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martedì 22 febbraio 2011

Se la prof punisce il bullo, va in galera, questo decide il giudice in appello

La notizi ha suscitato un vivace dibattito, anche all'interno della comunità GLBT.
aggiungo due link: il primo è quello della pagina di La Repubblica di Palermo sulla notizia, che riporto di seguito:

Fece scrivere a un alunno: "Sono deficiente"
Insegnante condannata a un mese

Alla base della punizione, un atto di bullismo. Il ragazzino aveva impedito a un compagno di andare nel bagno dei maschi dicendogli: "Sei una femminuccia, un gay". Per i giudici è "abuso di mezzi di correzione", per la prof era "una lezione di vita"

Per cento volte fece scrivere a un alunno sul quaderno: "Sono un deficiente". A causa di questa punizione Giuseppa Valido, 59 anni, insegnante ormai in pensione di Palermo, è stata condannata a un mese di carcere per "abuso di mezzi di correzione". L'imputata però non andrà in cella per via della sospensione della pena e per il condono. Con il rito abbreviato il 27 giugno 2007 il gup aveva assolto l'imputata. Ma il pm insieme alla parte civile aveva presentato ricorso. Nel giudizio di secondo grado il pg aveva chiesto una condanna a 14 giorni di reclusione. Ma la terza sezione della Corte di appello, presieduta da Gaetano La Barbera, è andata oltre le richieste dell'accusa, condannando l'insegnante a un mese.

Per il legale della docente, Sergio Visconti "non è stata fatta giustizia. La mia cliente - dice - è profondamente offesa ed amareggiata. Si sente tradita dalle istituzioni. Mi ha detto che le viene da piangere e non potrebbe affrontare in pubblico una discussione sulla vicenda che la vede protagonista".

La donna, che ora ha 59 anni ed è in pensione, costrinse un alunno che aveva insultato e preso in giro un compagno dandogli del gay e impedendogli di entrare nel bagno dei maschi, a scrivere "sono un deficiente". "La mia cliente - ha aggiunto il legale - non si dà pace. Si sente tradita dalle istituzioni che ha cercato di garantire anche insegnando ai ragazzi che non si devono discriminare gli altri". "Mi ha detto - ha concluso - che forse alla luce della sentenza sarebbe stato meglio non intervenire".

Di parere contrario il padre dell'alunno: "Ha avuto quello che si meritava. Doveva pagare il conto. Dopo quella punizione sono stato costretto a portare mio figlio dalla psicologo".

L'insegnante aveva inflitto la punizione al ragazzino perché, assieme a due coetanei, aveva impedito a un compagno di classe di entrare nel bagno dei maschi dicendogli "non ti facciamo passare perché tu sei una femminuccia, un gay". Il piccolo era scoppiato in lacrime e la professoressa aveva deciso di punire il responsabile. Uno degli autori della bravata aveva chiesto scusa, ma non il presunto bullo. Era così scattata la punizione e l'insegnante aveva imposto all'alunno di darsi del deficiente. "Una lezione di vita" per la professoressa. Un "abuso dei mezzi di correzione" per i giudici.

"Mia moglie è amareggiata, ha lasciato la città dopo la sentenza. Per un po' rimarrà fuori Palermo". A parlare è Salvatore Ienna, il marito di Giuseppa Valido. L'insegnante, ha riferito il marito, "non vuole commentare in alcun modo la sentenza".

Dal blog dettotranoi-La Repubblica  
BLOG Se il bullo non è un deficiente
  tra i  moltissimi commenti (che invito a leggere utilizzando il link ) riporto per esteso quelli che sono più attenti e circostanziati sull'aspetto più strettamente "didattico e formale", e quelli del figlio della prof condannata.
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Le orecchie d’asino sono roba ottocentesca, certo. E la punizione scelta dalla professoressa Giuseppa Valido le richiama abbastanza. Fare scrivere a un alunno “sono un deficiente” è un errore, anzi un reato. Oggi i metodi educativi sono un’altra cosa rispetto all’Ottocento. Ma davanti a un atto di bullismo, davanti a tre ragazzini che impediscono a un compagno di andare in bagno “accusandolo” di essere una femminuccia, un gay, qual è il provvedimento più efficace da prendere? C’era un preside al liceo Garibaldi di Palermo che non censurava l’indisciplina degli alunni più violenti. Preferiva enfatizzare la stupidità delle loro azioni. Buon per lui che nessuno gli ha fatto causa.

