Vivere per la proposta di legge Eutanasia Legale

Libertà sessuale, libera sessualità- 1976 - Adele Faccio

Piano improvisation di Salvatore Maresca Serra

Alba Montori su Facebook

venerdì 16 ottobre 2009

Qualche scheletro comincia a uscire dagli armadi?


di Salvatore Sechi

Caro Direttore,

fonti diverse e parallele (Ministero dell’Interno, degli Esteri, servizi segreti ecc.) convergono nel mostrare come dopo la guerra di liberazione si sia formata, in Cecoslovacchia e in Urss, una sorta di quinta colonna di comunisti italiani. Erano i capi di un esercito di riserva da tenere pronto per spingere l’Italia verso una seconda ondata della guerra di liberazione. Non c’è nulla di cui sorprendersi dal momento che un partito rivoluzionario qual’è stato a lungo il Pci ha sempre potuto contare su un apparato para-militare.

La progressiva costituzionalizzazione (anzi parlamentarizzazione) dei comunisti ha rarefatto o emarginato questa ipotesi della conquista armata, cioè violenta,del potere. Ma verso la metà degli anni Settanta, il Pci sente avvicinarsi un tintinnio di sciabole e diffondersi un acre odore di polvere da sparo. Poiché teme di potere essere messo fuori legge da un colpo di stato neo-fascista, allerta i compagni ex partigiani emiliani, veneti, piemontesi e lombardi (a cominciare da quelli della Volante rossa) reduci dall’espatrio per delitti commessi dopo il 25 aprile 1945- nei paesi dell’Europa orientale e in Urss. Rifugi, covi, tecniche di guerriglia e di sabotaggio approntati sembravano essere tornate utili. Luigi Longo non ne fa mistero in una riunione della Direzione del Pci.

La nostra intelligence redige una lista di 600 nomi, su circa duemila, che avevano seguito, per lo più in Cecoslovacchia e in Unione sovietica, quello che questori e carabinieri, servizi segreti e diplomatici chiamarono “corsi per il perfezionamento di sabotatori”, “corsi di addestramento alla guerriglia,al sabotaggio, all’uso di armi automatiche”, “corsi di istruzione sulla guerriglia e sulla lotta partigiana” ecc.

Il “Corriere della Sera” ha enfatizzato il saggio di Fernando Orlandi che ho ospitato nel volume, di cui sono curatore, Le vene aperte del delitto Moro, Mauro Pagliai editore, Firenze (cfr. A. Carioti, Brigate rosse, il vicolo cieco della pista di Praga, 20 settembre, p.35).

Orlandi dirige il Centro Studi sull’Europa Orientale di Levico Terme, e insieme ad altri storici come R. Bartali, M. Clementi, R. Drake, V. Satta, alle testimonianze del primo giudice delle Brigate Rosse, Luigi Carli, del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Franco Mazzola,e al contributo di Gabriele Paradisi sulla possibilità che il primo comunicati delle Br fosse di mano sovietica, ha avviato riflessioni controcorrente sull’assassinio di Moro. Forse è per questo che la stampa si è occupato scarsamente del volume che ho curato. Su questioni complesse, da cui non possono trarre vantaggi, i direttori amano rifriggere aria già fritta.

Orlandi si limita a dire che nel caso della scuola ceca di sabotaggio e di sovversione di Dobrichovice si è trattato di un clone della pacifica scuola delle Frattocchie Ma non esclude che vi siano stati casi di selezionati quadri del Pci avviati ad un addestramento militare o alle tecniche dello spionaggio.

Essi avrebbero aperto la strada ai corsi di sovversione frequentati dai brigatisti rossi, anche se Orlandi conte sta questa continuità.

In seguito alla consultazione degli archivi di Praga, il compito di dimostrare che i comunisti cechi avessero creato dei campi para-militare, frequentati prima da vecchi comunisti (agli ordini di F. Moranino) e poi dai dirigenti delle Brigate rosse, spetta agli esponenti del Pci.

A chiedere di chiudere questi campi furono dirigenti del rango di U. Pecchioli, S. Cacciapuoti, G. Amendola, e quindi di Enrico Berlinguer. Possibile che non avessero proprio nulla in mano, come insinua con amabilità e perfidia, l’amico Orlandi, facendo proprie le contestazioni dei compagni di Praga?

Per la formazione delle giovani generazioni chiarire questo aspetto della storia del Pci ( e della storia d’Italia) sarebbe importante. Ma il direttore del “Corriere della Sera”, Ferruccio De Bortoli (o chi per lui),la pensa diversamente, negandomi lo spazio che ora chiedo alla tua liberalità. Di fronte alla libertà di stampa non tutti i liberali sono uguali...

Nessun commento: