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lunedì 12 febbraio 2024

IRAN: 882 esecuzioni capitali nel 2023 e 35 persone condannate a morte nel solo gennaio 2024

Più di due persone fatte penzolare ogni giorno con una corda intorno al collo

08/02/2024 -

 IRAN. 2023: record di esecuzioni e nuove condanne; 882 esecuzioni e 198 condanne a morte.

Human Rights Activists News Agency (HRANA) rileva un preoccupante aumento del numero di condanne a morte nella Repubblica islamica, che ha raggiunto un picco di 12 mesi con 35 persone condannate a morte nel solo gennaio 2024. Dal gennaio '23 al gennaio '24 Hrana ha registrato 882 esecuzioni e 198 nuove condanne a morte.

Secondo la documentazione registrata da Hrana, la Repubblica islamica ha assistito a una significativa impennata nell'emissione di condanne a morte nel gennaio 2024, con 35 persone condannate alla pena capitale - il massimo registrato in più di 12 mesi - e un totale di 86 persone giustiziate.

Il gennaio 2024 è stato segnato anche dall'efferata esecuzione di Mohammad Ghobadlou. Ghobadlou è stato giustiziato in relazione alle proteste "Donne, vita, libertà". Il suo caso ha attirato l'attenzione internazionale a causa di segnalazioni di malattie mentali e di processi privi di qualsiasi parvenza di giusto processo.

In Iran, la pena di morte viene regolarmente comminata a seguito di processi che non rispettano le garanzie di un giusto processo, in un sistema giudiziario che manca di trasparenza e imparzialità e per crimini che non rientrano tra quelli più gravi previsti dal diritto internazionale. Il continuo ricorso alla pena di morte in questo modo costituisce una grave violazione del diritto alla vita ai sensi dell'articolo 6 dell'ICCPR.

Inoltre, e in particolare nel caso di Mohammad Ghobadlou, l'imposizione della pena di morte a persone affette da disturbi mentali è severamente vietata dal diritto internazionale, come ribadito dalla Sezione 3(e) della Risoluzione della Commissione ONU per i Diritti Umani (2000/85).

 Un esame delle esecuzioni e dell'emissione di sentenze capitali nel periodo compreso tra gennaio 2023 e gennaio 2024 dimostra che il numero di esecuzioni supera costantemente il numero di nuove condanne a morte emesse. Questa disparità è evidente, e suggerisce che le autorità intendano “smaltire l’arretrato”.

L'Iran continua a essere tra i primi al mondo in termini di pena capitale, nonostante gli appelli internazionali per l'abolizione della pena di morte, in particolare per i crimini che non rientrano tra quelli più gravi secondo il diritto internazionale. È evidente che la Repubblica islamica si rifiuta di rispondere agli appelli della comunità internazionale. I membri della magistratura iraniana, complici della totale mancanza di conformità con gli standard internazionali sui diritti umani, devono continuare a essere ritenuti responsabili attraverso vari meccanismi di responsabilità internazionale, come il sistema di sanzioni “Magnitsky”*, da applicare a giudici, funzionari e membri delle forze dell'ordine per il loro coinvolgimento nel continuo uso della pena capitale come strumento per vittimizzare e mettere a tacere.

*L’avvocato russo Sergei Magnitsky nel 2007-2008 denunciò pubblicamente una frode fiscale su larga scala nel suo Paese che coinvolgeva funzionari di polizia, magistrati, ispettori del fisco, banchieri e organizzazioni criminali di stampo mafioso. In seguito alle sue denunce, fu arrestato e – dopo undici mesi di detenzione senza processo in condizioni durissime – morì in una prigione di Mosca, a 37 anni, nel novembre del 2009. L’imprenditore statunitense William Browder, suo assistito, lanciò quindi una campagna affinché venissero imposte sanzioni mirate nei confronti dei funzionari coinvolti, finalizzate ad impedire loro di entrare nel territorio USA e ad escluderli dal sistema economico-finanziario americano. Nel 2012 il Congresso approvò il Magnitsky Act, che prevedeva sanzioni individuali consistenti, in particolare, nel congelamento dei beni e nel rifiuto del rilascio del visto d’entrata negli Stati Uniti. (da: https://fidu.it/language/it/legislazione-magnitsky-2/)

https://www.en-hrana.org/hra-records-highest-number-of-death-sentences-imposed-by-the-islamic-republic-in-more-than-12-months/

(Fonte: Hrana)




DUE IMPICCATI AL GIORNO: LA GUERRA DELL’IRAN AGLI IRANIANI


Guerra deriva dal tedesco antico werra che esprime il senso del disordine proprio della mischia in cui i corpi, nello scontro, si aggrovigliano e si macellano secondo quella modalità di combattimento che connotava le popolazioni germaniche antiche, “barbare” appunto. Guerra e barbarie camminano insieme. Tant’è che dove c’è guerra c’è barbarie. Meno scontato ma altrettanto vero è che dove c’è barbarie c’è guerra. Come definire infatti la carneficina delle esecuzioni capitali in Iran se non come una guerra del regime teocratico nei confronti del suo stesso popolo?
 
