Serbia, prime condanne per Srebrenica
• da Corriere della Sera del 11 aprile 2007, pag. 19
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di Mara Gergolet
Le prime quattro condanne. In un'aula di Belgrado, un giudice legge i nomi dei primi serbi condannati — in patria — per Srebrenica. Quattro Scorpioni, portavano berretti rossi e mimetica a quel tempo (era il 1995), per sparare una raffica alla schiena di sei ragazzi musulmani. Le madri delle vittime e una trentina di parenti, tutti bosgnacchi, scortati dalla polizia fin dentro il tribunale ascoltano i nomi degli assassini. «Slobodan Medic, (condannato a) 20 anni». «Branislav Medic, 20 anni». «Pero Petrasevic, 13 anni». «Aleksander Medi, 13 anni». «Aleksander Vukov, assolto». A loro, a questi parenti venuti in pullman dalla Bosnia, pare poco. Ma per la Serbia è la prima resa dei conti giudiziaria, e pubblica, con le guerre di Milosevic.
È un video che ha condannato gli Scorpioni, i paramilitari di Belgrado, l'unico video sfuggito al grande rogo dei Balcani. Di filmini s'era sempre parlato, ma il primo documento l'ha tirato fuori Carla Del Ponte al processo contro Milosevic. Era il febbraio 2005: metà della popolazione serba ancora negava che «Srebrenica» fosse mai avvenuta, nessuno di quella carneficina (8mila uomini musulmani trucidati sotto gli occhi dell'Onu dall'11 al 16 luglio dalla soldataglia serbo-bosniaca di Mladic) aveva mai visto un fermo immagine. Fu uno choc, trasmesso dai tg alle otto.
I sei ragazzi musulmani tirati giù dal camion, la benedizione del pope Gavrilo, il cameramen che dice ai compagni: «Spicciatevi, che qui mi sta crepando la batteria». Ma i paramilitari non hanno fretta. C'è tempo per sfottere il musulmano sedicenne. «Ancora vergine? Beh, non scoperai mai». Quattro ragazzi fatti inginocchiare nell'erba verde e alta. Le raffiche dei mitra.
Gli ultimi due costretti a trasportare i corpi dei loro compagni prima di essere a loro volta fucilati. La Serbia non poteva più ignorare.
Eppure, la condanna non è piena: 20 anni, non i 40 della pena massima. «Colpevoli d'aver violato le leggi internazionali», «d'aver commesso crimini di guerra contro i civili», legge il giudice Gordana Bozilovic Petrovic. Ma poi dice che non si può provare che la località sia Srebrenica, potrebbe essere Trnovo nella Bosnia dov'erano di stanza gli Scorpioni. E loro, i paramilitari ufficialmente nel libro paga del ministero dell'Interno di Belgrado — dice sempre il giudice —, non sono il legame mancante tra Srebrenica e Milosevic: «dislocati» di rinforzo nella Republika Srpska della Bosnia, nel 1995 erano pagati dall’«industria petrolifera» locale di Karadzic.
Delusi molti attivisti dei diritti civili. Natasa Kandic, la cacciatrice di criminali balcanici, che ha inseguito gli Scorpioni per anni, sbotta con il Corriere: «Vista la gravita della colpa, giustizia non è stata fatta».
Svogliata, la Serbia ha poco interesse a sentir parlare della Bosnia. Già è un problema il Kosovo, che ieri il presidente Tadic ha ridefinito «incedibile». Ci prova lo stesso la tv B92, a scotere le coscienze, mandando in onda alle 8 un documentario sugli Scorpioni: 160 uomini scelti, «tutti parenti — dice il pentito, Dusko Kosanovic — o compagni di scuola: cosi non ci sono tradimenti». Funzionano così le squadre della morte, dal Nicaragua al Darfur. «Lo Stato ti convoca: tu non hai più libertà di scelta. Diventi uno strumento di conquista, pacificazione, occupazione, esecuzione. Ma, vista l'inflazione, il tuo patriottismo viene ben pagato».

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