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venerdì 12 settembre 2008

"I big dei farmaci alleati del diabete"

segnalo da da La Stampa del 9 settembre 2008, pag. 8 (di Daniela Daniele)


Per quattro anni direttore dei trapianti cellulari al Transplantation
Institute dell'Università di Pittsburgh. Dal 1993 dirige la divisione
trapianti del prestigioso Diabetes Research Institute, ateneo di Miami.
Camillo Ricordi, laurea all'Università di Milano, è uno dei cervelli
nostrani impegnati all'estero. Uno dei più brillanti.

Professore, dove abitano le speranze per vincere il diabete?
«Nella ricerca sulle staminali. Da queste si può partire per rigenerare le
cellule beta che producono insulina».

Ma l'argomento incontra, almeno nel nostro Paese, forti resistenze per l'impossibilità di usare gli embrioni.
«Non solo in Italia. Negli Stati Uniti c'è il veto di Bush. Anche se, per la
verità, gli studi si fanno ugualmente nei centri privati: il divieto infatti
riguarda l'utilizzo di fondi federali. Ci si serve di materiale prodotto
dalla fertilizzazione in vitro e destinato alla distruzione. Viene
considerato alla stregua dei donatori di organi: non si capisce perché il
concetto vada bene per il cuore di un morto suicida o in un incidente
stradale e non per i prodotti in provetta».

Perché è necessaria la ricerca in questo filone?
«In Italia abbiamo 1.200 donatori che ci consentono di utilizzare cellule
beta da cadavere e tre milioni di malati. Negli Stati Uniti i donatori sono
6 mila e i pazienti venti milioni. In tutto il mondo i diabetici sono circa
246 milioni. E si parla di epidemia crescente. Non è difficile comprendere
perché sia così necessario trovare una fonte illimitata di cellule
produttrici di insulina...».

Quanto tempo ci vorrà?
«Dai cinque ai dieci anni».

Gli studi sono molto avanti in America?
«Gli Usa spendono 174 miliardi di dollari all'anno per curare i diabetici.
In pratica, un dollaro ogni sei, nella sanità, è investito a questo scopo.
Ma le multinazionali del farmaco, ovvero quelle con la potenza economica per
sviluppare tali studi, investono nel settore una minima parte di quanto
potrebbero. Pochi giorni fa, altre due Big Pharma hanno comunicato il loro
mancato interesse in questo campo. Il motivo? Si tratta di "financial
marketing consideration" ... Decisioni prese dall'alto».

Meglio curare che guarire? Alle multinazionali conviene continuare ad avere
persone malate e investire in ricerca di nuovi farmaci, per autoalimentarsi,
anziché cercare di risolvere il problema?
«E' così. Ma è un aspetto che, purtroppo, riguarda tanti altri campi di
ricerca, per esempio quello sul cancro. Ecco perché sarebbe meglio che non
fosse lasciato tutto solo nelle mani dei privati».

Lei è noto nel mondo per aver sviluppato un metodo innovativo grazie al
quale è stato possibile, negli Anni Novanta, realizzare i primi
allotrapianti (di tessuti tra la stessa specie, n.d.r.) di isole
pancreatiche nei malati. A che punto è questa via?
«Malgrado i progressi degli ultimi anni, ci sono ancora molte limitazioni
all'impiego su vasta scala di queste risorse. Per esempio, la necessità di
ricorrere a farmaci immunosoppressori a vita e il lento deterioramento nel
tempo della funzionalità delle isole stesse. Oggi sono però allo studio
diverse altre strategie d'intervento per superare i problemi e ridurre al
minimo gli effetti indesiderati delle terapie immunosoppressive» .

Il diabete tipo 1, patologia autoimmune dovuta alla distruzione delle
cellule beta del pancreas a opere di cellule del sistema immunitario, sta
crescendo in modo inatteso. Perché, professore?
«Le cause non sono chiare. Credo, però, si debba indagare nella direzione
dell'aumento generale delle malattie autoimmuni, legato all'eccesso di
igiene».

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