Vivere per la proposta di legge Eutanasia Legale

Libertà sessuale, libera sessualità- 1976 - Adele Faccio

Piano improvisation di Salvatore Maresca Serra

Alba Montori su Facebook

giovedì 8 febbraio 2018

Roma non è una città come le altre

da Gemma Guerrini
Vicepres.vicaria del Consiglio Città Metropolitana-Pres.Commiss.Elette-Vicepres.Vicaria Comm.Cultura

“Noi abbiamo avuto il privilegio di nascere a Roma, e io l'ho praticata come si dovrebbe, perché Roma non è una città come le altre. È un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi”: ALBERTO SORDI.

Per questo non posso condividere la decisione presa dalla Giunta Capitolina con la delibera 11639/2.2.2018, circa l'inclusione delle cosiddette "piazze storiche" fra i siti coinvolti nelle manifestazione dell'Estate Romana 2018
Sono solo convinzioni personali, che ritengo però giusto esplicitare in quanto la nuova delibera non è coerente con quanto stabilito dalla Del.48/18.5.2009 che (pur se variamente "interpretata" dalle diverse amministrazioni), sancisce il principio del rispetto per luoghi e zone la cui identità va esaltata e arricchita e che non meritano di essere ridotte a "location".

Ritengo che questa decisione, inoltre, sottovaluti e non percepisca nella sua complessità e gravità il fenomeno del degrado della vita notturna, semplicisticamente definito "movida", ma vada anzi ad aggravarlo, in quanto dà respiro a una visione della città di cui soffriamo le conseguenze e che dovremmo saper superare.

E RIPROPONGO QUI UNA RIFLESSIONE DI SALVATORE SETTIS del 2017:

«La piazza che diventa location è morta. 

Una nuova barbarie insidia le nostre città: l’etica della location. Imperversa dappertutto, ma colpisce al cuore specialmente la più originale creazione della città italiana, la piazza. Tanto originale, anzi, da avere un ruolo chiave nella ricerca, promossa dall’Istituto Max Planck per la Storia dell’arte e diretta da Alessandro Nova, sul rapporto tra forma della piazza e vita politica delle città. La piazza italiana è l’erede più nobile e più consapevole dell’agorà greca e del foro romano. È luogo di discussione e d’incontro, di commercio e di scontro politico, di festa e di lutto. Teatro di rituali collettivi (come il Palio di Siena), si presta alle manifestazioni civiche, accoglie cerimonie religiose, si trasforma talora in mercato, si circonda di caffé e altri luoghi di conversazione.
A questa densità di significati e di tradizioni pensavano certo i tanti pianificatori di città nuove (per esempio in Orange County, California) che usarono la parola italiana “piazza” per designare spazi pubblici destinati ad accogliere forme di vita civica. Esperimenti che di solito non hanno molto successo, perché replicare la piazza italiana fuori d’Italia è davvero difficile senza la trama urbana che la circonda, la stratificazione storica che l’accompagna, la memoria culturale dei cittadini che vi abitano.

Questa storia secolare vacilla ormai sull’orlo dell’abisso. Da Treviso a Todi, da Pisa a Palermo, da Cagliari a Lecce capita sempre più spesso di vedere meravigliose piazze storiche invase, anzi occultate, da palcoscenici, impalcature, riflettori, sedie per spettatori, barriere, attrezzature sportive, schiere di gabinetti mobili, contenitori di rifiuti, bottiglie rotte per terra e altri detriti. Il fenomeno è così esteso e frequente che è inutile stendere una lista nera, additare al ludibrio sindaci o soprintendenti o descrivere casi singoli. Chiuse al pubblico non pagante, deturpate da invadenti strutture “provvisorie”, che però durano settimane o mesi, le nostre piazze nascondono la loro bellezza e la loro diversità, diventano tutte uguali, accolgono gli stessi concerti dalle Alpi alla Sicilia, perdono forza e carattere, si svendono per trenta denari. Il principio che governa questo degrado, in una cacofonia di rumori che appesta quartieri interi, è l’etica della location. Ma una piazza storica che venga intesa solo come location è già morta. L’idea stessa di location implica che la piazza di per sé non è nulla, non ha una funzione sua propria, a meno che non la si riempia di qualcos’altro, non importa se tornei sportivi, concerti rock, dibattiti culturali o cantanti d’opera. A pagamento, spesso, così la piazza “rende”; mentre la piazza storica, i nostri antenati non l’avevano capito, era uno sbaglio, uno spazio vuoto che di per sé non rende nulla.