Nell’anno che si è da poco concluso sono state giustiziate almeno 883 persone secondo il monitoraggio quotidiano di Nessuno tocchi Caino (almeno 850 secondo Iran Human Rights Monitor). Solo una minima parte di questa macellazione, il 17%, è stata resa pubblica dai mezzi di informazione. Eppure parliamo di una media di più di due persone fatte penzolare ogni giorno con una corda intorno al collo secondo un orrido ritmo confermato da questo primo mese del 2024 che ha visto almeno 70 giustiziati in 31 giorni. Una mattanza talmente vergognosa che è lo stesso regime che la vuole tenere nascosta. Mi ricorda la segretezza che avvolgeva l’industria della morte del campo nazista di Auschwitz, ben descritta dal medico ebreo ungherese Miklos Nyiszli nel libro curato da Augusto Fonseca “Sono stato l’assistente del dottor Mengele”.

La barbarie, come la guerra, comporta l’eclissi del senso di umanità per come questo è andato definendosi anche nelle norme di diritto internazionale cogente, perché da tutti condivise, che vietano la pena di morte nei confronti di chi era minorenne al momento del fatto o abbia compiuto reati non di sangue legati alla droga. La barbarie iraniana è giunta l’anno scorso a impiccare 7 minorenni e 494 condannati per reati legati alla droga. Quanto alle 27 donne giustiziate, prima dell’aggrovigliarsi della corda al loro collo ci sono stati i processi ingiusti attorcigliati ai loro corpi abusati da mariti che alla fine hanno ucciso per difendersi.

Avviluppati da processi privi delle garanzie minime sono stati anche i corpi dei 20 giustiziati per motivi politici nel 2023. Tra loro i partecipanti alle manifestazioni “Donna, vita, libertà” come Mohammad Ghobadloo, giustiziato a Karaj lo scorso 23 gennaio. Gli era stata scagliata addosso l’accusa di Moharebeh (guerra contro Dio) e corruzione in terra per aver investito con la sua auto e ucciso un agente di polizia durante le proteste scatenate dalla morte di Mahsa Amini. Soffriva di un disturbo bipolare e la sua esecuzione era stata annullata dalla Prima Sezione della Corte Suprema. Eppure, nella mischia del disordine anche istituzionale del regime iraniano per cui un tribunale non rispetta quello che dispone un altro, è finito sulla forca, undicesimo manifestante dopo Mohsen Shokati, Majidreza Rahnavard, Mohammad Mehdi Karami, Mohammad Hosseini, Saleh Mirhashemi, Majid Kazemi, Saeed Yaghoobi, Milad Zahrawand, Mohammad Ramz Rashidi e Naeim Hashemi Qatalli.

Dallo stesso carcere di Karaj è giunta il 29 gennaio la tremenda notizia dell’esecuzione di altri quattro prigionieri politici curdi: Pejman Fatehi (28 anni), Mohsen Mazloum (27 anni), Vafa Azarbar (26 anni) e Mohammad (Hajir) Faramarzi (28 anni). Erano stati arrestati a Urmia il 22 giugno del 2021 e da allora non hanno mai potuto avere alcun contatto, visite o telefonate, con i propri familiari. L’unica visita è stata concessa poco prima dell’esecuzione. Durante la loro detenzione in una località tenuta segreta, con l’accusa di spionaggio a vantaggio di Israele, hanno subito torture che li hanno portati ad autoaccusarsi davanti alla telecamera. Immagini che poi sono state diffuse attraverso i canali del regime iraniano.

Occorre porre fine a questo barbaro disordine interno se vogliamo far terminare le minacce all’ordine internazionale. Ma per stabilire in Iran un ordine basato sull’armonia dei diritti umani universali bisogna che cambi il regime dei mullah e che cambino registro i paesi democratici, perché è stata la loro ultradecennale politica dell’accondiscendenza a mantenerlo immutato se non a renderlo peggiore.



Elisabetta Zamparutti su L’Unità del 4 febbraio 2024

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