• da La Repubblica - ed. Milano del 9 marzo 2007, pag. 4
di Andrea Montanari
Dopo il caos dei feti in lista d'attesa per la sepoltura, è di nuovo polemica sulle nuove norme volute dalla Regione che prevedono la sepoltura del "prodotto del concepimento" anche di meno di venti settimane.
I radicali chiedono l'intervento della Procura della Repubblica dopo l'esposto che avevano presentato contro il regolamento del governatore Roberto Formigoni.
«Come volevasi dimostrare — denuncia il segretario Valerio Federico — quello che era ampiamente prevedibile è avvenuto. Non si è trattato di una decisione tecnica indolore, ma di un diktat politico che sta creando problemi agli operatori e frustrazione alle donne.
Intervenga la magistratura.
Dalle direzioni sanitarie vorremmo sapere se oltre a conservare i feti in attesa di precise indicazioni hanno già iniziato a chiedere alle donne che hanno abortito le loro intenzioni sulla sepoltura del feto. Un'intollerabile forma di pressione psicologica che pone il provvedimento lombardo in patente contrasto con la Costituzione e le leggi nazionali».
Sotto accusa anche le norme non ancora precise, che mettono in difficoltà gli ospedali e continuano a provocare le accuse di medici e operatori.
«È sorprendente — afferma Maria Grazia Fabrizio della Margherita — che la Regione che si è gloriata di aver per p rima varato un regolamento così avanzato nella tutela del diritto del feto, ora non si preoccupi di far avere a chi opera sul campo delle istruzioni precise attraverso delle circolari».
Pronta la replica del Pirellone, che ammette «che una circolare esplicativa è ancora in fase di emanazione», ma respinge le polemiche.
«Di politico e strumentale — sostiene Formigoni in una nota — c'è solo la polemica dei radicali, ai quali capita ancora di interpretare la realtà con gli occhi dell'ideologia.
Non c'è infatti niente di ideologico nell'attribuire ai feti, nel rispetto della libera volontà delle famiglie e delle madri,la dignità di un corpo umano, che merita degna sepoltura. La legge 194 e le annesse polemiche in tutto questo non c'entrano proprio nulla. È falso sostenere che le direzioni degli ospedali non sappiano come comportarsi: il loro ruolo è quello di informare e, nel caso, segnalare la richiesta alle Asl.
Il provvedimento è stato peraltro approvato all'unanimità dal consiglio regionale. A testimonianza che la sua ragionevolezza è stata riconosciuta da tutte le forze politiche, al di là di schieramenti e posizioni politiche». Anche il capogruppo di An Roberto Alboni difende la Regione: «Sui feti sono nate polemiche d'altri tempi». E il suo compagno di partito Carlo Maccari insiste: «Non si comprende quali problemi abbiano gli ospedali: fino all'entrata in vigore delle modifiche hanno smaltito i feti con i rifiuti ospedalieri, ora pare siano nel caos. Perché?»

2 commenti:
Infanticidio senza colpa
• da Il Foglio del 9 marzo 2007, pag. 3
Un essere di venticinque centimetri e cinquecento grammi di peso, sano e voglioso di vivere malgrado ogni diagnosi contraria, concepito ventidue settimane fa, è stato estratto dal ventre di una madre, ha respirato affannosamente ventiquattr’ore o poco più, ha dimostrato al mondo che era sano, poi è morto. Il guaio di questa storia, un infanticidio senza colpa, è che tutti i protagonisti sono disperatamente innocenti, ma il più innocente di tutti, titolare di un diritto negato alla vita, ha dovuto soccombere per la semplice ragione che era il più debole. L’altro guaio di questa storia è che di questa generale innocenza sono ormai piene le fosse eugenetiche del XXI secolo, come dicono cristiani cattolici e cristiani ugonotti, Papi e dottori bioeticisti con la testa sulle spalle, perché moralmente la soppressione del malato equivale alla soppressione del sano, e qualche bambino sano ogni tanto finisce strozzato dal cappio ombelicale che serialmente e diagnosticamente abolisce i diritti dei malformati o anche solo dei casi dubbi. Perché tutto è dubbio nella scienza, che non conosce diagnosi non negoziabili, mentre tutto è certo e vero nell’amore filosofico per una vita giusta, dove il bene e il male si distinguono perfettamente, anche se la nostra umanità innocente e impaurita non vuole farla, questa benedetta distinzione.