(17 febbraio 2011)
tra vari commenti....

*
*Aldo Vai scrive:
17 febbraio 2011 alle 18:31

Il pericolo è quello sollevato dal signor Armando, che i docenti poi abbiano paura a prendere anche i provvedimenti necessari. Fatto salvo il giudizio sullo specifico caso – del resto qui è un plebiscito – e volendo tener buono il principio che dell’autorità non si può neppure abusare, potrebbe essere magari valutata l’idea di stipulare tra gli insegnanti e lo Stato e i Comuni una sorta di riassicurazione per cui, entro certi limiti ben stabiliti, lo Stato o il Comune si faccia garante e rimborsi per così dire il docente che non pagherebbe quindi a livello personale se non quando abbia commesso abuso per motivi o problemi suoi o in mala fede o contravvenendo in modo pretestuoso alle norme. Avvocati in giro?
La faccenda del ricorso allo psicologo poi solleva un’altra questione, quella dell’abuso dei certificati degli psicologi di parte

* mila spicola scrive:
17 febbraio 2011 alle 19:12

Solidale con la prof ma entro certi limiti.
La professoressa Valido, ha impartito come pena al ragazzo il compito di scrivere cento volte “sono deficiente”.
E qua casca l’asino. Capisco che spesso ci fanno perdere tutte le pazienze possibili, ma non dobbiamo mai dimenticare il rispetto delle procedure e delle regole.
La legge di tutela dei minori (che è legge sempre, non ad intermittenza) condanna qualunque insulto o ingiuria a un minore chiunque la pratichi, compresa un genitore, se il minore la ritiene tale e ne viene turbato.
E dunque questo taglia la testa al toro.
Essere obbligati a scrivere “sono deficiente” è un insulto. E non ci piove. E la legge tutela sempre e tutti, fino a prova contraria, per garantirci.

Secondo: esiste in ogni scuola un documento ufficiale che si chiama patto formativo. Lo firmano genitori e singolo alunno: in esso sono elencati i diritti e i doveri dei ragazzi, dei docenti e dei genitori, e relative sanzioni nel caso di comportamenti non corretti. Ogni scuola è tenuta a farlo firmare per cui , se le punizioni sono ben esplcitate , per gravità di comportamento, il genitore è già avvisato: sa cosa accade al ragazzo se non rispetta le regole. Sono tutelate entrambe le parti: nel solo interesse del ragazzo. Dunque si va a vedere che pena corrisponde alla violazione e la si da, con permesso del dirigente e avvisando il ragazzo. E comunque non sarà mai un ingiuria.
Il ragazzo è un ostinato e non capirà? Verrà allontanato dalla scuola per motivi educativi. E persino bocciato. Amen, però, se la decisione è chiara, scritta e preannunciata il docente è tutelato. E comunque , sembra che non capisca, in realtà capisce. Più dei genitori.
Inoltre: la legge recita che, a fronte di gravi comportamenti, il docente è “obbligato” a segnalare al consiglio di classe e al preside l’avvenuto; si convoca l’organo collegiale e, insieme, si adotta il provvedimento. Questo a doppia tutela: del docente e del ragazzo. In quel caso la responsabilità ricade sul dirigente che diventa tutore del minore.
Inoltre: un insulto è un insulto. Non ci piove. Se io devo educare e prendere un provvedimento contro un ragazzo che ha insultato un coetaneo che faccio? Lo insulto a mia volta? E allora che facciamo? Che insegnamento è?
Lo so che a volte la rabbia ci farebbe fare chissà cosa, ma calma e sangue freddo e rispetto delle procedure.
Se proprio voleva farlo scrivere sarebbe stato più comprensibile per il ragazzo che gli facesse scrivere 10 volte per intero la dichiarazione dei diritti umani per poi andarla a illustrare al preside, se proprio non voleva ricorrere all’organo collegiale.
Oppre fargli scrivere “devo portare rispetto sempre a chiunque, senza rispondere alle provocazioni e senza provocare io per primo, se voglio avere rispetto dagli altri e se voglio stare nel mondo in modo adeguato”.
Cosa che andrebbe fatta scrivere anche a tanti adulti direi..
Ma per atti gravi (e l’atto di bullismo è un atto grave) la procedura prevede che si ricorra a quello: al consiglio di classe allargato al dirigente. Ripeto: a tutela del docente e del ragazzo. Specie se il ragazzo è difficile. (E ne ho io di ragazzi difficili, alcuni difficilissimi)
Ma se io a un ragazzo difficile gli butto benzina, addirittura gli faccio trascrivere per cento volte un insulto, alimento il peggio. Secondo voi quante volte ripeterà a sua volta quell’insulto ad altri? Moltiplicato per mille in una settimana.
E in genere dietro a un ragazzo difficile ci sono genitori difficilissimi.
Devo tentare di ripartire comportamenti corretti a entrambi.
Ma soprattutto a lui, al mio allievo.
Se poi vogliamo coltivare e innaffiare campi di “bulli” allora andiamo avanti così…a insulto insulto e a ceffone ceffone e mai all’interno di procedure riconosciute.
Ma non stupiamoci se la legge fa semplicemente quello che deve fare. Cioè applicarsi. Perchè è la tutela di tutti: il rispetto delle norme.
Forse se si conoscessero le procedure e le leggi (e l’insulto a un minore è cosa gravissima, a prescindere dalla colpa del minore) e si seguissero con maggiore frequenza e se tutti usassero lo stesso metro di comportamento le cose sarebbero diverse.

