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giovedì 21 ottobre 2010

Il paese dei ciechi, perché non si vuole vedere né far vedere, dei sordi perché non si vuole sentire né far sentire, dei muti, perché si parla solo per distrarre l'attenzione. L'Italia 2010 insomma.


21 ottobre 2010
di Valter Vecellio su NotizieRadicali
 
La “situazione” oggi comincia con una notizia che viene da Bologna. Domani e sabato il difensore civico dell’Emilia-Romagna Daniele Lugli, e la Conferenza regionale volontariato giustizia hanno organizzato un evento che qualche mese fa era stato organizzato a Padova, e che sarebbe bello fosse replicata un po’ ovunque. Si tratta di questo: per far capire cosa significa vivere in carcere verrà montata in piazza Re Enzo a Bolona e vi resterà fino a domenica, una cella; verrà insomma riprodotto un luogo dove abitualmente sono costretti a vivere due-tre detenuti, e questo per far toccare con mano ai cittadini che cosa significa stare rinchiusi in carcere.

La cella che arriverà in piazza Re Enzo, si legge nella nota che annuncia l’iniziativa, è “fedelmente riprodotta”, cioè uguale a quelle vere; un’iniziativa per risvegliare l’attenzione dell’opinione pubblica su un sistema giustizia che dall’inizio dell’anno ha prodotto 54 suicidi e un sovraffollamento che, nella nostra regione, raggiunge l’85,7 per cento”; l’obiettivo è quello di cercare di far capire cosa significa vivere 22 ore su 24 all’interno di una cella dove spesso la porta è chiusa e lo spazio vitale è ridotto al minimo, tanto che bisogna mangiare a turni perché il pavimento non può ospitare tutti in piedi contemporaneamente”. L’iniziativa è anche l’occasione per raccogliere firme per l’istituzione di un Garante dei detenuti a livello regionale.

Andiamo ora in Sicilia. Il coordinamento regionale della UIL Penitenziaria denuncia come drammatica la situazione in cui versano gli istituti penitenziari dell’isola: “Gravi problemi strutturali, sovraffollamento e una forte carenza di personale hanno reso le nostre carceri invivibili”, si legge in un loro documento. In effetti, parlano i numeri: negli istituti penitenziari siciliani ci sono 8.031 detenuti a fronte di una capienza massima pari a 5.171 posti e quindi la percentuale di sovraffollamento supera il 55 per cento. Ci sono celle di circa 20 metri quadri con sette o anche otto persone dentro; e poi carenza degli organici di polizia penitenziaria. Mancano all’appello 700 unità. Questo nella regione del ministro della Giustizia.

A Rieti una situazione paradossale: su cinque reparti ne è operativo solo uno; mentre quattro reparti sono vuoti, quello funzionante è già in crisi: nelle celle originariamente previste ad ospitare un detenuto ve ne sono due, e in qualche caso tre, e in quelle costruite per due ve ne sono quattro. Rispetto ai 56 posti regolamentari per gli ambienti attualmente disponibili, i presenti sono oltre 100. Il punto dolente è costituito dalla carenza di organici della polizia penitenziaria. Le 93 unità di polizia sono totalmente insufficienti, e allora si concentra in un reparto quello che potrebbe essere spalmato in cinque.
C’è questo e molto altro, dietro l’iniziativa nonviolenta del digiuno di Marco Pannella e dei radicali. A queste questioni finora non è stato dato un decimo, un ventesimo dello spazio che è stato dato al delitto di Avetrana.

Coglie molto bene la questione Valeria Gandus, giornalista del settimanale “Panorama”, in una stagione ormai lontana, quando ancora non era – come dire? – sensibile e disponibile come oggi agli interessi berlusconeschi.

