Al Presidente della Repubblica
Signor Giorgio Napolitano
Elementare e costituzionale diritto di parità tra tutti i cittadini adulti è quello di poter decidere liberamente con chi "metter su famiglia" e ottenere che venga riconosciuta come tale dalla Repubblica. Ma tale diritto è attuato solo per una parte della cittadinanza.
Sono oramai anni che ricordo a tutti, come già feci col Presidente Ciampi, e con Lei già in una precedente lettera, sig. presidente Napolitano, il fatto che sia intollerabile ormai per moltissimi cittadini italiani continuare a vedersi negare il diritto di formarsi una famiglia, in unione civile, laica in unostato laico, per le coppie formate da cittadini che hanno lo stesso sesso anagrafico.
Come famiglia nella Repubblica Italiana è riconosciuta la " società naturale fondata sul matrimonio." ( art 29) e sappiamo bene che in realtà per tutti noi, di qualunque sesso siamo o saremo, la famiglia è il luogo degli affetti durevoli, dell'intimità e dell'amore solidale e reciproco; e che ciascuno ha diritto in quanto essere umano ad creare la sua con chi vuole associarsi in questa "impresa di vita comune".
Ma questo diritto, malgrado la parità sancita all'articolo 3 non è uguale per tutti.
Per Francesco e Manuel, come per Laura e Luisa, il diritto a far registrare la loro unione civile non c'è, mentre per Alba e Claudio invece c'è: una evidente disparità in contrasto con la Legge Italiana ed europea, oltre che con i diritti umani universali.
Io mi vergogno profondamente di essere stata favorita rispetto a moltissimi miei concittadini: abbiamo potuto avere riconosciuta la nostra famiglia dalla Repubblica Italiana solo perchè casualmente il mio coniuge era di sesso anagrafico diverso dal mio.
E altrettanto dovrebbero vergognarsi tutte le famiglie maschio/femmina, anche se probabilmente non se ne rendono conto; poiché il loro privilegio significa discriminazione per molti concittadini.
Di fatto chi vuole "sposarsi", "unirsi", "metter su famiglia" non ha in Italia il sacrosanto diritto di farlo con chi gli pare,: se è (biologicamente) del suo stesso genere sessuale ha solo l'opportunità ( non sempre il diritto) di lavorare e il compito di rispettare le leggi, perfino quelle che discriminano la sua dignità umana.
Ma la nostra Costituzione afferma che i diritti sono uguali per tutti, qualunque sia il sesso (anagrafico e/o orientamento sessuale) e anche la Costituzione dell'Unione Europea, di cui il nostro paese fa parte. Anche il nostro il nostro Codice Civile oramai, salvo pochissimi punti sfuggiti all'esame del legislatore, non usa connotazioni di genere sessuale negli articoli riguardanti il matrimonio come marito/moglie, ma il termine neutro coniuge.
E' proprio la negazione di questo diritto naturale, che ciascun* di noi sente in sé, di veder riconosciuta dalla nostra Repubblica la propria famiglia, anche sostenendo chi decide di non fare "famiglia", ciò da cui il 4 gennaio scorso è scaturita la drammatica azione nonviolenta di due giovani uomini, Francesco Zanardi e Manuel Incorvaia.
Essi hanno deciso di astenersi dal cibo, uno sciopero della fame che avviene nel silenzio delle istituzioni e dei mass media. La loro azione è però solo la punta di un iceberg, indice drammatico di una situazione ormai intollerabile per molti italiani che non si riconoscono più nello stato in cui vivono ma a cui continuano a contribuire con il proprio lavoro e le proprie tasse.
L'iniziativa di Manuel e Francesco non nasce dall’oggi al domani, la loro battaglia per i diritti civili, come quella di molte altre coppie omosessuali, è in atto già da mesi attraverso il progetto di affermazione civile promosso dall’associazione Radicale Certi Diritti in collaborazione con Rete Lenford. Perché in Italia, malgrado i richiami dell'Unione Europea, le discriminazioni nei confronti dei suoi stessi cittadini continuano ad avvenire, nel silenzio delle istituzioni e dei media, e non posso non tentare di fare la mia parte per porre fine a questa situazione vergognosa anche a livello internazionale.
Le chiedo perciò, sig Presidente, di usare tutta la sua autorevolezza perchè i nostri rappresentanti, eletti dai cittadini, si adoperino celerissimamente a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Sono ormai più di sessant'anni che aspettiamo che i nostri diritti passino dallo scritto alla vita di ciascuno di noi: nessuno deve essere obbligato più in Italia a mettere in gioco la propria vita per ottenere che vengano rispettati dalle istituzioni della Repubblica i propri diritti inalienabili, e alla pari con tutti,compreso quello di unirsi pubblicamente e laicamente con chi si ama.
La ringrazio fin d'ora per quanto saprà fare.
Alba Montori
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