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lunedì 21 luglio 2014

Vicenda Provenzano, caso Tamoil, una relazione c’è

da  Home 21-07-2014

Le due notizie si riferiscono a vicende che non hanno, tra loro, una relazione; e tuttavia una cosa in comune ce l’hanno. Vedremo cosa tra breve.

La prima notizia. L’avvocato Maria Brucale, che assieme a Rosalba Di Gregorio difende Bernardo Provenzano ci fa sapere che il suo assistito “ha ormai da molti mesi cessato di alimentarsi in modo autonomo”. Ci fa sapere che le funzioni vitali dell’ormai ex boss di Cosa Nostra “tutte, sono prodotte in modo artificiale”. Si apprende che i medici del San Paolo di Milano, dove Provenzano da alcuni mesi è ricoverato, “ritengono ora che il sondino naso-gastrico attraverso il quale è stato finora nutrito non sia più adatto allo scopo e debba essere sostituito dalla installazione di una peg, un sistema enterale di alimentazione forzata che importa un intervento chirurgico”.

C’è tuttavia un problema: “Occorre”, spiega l’avvocato Brucale, “che il paziente firmi un consenso informato. Il paziente però non è in grado di firmare né di comprendere. I periti che lo hanno visitato ne hanno, infatti, attestato l’incapacità di intendere e di volere”, vittima com'è di “un gravissimo decadimento cognitivo e fisico in costante peggioramento”. Per questo motivo, il figlio Angelo è stato nominato amministratore di sostegno del padre dal giudice titolare. A lui, dunque, è richiesta la sottoscrizione. “Provenzano però”, spiega l’avvocato Brucale, “incapace e moribondo, è tuttora ristretto nel regime di 41 bis, ai massimi rigori del carcere e il figlio non può nemmeno consultare il diario clinico, che ha da un mese richiesto per il tramite dei difensori al Ministero senza aver avuto ancora risposta. Non è quindi in grado di valutare, con il consiglio di un suo medico di fiducia, l’opportunità dell’intervento, dell’anestesia praticata su un soggetto di 81 anni in condizioni fisiche tanto scadute, per formulare riflessioni e valutazioni delicatissime sulla eventualità che la chirurgia si traduca, per un uomo ormai in fin di vita, in un odioso accanimento terapeutico”.

Dunque? La revoca del 41 bis, richiesta dai difensori al Tribunale di sorveglianza di Roma, con l’vallo delle procure della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, Palermo e Firenze, e la contrarietà della Direzione Nazionale Antimafia, verrà discussa il 3 ottobre prossimo, dopo un lungo rinvio istruttorio teso ad acquisire ulteriore documentazione sanitaria che appare incomprensibile, a fronte della certificata drammaticità delle condizioni di salute di Provenzano. Sempre il 3 ottobre, il Tribunale di Sorveglianza di Milano, con l’ausilio della relazione di un collegio di periti, dovrà valutare se Provenzano deve restare in carcere; o, come sostengono i sanitari del San Paolo, la carcerazione è del tutto incompatibile con il suo stato di salute. “E’ una situazione kafkiana”, commenta l’avvocato Brucale, “che svela appieno la brutalità e l’inutilità della detenzione di speciale afflizione per chi ormai non è più un boss, non è nemmeno uomo, se uomo è chi pensa, agisce, vuole”.

La seconda notizia, la ricaviamo da un promemoria che dobbiamo a Sergio Ravelli, dell’associazione radicale Piero Welby di Cremona.

Si tratta di una storica iniziativa dei radicali cremonesi che venerdì scorso si è conclusa con un esito di grande rilevanza. Venerdì scorso, infatti è stata emessa la sentenza nei confronti dei massimi manager della multinazionale libica Tamoil, accusati di avvelenamento delle acque, omessa bonifica e disastro colposo. Al processo, ci racconta Ravelli, “si è arrivati dopo trent'anni di lotte radicali contro l'inquinamento prodotto dalla Tamoil, un inquinamento che è stato non solo di natura ambientale ma anche economico, sociale e politico. Solo la forza di resistenza dell'iniziativa radicale ha consentito di trascinare, letteralmente trascinare, il Comune di Cremona nel processo come parte civile danneggiata attraverso la straordinaria azione popolare, ai sensi dell'articolo 9 del T. U. degli enti locali* da Gino Ruggeri, segretario dell'associazione radicale Piero Welby. Ma fra le parti civili nel processo sono presenti, in qualità di persone danneggiate, anche altri esponenti dell'associazione radicale: Ermanno de Rosa e io stesso”.

Il giudice Guido Salvini con la sua sentenza ha confermato le aspettative dei radicali cremonesi. La condanna non è stata solo esemplare ma giusta, come giusti devono essere i risarcimenti (solo in via provvisionale Gino Ruggeri ha chiesto 1 milione di euro di risarcimento). Ravelli ricorda anche “che l'azione popolare intrapresa da Ruggeri, in sostituzione del Comune, prevede che ogni risarcimento ottenuto vada a favore del Comune di Cremona. Per chi, come me, ha partecipato a questa splendida lotta radicale fin dall'inizio (novembre 1984) la soddisfazione è grande. Ancora una volta, attraverso le lotte radicali, anche sul territorio, abbiamo la conferma della straordinarietà della storia del Partito Radicale. Il cui segreto si può ben riassumere nella frase più volte ripetuta da Marco Pannella: la durata è la forma delle cose!”.

Soddisfazione a parte, qual è l’elemento in comune tra la vicenda Provenzano e il caso/condanna Tamoil? Non se ne parla, non si deve sapere. Di Provenzano, radicali a parte (Rita Bernardini, Marco Pannella e altri duecento sono impegnati in un Satyagraha che comprende anche questa vicenda), solo “Il Garantista” di Piero Sansonetti e Maurizio Tortorella su “Panorama.it” hanno informato. Del caso Tamoil, lo spaventoso inquinamento prodotto, e la relativa condanna, ne hanno informato i quotidiani e le cronache locali; ma oltre non si è andati. Eppure motivi e ragioni di riflessione ce ne sarebbero; la vicenda Provenzano e il caso Tamoil, una relazione c’è: sono “notizie” confiscate, non si deve sapere, non si deve discutere. 

Conoscere condizione per poter deliberare, diceva Luigi Einaudi. Il problema, i nodi da sciogliere, sono sempre questi.

Valter Vecellio




ancora su Notizie Radicali: 

Che ne facciamo di Bernardo Provenzano? L'uomo, gravato da molti ergastoli, attualmente si trova nel reparto protetto di un ospedale milanese, sottoposto al regime di 41bis. Questo circuito speciale rappresenta l'estremo del nostro sistema penitenziario.

Una condizione di isolamento pressoché assoluto, prorogabile per tutta la durata della detenzione: dieci, venti, trent'anni. O per l'intera vita terrena. Quando si trattò di prevederne l'istituzione, il Parlamento - prudentemente - ne fece una norma provvisoria. Poi, con il tempo e con i limiti imposti dalla Corte costituzionale e dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura, il 41bis è diventato parte integrante e stabile del nostro ordinamento.

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