Valeria Gandus ha scritto una nota sul suo blog sul “Fatto Quotidiano” intitolato: “Giustizia: le proteste dei soliti, insopportabili Radicali, questa è la vera politica del fare”. Leggiamo:
Come tanti, spero tantissimi, ho visto in televisione da Fazio Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, il giovane morto di carcere un anno fa, cui ha dedicato il libro “Vorrei dirti che non eri solo”. La forza di questa donna minuta e dagli occhi incredibilmente luminosi, mi era già nota: tutti i suoi interventi, pubblici e dunque doppiamente dolorosi, avevano mostrato quanto determinata fosse la volontà, sua e della sua famiglia, di accertare le responsabilità della morte atroce e assurda di quel fratello fragile e amatissimo. A cominciare dalla decisione di rendere pubbliche le foto del corpo massacrato di Stefano, un corpo tempestato di lividi e ridotto a pelle e ossa: Stefano aveva perso dieci chili in una settimana perché si rifiutava di mangiare fino a che non gli avessero fatto incontrare il suo avvocato. Che non incontrò mai, così come la sua famiglia non ricevette, se non dopo la sua morte, la lettera affettuosa che Stefano aveva scritto. Stefano morto per le percosse e per la rivendicazione dei suoi diritti. Ilaria e la sua famiglia che lottano perché a nessun altro succeda quel che è successo a lui e a loro. Pensando a Ilaria e alla sua battaglia mi è venuto naturale pensare a Marco Pannella, dal 2 ottobre in sciopero della fame: per celebrare la Giornata internazionale della nonviolenza, ricordando lo scandalo della guerra in Iraq “che Bush e Blair fecero letteralmente scoppiare solo perché non scoppiassero in Iraq la libertà e la pace; con l’esilio, oramai accettato, da Saddam”. Ma anche per chiedere giustizia nelle carceri, per i diritti negati di chi vive in condizioni disumane dietro le sbarre, puntando il dito sulle morti di troppi detenuti: 135 di cui 57 suicidi, solo quest’anno. Il solito Pannella, i soliti radicali. Insopportabili come quelli che hanno (quasi) sempre ragione. Fissati nella loro insopprimibile esigenza di legalità. Infatti sono sempre loro che a Milano hanno sollevato, carte alla mano, il “caso Formigoni”, o delle firme false apposte alla presentazione della lista “Per la Lombardia” delle ultime Regionali: 374 vergate dalla stessa mano, secondo il perito calligrafo del Tribunale. E ancora loro stanno raccogliendo a Milano le firme per cinque referendum per la qualità della vita: riduzione del traffico, raddoppio del verde pubblico, conservazione del futuro parco dell’area Expo, risparmio energetico e riduzione gas serra, ripristino della Darsena e riapertura del sistema dei Navigli (sono state già raccolte più di 10 mila firme, ma ne servono altre 5mila). Sono solo le ultime iniziative di quel manipolo di ostinati rompicoglioni. Determinati e assetati di giustizia come Ilaria Cucchi. C’è chi parla, a sproposito, di politica del fare. Beh, nel loro poco splendido isolamento Pannella, Bonino, Cappato & C. fanno. Parlano tanto, è vero (conosco per esperienza diretta la torrenzialità di Pannella), ma poi fanno. E sanno quel che fanno. E ci aiutano, noi che parliamo e scriviamo, a confrontarci con i problemi veri, con la vita, con la morte”.

ValeriaGandus ha colto perfettamente i termini della questione, e va ringraziata: per quello che ha scritto, per come lo ha scritto.

L’informazione, la sua “qualità”, pubblica o privata che sia, radiotelevisiva o scritta: è la questione. In questi giorni sembra che l’unica cosa di un qualche interesse sia costituita dal delitto di Avetrana. Vicenda che, senza dubbio, presenta una quantità di aspetti sconcertanti e – anche – inquietanti. Ma pur se al momento l’unica cosa certa è che una povera ragazza è stata uccisa, e poi si ha ogni giorno una verità diversa se non opposta da quella raccontata il giorno precedente, non c’è programma di approfondimento televisivo, talk show, dibattito, che non si occupi – morbosamente – della vicenda. Siamo, insomma, allo stesso film che abbiamo visto con il delitto di Cogne. E basterebbe, per qualificare il modo sommario, superficiale, di trattare le cose: ogni dieci minuti c’è uno psicologo, uno psichiatra, un esperto che fornisce possibili risvolti psicologici e recondite spiegazioni senza aver mai parlato e studiato i protagonisti del caso. Insomma: a più di un mese dalla vicenda, mille articoli e servizi televisivi, e siamo alle ipoesi, alle indiscrezioni, al “è possibile che...”.

Cosa accade, nel frattempo:
Scandalo delle firme false, delle liste farlocche in Lombardia e in Piemonte.
Giustizia al collasso, carceri che scoppiano.
Persone detenute che pur gravemente malate, come Graziano Scialpi, non vengono curate e sono lasciae morire in carcere.
Inquinamento diffuso, veleno sotto forma di amianto, smaltimenti illeciti e quant’altro.
Si potrebbe andare avanti a lungo.

Di questi temi, di queste vicende, non si parla, non ci si ci occupa, non le si ritiene interessanti. Eppure sono cose che riguardano tutti noi, la nostra vita di tutti i giorni. A queste, aggiungo un’altra questione. La questione si chiama Marco Pannella, in sciopero della fame dal 2 ottobre.
Certo, sono i temi che agita, che vanno dibattuti: la giustizia, il carcere, le responsabilità e le complicità per quel che riguarda la guerrain Irak. Ma ora abbiamo anche un problema che si chiama Pannella. Perché non è giusto, non è tollerabile, che un leader con la sua storia, il suo rigore e la sua capacità di vedere là dove gli altri guardano, debba subire e patire le discriminazioni e le censure che subisce e patisce.

Pannella, i radicali, vivono una situazione paradossale e schizofrenica: un pieno di iniziativa politica, un vuoto di informazione. Non è giusto, non è tollerabile. Per lui, per noi, per tutti.

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