Detto ciò: ci troviamo di fronte a un emergenza educativa per la quale la scuola non è adeguatamente attrezzata per mancanza di risorse, di professionalità specifiche e di tempo trascorso coi ragazzi.
Ulteriormente tagliate in questi ultimi anni.
Abbiamo bisogno di risorse e di tempo, tanto tempo, da passare con i nostri ragazzi. Specie gli ultimi. Perchè sono quelli maggiormente bisognosi di attenzioni ed educazione. Severa, determinata e costante ma mai irrispettosa.
Un bullo è l’insieme di ignoranza,maleducazione, trascuratezza e disagio. Lo raddrizzi dandogli un poco di quelle cose.
Giusto per tentare di costruire un mondo comune migliore.

A fronte dei tagli terribili che hanno investito la scuola quanti di quelli che adesso dicono “sono amareggiato” hanno levato con gli insegnanti un grido di allarme?

una docente

* Aldo scrive:
17 febbraio 2011 alle 19:41

Per mila spicola
Essere obbligati a scrivere “sono deficiente” è un insulto?
ed essere chiamato gay da un branco di deficienti no?

*mila spicola scrive:
17 febbraio 2011 alle 20:34

Essere chiamato gay è un insulto.
Ma io non difendo il diritto del ragazzino offeso , duplicando un insulto a un coetaneo, perchè metto in moto una catena altamente pericolosa.
io difendo il ragazzo offeso col rispetto delle procedure e delle regole.
e ne rimando la responsabilità alle stesse.
Non alla docente in se, o al ragazzo in se, ma a tutta la comunità di cui docenti e allunni fanno parte: cioè la scuola.
perchè sono le procedure, le regole e le evenutali pene stabilite insieme a quelle regole che garantiscono il consesso comune e civile della comunità, non l’insulto duplicato a un insulto.
Specie se poi è scritto è ancora più grave.

Se nel patto formativo (che è firmato da docenti, genitori, alunni) c’era scritto: per grave ingiuria o atto di bullismo a compagno due giorni di sospensione.
Si riuniva il consiglio alla presenza del ragazzo e del genitore e si spegava cosa era successo e l’eventuale decisione del provvedimento (magari prendeva la lezione anche senza il provvedimento) la collega non sarebbe in questa situazione.

E comunque: la legge sui minori dice che io docente non posso ingiuriare un minore.
Può non piacermi la legge e se siamo la maggioranza indire un referendum o una raccolta di firme per un eventuale cambiamento.
Ma finchè c’è la legge io la devo rispettare.
Si chiama legalità e per me è oro colato. Non siamo nel far west e un ingiuria è un ingiuria. E un minore è materiale delicatissimo, persino e di più quando è un “vastasunazzu”.
Può anche non piacermi quella sentenza, ma è fatta a norma di legge e dunque va accettata.
Perchè ogni genitore deve avere la certezza che quando lascia il figlio a scuola, dall’angioletto al vastasunazzu, quello verrà garantito da una norma.
E basta.
La norma dice quello: un ingiuria a un minore è punibile.
E credetemi se vi dico che è il “vastasunazzu” che ha spesso bisogno di essere garantito, visti i contesti da cui vien fuori.

Detto ciò: immagino che la collega abbia agito con ottime intenzioni, ma forse in modo un pò avventato.
Ripeto: la stessa identica punizione poteva prevedere il copiare 15, 30, 50 volte la dichiarazione dei diritti dell’uomo e poi andarla a ripetere classe per classe della scuola.
Ma un insulto , scritto, poi, con tanto di prova provata di infrazione delle regole, come si fa a ignorarlo?
E io insegno la regola e ne infrango subito una basilare?
E se capitasse a me, magari non per un insulto, ma per altro, perchè non siamo Dio, perchè magari due si pigliano a sediate prima che io dall’altro lato della classe riesca a dividerli, mi piglierò la sentenza, se si fanno male. In silenzio. E pure con le lacrime agli occhi, se proprio devo dirla tutta.
Perchè il mio dovere è essere garante sempre dei miei alunni. Sempre. Non difenderli, ma garantirli.

perchè sul fatto che in certe classi di periferia possiamo avere 30 ragazzi difficili ammassati in un sol posto nessuno di voi ha parlato? Quali disagi possono esplodere in quelle situazioni? O facciamo ancora tutti finta di non sapere?
E anche lì c’è una norma violata: quella antincendio che prevede non più di 24 alunni in un aula.

* Pietro scrive:
18 febbraio 2011 alle 01:07


Sono il figlio della Prof.ssa Valido in questione e volevo giusto fornire a tutti coloro che hanno lasciato dei commenti alcuni elementi in piu,’ per comprendere l’azione di mia madre.


Il bullo in questione era un prepotente notorio che aveva gia’ avuto molti rapporti e note sul diario apposte da altre professoresse, ma mai da mia madre.


Di conseguenza, all’ennesimo atto di bullismo, mia madre ha ritenuto di dovere procedere con una punizione diversa da una semplice nota o rapporto; “punizioni” che non avevano mai sortito alcun effetto sul bullo e ancor meno, attirato l’attenzione e (soprattutto) l’apprensione del padre per una tale condotta del figlio.


Oltretutto, c’e’ anche da ricordare che il bullo in questione era stato affiancato da altri due compagni che a differenza del “capo-bullo” hanno accettato di scusarsi con il ragazzino offeso e che nn hanno ricevuto la stessa punizione del bullo che nn ha voluto scusarsi, ne’ pentirsi di quello che aveva fatto. Tale atteggiamento di aperta arroganza e prepotenza hanno indotto mia madre a fare quello che fatto.


Ora, chiaramente resto sconcertato dall’assurda sentenza che ribalta in secondo grado una sentenza di primo grado inoppugnabile, senza il venir fuori di elementi nuovi da valutare, tali da indurre i magistrati a ribaltare la sentenza di primo grado.


Del resto cosa ci si puo’ aspettare da un paese dove chi cerca di fare il proprio dovere condannando un atto di violenza impregnato di omofobia viene condannato ad un anno di galera, mentre il prepotente per salvare il proprio onore medievale intenta una causa al fine di comprarsi il SUV coreano di ultimo grido.


Del resto, l’esempio dato e’ stato questo: meglio puttaniere che gay !!!
ci si sorprende ancora?

*  Pietro scrive:
18 febbraio 2011 alle 13:37


Oltretutto, vorrei aggiungere che il termine “deficiente” era stato spiegato in classe, nella sua accezione originale come “mancante di.. “, prima della punizione…una sorta di lezione di educazione civica.


In maniera chiara, mia madre ha fatto intendere ai ragazzi che quel termine nn rappresentava una semplice offesa al bullo ma che ne denotava mancanza di sensibilità’ ed educazione nei confronti dell’altro ragazzino preso in giro.


Mia madre ha solo deciso di agire e di stigmatizzare in maniera energica e decisa un atto ignobile che nn poteva passare inosservato. Purtroppo, chi fa il proprio dovere ne paga le conseguenze, chi prevarica invece finisce per chiedere i danni per comprarsi il SUV coreano di ultimo grido.

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