Il successo di queste iniziative, tanto più perverse quanto più a lungo durano, si misura sbigliettando, contando presenze e introiti. Nessuno fa i conti di quel che si perde: il turista che in quella piazza entra una volta sola nella vita, e avrebbe il diritto di vederla, ma ne è privato perché le architetture sono nascoste dall’attrezzeria dell’evento di turno; il degrado dell’immagine civica che ne consegue; il progressivo logoramento della stessa idea di città. La piazza fu infatti per secoli il supremo spazio sociale che crea e consolida l’identità civica e la memoria culturale, perché lo scambio di esperienze, di culture e di emozioni vi accade grazie al luogo e non grazie al prezzo. Sta ora diventando, al contrario, un non-luogo (una non-piazza), dove solo il prezzo conta, e la bellezza del luogo è solo uno specchietto per le allodole, si mostra e si nasconde. E questo mentre crescono intorno a noi, in un processo inarrestabile, i nuovi italiani che vengono da altre culture, e a cui dovremmo saper trasmettere valori e comportamenti senza i quali ogni discorso sulla tutela dei centri storici e dei paesaggi presto diventerà lettera morta.

Alla stessa logica, la piazza storica come un invaso vuoto da riempire e “modernizzare”, risponde anche l’incongruo aggeggio installato nel bel mezzo di piazza Sordello a Mantova con la scusa di proteggere resti archeologici. A profanare la celebre piazza, con prevedibile escalation, è stavolta un’architettura non effimera, ma ingombrante e pomposa. Perfino in una delle più preziose città d’Italia le “autorità preposte” hanno dunque perso il senso di che cosa una piazza sia? Ma i mantovani mostrano di capire, e si allunga ogni giorno la lista dei firmatari di una petizione per la pronta demolizione del goffo edificio. L’etica della location è più difficile da battere perché si nasconde dietro eventi effimeri, ma in molte città cresce la protesta e il fastidio. Riusciremo, noi italiani, a ricordarci che una piazza storica deve vivere, mostrare, difendere la propria dignità?»

12 luglio 2017
https://emergenzacultura.org/2017/07/12/salvatore-settis-la-piazza-che-diventa-location-e-morta/
L'immagine può contenere: sMS


L'immagine può contenere: una o più persone e folla

Condivido appieno e rilancio.
 Perché questo tipo di uso, la location di spettacolo di massa, diventa irrispettoso e stravolgente per le piazze e gli spazi storici, perché particolarmente questi siti delle città d'arte vanno invece protetti e vissuti secondo ritmi umani, sia da parte di chi ci vive intorno come di chi ci si reca per turismo.

Perchè invece non si possono destinare per fare location di eventi spettacolari di massa le piazze moderne e generalmente vuote dei quartieri periferici delle città? 

A mio parere potrebbe essere un modo pratico per renderle più vive e vissute, per favorire l'interscambio di cittadini da un'area all'altra della città in occasioni ludiche di massa e culturalmente coinvolgenti, una occasione per aiutare i cittadini a frequentare ed appropriarsi di aree della città di cui magari si sentono dire solo il nome e aiutarli a combattere i pregiudizi che spesso infestano i messaggi dei quotidiani, creando condizioni più favorevoli all'integrazione reciproca. 

Potrebbe essere anche una occasione di riqualificazione vera e vivibile di spazi vuoti che altrimenti al massimo si riempiono talvolta di bancarelle più o meno autorizzate e spesso finiscono per esser ceduti a una catena di supermarket, ma rimangono di fatto spazi vissuti poco o nulla dagli abitanti di aree urbane di nuovo insediamento abitativo che di urbano hanno solo il nome, quasi sempre usate solo come quartieri dormitorio, che talvolta diventano ghetti, con tutto ciò che ne consegue. 

Trasformare gli spazi periferici vuoti in location potrebbe essere a buon diritto una ipotesi di lavoro utilizzabile per ri-stabilire un rapporto di interscambio corretto tra città antica - storica da fruire come tale-  e piazze e spazi moderni da vivere e trasformare di volta in volte in palcoscenici. Lo stesso dicasi per le chiese e gli edifici di grandi dimensioni, che ci sono e spesso abbandonati al degrado. 

Del resto gli illustri precedenti di una operazione di questo tipo non mancano: la Controriforma cattolica a Roma, ma non solo, si espresse nella sua dimensione celebrativa e ludica popolare non nei luoghi dell'antichità classica (troppo pericolosi per gli ideali della Controriforma e difficili da restaurare, semmai ottimi da imitare e/o vampirizzare per il riuso dei materiali e delle emergenze artistiche) ma nei nuovi spazi urbanizzati barocchi. 
Così la Città papalina dalla seconda metà del 500 cominciò ad espandersi, in corrispondenza con le ricostruzione e l'ampliamento di san Pietro e delle altre basiliche Con gli ampliamenti si costruirono i suoi nuovi quartieri, con nuove piazze e spazi appositi (oratori e chiese), talvolta anche fagocitando gli antichi rioni e "modernizzando" le basiliche paleocristiane e rinascimentali, inadatte agli scopi manifesti della Propaganda controriformista, che necessitava di aree e spazi appositamente attrezzati per la propaganda fide, come egregiamente teorizzato e realizzato scientificamente dai Domenicani e poi dai .Gesuiti.
I maggiori architetti e artisti della storia, da Bramante e  Raffaello in poi, in questo si sono cimentati, nell'andar trasformando spazi semi- periferici o periferici inutilizzati o diruti in nuovi centri di vita urbana, dove la religione cattolica e la Chiesa fossero il paradigma di vita singola e collettiva, secondo le intenzioni del Papato.
E ci hanno dato il Centro urbano più imitato e visitato al mondo, quello del Classicismo Romano, del Barocco di Borromini e Bernini, quello che proprio la mania della trasformazione in location ha già snaturato privandolo delle sue botteghe artigiane, dei suoi mercati rionali, dei suoi artisti e mestieranti, della sua popolazione originaria e originale, romana,  riempiendolo di uffici istituzionali e banche e sedi consolari e ambasciate come di case di moda prestigiose, come di negozi e fast food o bar/pub tutti uguali e tutti che vendono le stesse paccottiglie o quasi. Altra questione da ridimensionare...

Perché non potremmo utilizzare un metodo analogo a quello usato dai furbi Gesuiti per rendere davvero parte di Roma proprio le nostre periferie che sono quanto di più lontano culturalmente dal centro?
Magliana, Nuova Ostia, Casalotti o il Trullo, torre Maura o Vitinia e l'Infernetto, o anche Colli Aniene e Fidene, solo per citare le prime che mi vengono in mente,  sono parte importante della città, importante per numeri dei cittadini e relativi bisogni sociali:  perché allora non farne location di eventi prestigiosi, di massa, tali che riescano a riunire tanti cittadini di quella periferia assieme a quelli di altre e a gente in visita alla città in eventi che permettano loro di conoscersi, di interagire, attraverso la cultura popolare, lo spettacolo, la musica e gli eventi ludici e lasciare o meglio restituire al centro storico le sue caratteristiche uniche di museo vivo aperto a disposizione della visione e della vita quotidiana della città e dei turisti ? 

Ovviamente occorrerebbe la collaborazione dei municipi e qualche minimo adeguamento dei luoghi-location, ma sarebbe una bella sfida non solo per la creatività, ma anche e sopratutto per portare fuori dal centro nuove forme di lavoro e attività, mettere strumenti di cultura davvero a disposizione se non di tutti, almeno di gran parte dei gruppi sociali che troppo spesso ne sono esclusi in tutto o in parte. 

Alba Montori

Nessun commento: