raccolte oltre 10.000 firme per una petizione al Governo del Regno Unito per la positiva risoluzione del caso di Moses.

Moses otteneva il supporto di singoli cittadini, di associazioni, della National Religious Leaders Roundtable e delle Metropolitan Community Churches di tutto il mondo. Tremila cartoline venivano inviate al Ministro dell'Immigrazione, così come centinaia di lettere ed e-mail di protesta inondavano le caselle di posta dell'Home Office.

Ad Agosto del 2006 l'Immigration Court riconobbe il ricorso in appello del cittadino ugandese sulla base della Convenzione ONU di Ginevra del 1951, relativa allo status di rifugiato, e in base alla Convenzione Europea dei Diritti Umani. L'Home Office Secretary, che aveva tempo 5 giorni per ricorrere ulteriormente alla decisione della Corte, preferì a quel punto non replicare.

Moses si trova ora in Inghilterra con il permesso di rimanerci stabilmente per cinque anni, godendo di tutti i diritti di un cittadino britannico, tra cui il diritto al lavoro, all'educazione e ai benefici di sicurezza sociale previsti. Al termine del quinquennio, l'Home Office revisionerà la situazione in Uganda. Se niente sarà cambiato in meglio per la comunità gay e lesbica, otterrà l'asilo definitivo nel Regno Unito.

Moses, nonostante la timidezza che lo caratterizza, ha partecipato pubblicamente agli ultimi Gay Pride di Londra e Manchester, portando la sua testimonianza davanti a migliaia di persone.

Jacqui Smith, il segretario di Stato britannico scelto dal primo ministro Gordon Brown, è succeduto a John Reid il 28 giugno 2007 . Prima donna a ricoprire quest'incarico nella storia della Gran Bretagna, la Smith ha ricalcato perfettamente la tradizione omofobica e lesiva della dignità umana che ormai da anni caratterizza l'Home Office del Regno Unito .

Gettatasi a capofitto sul caso di Pegah Emambakhsh , le ha negato la richiesta d'asilo , ne ha ordinato l'incarcerazione nel centro di detenzione temporanea di Yarl's Wood, a Clapham, nel Bedfordshire, e ne ha decretato la deportazione in Iran più volte, non considerando le richieste di rimando del provvedimento da parte del PM di Sheffield Central, Richard Caborn.

Grazie alla denuncia del caso da parte del Gruppo EveryOne, in collaborazione con IRQO (Iranian Queer Organization) e Friends of Pegah Campaign, è partita una campagna internazionale (con l'adesione di singoli cittadini, istituzioni, associazioni, organizzazioni per i diritti umani) che ha bloccato la deportazione di Pegah e ha raccolto oltre 15.000 firme per una petizione che verrà inviata dal Gruppo EveryOne nei prossimi giorni al Ministro dell'Immigrazione britannico, al premier Brown e, per conoscenza, all'Ambasciata Britannica in Italia .

Il team legale di Pegah ha nel frattempo presentato ricorso in appello all'Immigration Court , ed entro una decina di giorni, secondo fonti vicine al Gruppo EveryOne, dovrebbe arrivare anche quella sentenza.

Il caso di Pegah Emambakhsh rappresenta però solo la punta di un iceberg. Nei mesi e negli anni passati sono stati infatti deportati – nell'indifferenza dell'opinione pubblica internazionale e nella silenziosa complicità degli Stati Membri dell'Unione Europea, tra cui, purtroppo, anche l'Italia – centinaia e centinaia di profughi richiedenti asilo . Di questi, molti non hanno raggiunto il Paese d'origine: solo negli ultimi tre anni, sono almeno due i casi documentati e accertati di suicidio da parte di cittadini omosessuali iraniani che avevano richiesto l'asilo all'Home Office del Regno Unito e si sono visti improvvisamente sospesi il diritto al lavoro e ai sussidi, e soprattutto respinta la richiesta di rifugiarsi in un Paese che consideravano civile. Entrambi hanno scelto la via della morte per conservare la propria dignità, quando già era giunta per loro l'ora della deportazione. E quando, come per Pegah, era già stato fissato loro il volo verso il terrore.

Il Gruppo EveryOne, che sta lavorando su tutti questi casi collezionando documentazione e testimonianze, sta redigendo un dossier che pubblicherà prossimamente, e che farà pervenire alle massime rappresentanze per la difesa dei diritti umani nel mondo e alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Questo non solo per denunciare la politica estremamente lesiva dei diritti fondamentali dell'individuo perpetrata dal Governo Britannico, ma soprattutto per fermare questa pericolosissima ondata di complicità, anche da parte di altri Stati d'Europa, con regimi conservatori e assassini.

Matteo Pegoraro – Gruppo EveryOne
Info: +39 334 8429527 – matteo.pegoraro@infinito.it

Nessun commento: