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sabato 14 settembre 2024

Vita da ergastolano (da Nessuno Tocchi Caino)

 Gioacchino Calabrò*

Sono nato il 2 giugno 1946, proprio il giorno in cui è nata la Repubblica Italiana, in un piccolo paese del profondo sud. Da bambino, quando frequentavo la scuola elementare, avevo un “problema” con un maestro, poiché sbagliavo i verbi e di conseguenza venivo bacchettato. Per ripicca, quando vedevo posteggiata la sua auto, gli bucavo le gomme. Alla fine, l’unica cosa che ho imparato sono state le ritorsioni nei suoi confronti. Allora, in Sicilia c’era una grande ignoranza e tanta miseria. Chi conosce Danilo Dolci sa di cosa parlo. Lo scrittore si è fermato a Trappeto, un luogo situato sulla costa nel Golfo di Castellammare. Racconta di fame, violenza, povertà, mafia e degrado. A scuola andavo male anche perché quando tornavo a casa non avevo tempo per studiare. Andavo a lavorare per imparare il mestiere e all’età di 13 anni guadagnavo come un artigiano di 30. Dopo aver fatto il militare mi sono aperto un’attività tutta mia e la mia fidanzata, poi diventata mia moglie, stava in ufficio e teneva la contabilità.

Andava tutto bene. Poi sono stato attratto dal canto ingannevole delle Sirene e sono stato arrestato all’età di 39 anni per i gravi reati commessi nell’ambito dell’associazione mafiosa. Cosicché ho rovinato la mia vita, quella dei miei cari e, ancora più grave, quella di molte vittime innocenti.

Quando mi hanno arrestato avevo solo la quinta elementare. Per scrivere una lettera consumavo un intero block-notes. All’inizio mi è stato applicato il regime dell’articolo 90, poi quello del 41 bis dove ci sono rimasto per vent’anni. Senza avere la possibilità di frequentare la scuola, ho cercato in tutti i modi di migliorare la mia cultura leggendo tutto ciò che mi capitava e come antidoto alla pazzia scrivevo lettere a destinatari immaginari che poi strappavo.

Dopo vent’anni di questo “tortuoso” regime mi hanno declassificato e sono stato trasferito nel carcere di Biella.

La prima cosa che ho chiesto alla direttrice è di andare a scuola. Qui nasce la mia seconda esperienza scolastica. Non c’era un corso di terza media, ma c’erano delle bravissime professoresse volontarie che mi hanno preso per mano. Pagina dopo pagina, ho apprezzato il fuoco e l’energia che sprigionano un libro. L’ho scoperto con la bontà, l’altruismo e la tenacia delle insegnanti che mi hanno istruito fino a superare, con ottimi voti, l’esame della terza media. Ero orgoglioso, non tanto per me, che ero un ergastolano ostativo, quindi col “fine pena mai”, ma per loro che piangevano di gioia per le risposte sensate che davo alla Commissione. È stato questo il primo passo che ha determinato un’apertura mentale. Avevo spezzato le mie catene.

Poi sono stato trasferito nel carcere di Opera. Anche a Milano la prima cosa che ho chiesto era poter studiare. Prima che arrivasse questa possibilità, sono passati quattro anni. Comunque, anche qui ho scoperto un filone d’oro nello studio, perché apre le porte alla mente, è una luce che giorno dopo giorno illumina sempre più. I professori, oltre alle proprie discipline, hanno insegnato molto di più, mi hanno fatto capire cos’è il bene e il male, cos’è la vita e l’etica. Sono stati e lo sono ancora una fonte di sapere e di amore per il prossimo. Mi hanno trasformato in una persona consapevole.

Oltre alla scuola, frequento il corso di lettura “fine pena ora” ogni giovedì. Raramente salto qualche incontro, perché oltre alla lettura ci ritrovo importanti insegnamenti di vita, di comportamenti, di armonia, di apertura mentale, di giustizia riparativa. Faccio anche teatro. Non avrei mai pensato di esibirmi davanti a un pubblico, eppure ho superato anche questo limite.

Professori, tanti volontari, insieme agli educatori del carcere, mi hanno inculcato il diritto. Io sapevo che esiste una Costituzione, ma non avevo mai letto un articolo. La professoressa di diritto, Clementina Staiti, piano piano, mi ha fatto capire il grande lavoro dei nostri padri e madri della Costituzione che si sono messi insieme con rispetto reciproco e lasciandosi alle spalle molti pregiudizi per scrivere questa stupenda carta dove ogni parola è stata cesellata con un lavoro certosino.

Dopo la maturità, nel 2013, i professori mi hanno voluto nel corso di amministrazione finanziaria e marketing. Pochi giorni fa ho ricevuto la pagella con quasi tutti dieci. Alla fine di questo percorso scolastico ho presentato un permesso di poche ore, dato che da 25 anni non faccio colloqui, perché i miei cari non se la sentono di entrare in carcere. Dopo due anni di istruttoria è stato dichiarato inammissibile, perché mancava la relazione del carcere. Poi ne ho presentato un altro e anche questa volta lo hanno dichiarato inammissibile. La sintesi era stata redatta dall’Istituto, però mancava il parere della criminologa.

Chiedo a voi tutti, cari amici: la tortura è solo la fustigazione? Oppure, anche questo continuo rimpallo, può essere una forma di tortura? Alle domande innocenti di tanti studenti dei corsi che ho frequentato, per la prima volta, sono riuscito a rispondere assumendomi in toto le mie responsabilità, cosa che avevo negato ai giudici nei processi. Con i miei 36 anni di pena espiata più altri 5 di liberazione anticipata, poiché non ho mai preso un rapporto, supero i 40 anni di carcerazione.

Oggi, ho quasi ottanta anni. Il rigetto di un piccolo permesso non riguarda più me, quello che sono oggi, ma quello che sono stato.

* Ergastolano detenuto a Opera




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