Il patto con il diavolo, più o meno faustiano, insignorisce il desiderio e l’ambizione legittima al benessere, che però prende il posto del bene, la cui fonte di legittimità la cultura secolare (anche cattolica) ha smesso di indagare. Vogliamo dare la colpa a una madre e a un padre spaventati da una diagnosi? Non si può. Vogliamo dare la colpa a un medico diagnosta che assolve al suo dovere nel protocollo della salute secondo la cultura della sua epoca? Non si può. Mettiamo in croce il legislatore, che prevede nella 194 formule ambigue attraverso le quali può passare un simile “errore tecnico”, il legittimo aborto di un essere sano? Non si può. Ce la vogliamo prendere con lo psichiatra al quale viene delegato il compito di forzare la legge e certificare un imminente e grave pericolo di vita per la madre, in virtù del suo spavento e del suo rifiuto? Non si può. E’ precisamente questa una situazione tragica: non si può decidere in un senso o nell’altro, e il risultato è il trionfo dell’orrore. Solo che questa situazione tragica, o siuazione limite, è il prodotto di una cultura, di un’abitudine, di un vizio incardinato nel nostro modo di esistere e di pensare il mondo, e noi stessi che lo abitiamo, con il conforto apparentemente neutro della tecnica. Quella cultura si può cambiare. La colpa è sua. Lei non è innocente, uccide e sopprime sani e malati
da
http://www.radicali.it/view.php?id=89096
«La scienza è andata avanti E' arrivato il momento di rivedere i tempi della 194»
• da Corriere della Sera del 9 marzo 2007, pag. 18
di Federico Cavadini
«Non bisogna avere paura di discutere la legge 194 sull'aborto, contiene delle ambiguità che vanno chiarite e superate. Il caso di Careggi è una dimostrazione. E il dibattito non va lasciato cadere». A chiedere di mettere mano alla legge sull'aborto è il ginecologo torinese Silvio Viale, che si sta battendo anche per l'introduzione in Italia della pillola abortiva: «Come Rosa nel Pugno abbiamo presentato un progetto di legge per la revisione della 194 — spiega —. Non certo per limitare il diritto di una donna ad abortire, ma è sulle modalità tecniche che bisogna intervenire. Spiego. La legge ha come limite generico "la possibilità di vita autonoma del feto", una definizione poco utile oggi, considerata l'evoluzione della medicina e delle tecniche di rianimazione neonatale. Questo limite, di fatto, si sposta sempre più indietro. Prima si facevano gli aborti terapeutici fino alla venticinquesima settimana, oggi molti si fermano alla ventitreesima ma anche prima, dipende dagli ospedali. Va affrontato con urgenza il tema dell'accanimento terapeutico sui grandi prematuri, che si tratti di aborti spontanei o di interruzioni di gravidanza».
Nel caso di Firenze, per esempio, secondo Viale «non c'era l'obbligo assoluto di intervenire con la rianimazione, in questi casi vanno valutate le condizioni di vitalità del feto». La letteratura scientifica dice che il tasso di sopravvivenza a 22 settimane di gestazione è uguale a zero, i casi sono così rari che siamo nell'ordine dell 0,01, e spesso ci sono gravi danni cerebrali. Molti neonatologi chiamano questi prematuri- immaturi «i figli delle macchine». Allora può essere considerato accanimento terapeutico la decisione di tentare la rianimazione?
Qual è l'orientamento dei neonatologi? «La zona del buio è la ventiduesima, dalla 23 alla 24 è una zona grigia, dopo la 24ma si rianima — spiega GianPaolo Donzelli, primario di neonatologia al Meyer di Firenze e coordinatore di un gruppo di studio europeo che scriverà le linee guida su questo tema —. Davanti a un bambino di 22 settimane si può scegliere quella che noi chiamiamo "assistenza confortevole", oppure la "terapia invasiva". Un panno caldo e qualche goccia di zucchero. Oppure intubazione e ventilatore». Quale delle due terapie è giusto dare a un bambino che nasce estremamente prematuro e che potrebbe sopravvivere sì, ma magari soltanto per pochi giorni o con gravi malformazioni? «Il mondo scientifico è orientato a percorrere la prima via ed evitare le pratiche invasive. Ma è anche giusto valutare caso per caso. Diffido dalle leggi troppo precise».
Il neonatologo del Careggi venerdì scorso davanti a quel feto sopravvissuto all'aborto ha fatto la sua valutazione, per lui quel bambino aveva speranze e ha deciso di rianimarlo. Altri, forse, al posto suo non l'avrebbero fatto. «Niente cure intensive per il neonato di 22-23 settimane», è scritto in un documento prodotto dalle società nazionali di pediatri, neonatologi, ostetrici, medici legali, gli ordini dei medici, membri delle commissioni di bioetica, riuniti lo scorso anno proprio a Firenze. «I medici si sono pronunciati ufficialmente, per la prima volta, su un dilemma reso sempre più lancinante dai progressi delle tecniche di terapia intensiva neonatale» — ha sottolineato l'assessore al diritto alla salute della Toscana, Enrico Rossi. La commissione di Bioetica sta esaminando questa Carta di Firenze, un lodevole (il primo) tentativo di scrivere linee guida sull'accanimento terapeutico sui prematuri. «E sarà punto di riferimento anche per la commissione attivata dal ministro Turco su cure palliative e scelte di fine vita», aggiunge Donzelli.
«Il ritardo è evidente, visti i riflessi anche sulla nostra legge sull'aborto. Un medico oggi autorizza un'interruzione di gravidanza terapeutica (quella volontaria è fino a 90 giorni) fino a quando il feto è così prematuro da non poter sopravvivere. Di fatto mai oltre la 24esima settimana», sostiene Viale. Il problema è che questo confine si sposta continuamente, una volta avevano speranza soltanto i «settimini», oggi si tenta di salvare anche bambini di 300 grammi, prematuri e immaturi.
«La legge 194 è ben articolata. Ma va valutato l'accanimento terapeutico nel voler rianimare, a tutti i costi, un feto la cui possibilità di sopravvivere è bassissima — sostiene anche Claudio Giorlandino, presidente della Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale —. Certamente in altri Paesi, nord europei per esempio, a 22 settimane non si rianima a meno che il feto non presenti segni di assoluto benessere. La qualità della vita nei prematuri è bassa. I danni cerebrali da prematurità, come le emorragie cerebrali, sono frequenti e di conseguenza i danni neurologici».
Altro punto è a chi tocca la decisione: al neonatologo? Ai genitori? A entrambi? Il consenso introdotto al San Camillo di Roma può essere una soluzione? «Sì — secondo Donzelli —. Perché non sono decisioni solo scientifiche. Potrebbe essere adottato subito in tutti gli ospedali».
da
http://www.radicali.it/view.php?id=89095
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