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giovedì 12 aprile 2007

SREBRENICA- Belgrado si decide a emettere le prime quattro condanne

Serbia, prime condanne per Srebrenica
• da Corriere della Sera del 11 aprile 2007, pag. 19
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di Mara Gergolet
Le prime quattro condanne. In un'aula di Belgrado, un giudi­ce legge i nomi dei primi serbi condannati — in patria — per Srebrenica. Quattro Scorpioni, portavano berretti rossi e mimetica a quel tempo (era il 1995), per sparare una raffica al­la schiena di sei ragazzi musulmani. Le madri delle vittime e una trentina di parenti, tutti bosgnacchi, scortati dalla polizia fin dentro il tribunale ascolta­no i nomi degli assassini. «Slobodan Medic, (condannato a) 20 anni». «Branislav Medic, 20 anni». «Pero Petrasevic, 13 an­ni». «Aleksander Medi, 13 an­ni». «Aleksander Vukov, assol­to». A loro, a questi parenti ve­nuti in pullman dalla Bosnia, pare poco. Ma per la Serbia è la prima resa dei conti giudizia­ria, e pubblica, con le guerre di Milosevic.

È un video che ha condanna­to gli Scorpioni, i paramilitari di Belgrado, l'unico video sfuggito al grande rogo dei Balcani. Di filmini s'era sempre parlato, ma il primo documento l'ha ti­rato fuori Carla Del Ponte al processo contro Milosevic. Era il febbraio 2005: metà della po­polazione serba ancora negava che «Srebrenica» fosse mai av­venuta, nessuno di quella car­neficina (8mila uomini musul­mani trucidati sotto gli occhi dell'Onu dall'11 al 16 luglio dal­la soldataglia serbo-bosniaca di Mladic) aveva mai visto un fermo immagine. Fu uno choc, trasmesso dai tg alle otto.

I sei ragazzi musulmani tirati giù dal camion, la benedizione del pope Gavrilo, il cameramen che dice ai compagni: «Spiccia­tevi, che qui mi sta crepando la batteria». Ma i paramilitari non hanno fretta. C'è tempo per sfottere il musulmano sedicen­ne. «Ancora vergine? Beh, non scoperai mai». Quattro ragazzi fatti inginocchiare nell'erba ver­de e alta. Le raffiche dei mitra.
Gli ultimi due costretti a tra­sportare i corpi dei loro compa­gni prima di essere a loro volta fucilati. La Serbia non poteva più ignorare.

Eppure, la condanna non è piena: 20 anni, non i 40 della pe­na massima. «Colpevoli d'aver violato le leggi internazionali», «d'aver commesso crimini di guerra contro i civili», legge il giudice Gordana Bozilovic Petrovic. Ma poi dice che non si può provare che la località sia Srebrenica, potrebbe essere Trnovo nella Bosnia dov'erano di stanza gli Scorpioni. E loro, i paramilitari ufficialmente nel li­bro paga del ministero dell'In­terno di Belgrado — dice sem­pre il giudice —, non sono il le­game mancante tra Srebrenica e Milosevic: «dislocati» di rinfor­zo nella Republika Srpska della Bosnia, nel 1995 erano pagati dall’«industria petrolifera» loca­le di Karadzic.

Delusi molti attivisti dei diritti civili. Natasa Kandic, la cacciatrice di criminali balcanici, che ha inseguito gli Scorpioni per anni, sbotta con il Corriere: «Vista la gravita della colpa, giu­stizia non è stata fatta».
Svogliata, la Serbia ha poco interesse a sentir parlare della Bosnia. Già è un problema il Kosovo, che ieri il presidente Tadic ha ridefinito «incedibile». Ci prova lo stesso la tv B92, a scotere le coscienze, mandan­do in onda alle 8 un documenta­rio sugli Scorpioni: 160 uomini scelti, «tutti parenti — dice il pentito, Dusko Kosanovic — o compagni di scuola: cosi non ci sono tradimenti». Funzionano così le squadre della morte, dal Nicaragua al Darfur. «Lo Stato ti convoca: tu non hai più liber­tà di scelta. Diventi uno stru­mento di conquista, pacificazio­ne, occupazione, esecuzione. Ma, vista l'inflazione, il tuo pa­triottismo viene ben pagato».

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