Quello che segue è l’intervento di Emma Bonino al Senato il 19 marzo, nel corso del dibattito sulla legge sul testamento biologico. riportato da Notizie Radicali di venerdì 20 marzo 2009
Signor Presidente, colleghi, penso che il dibattito e il tema che stiamo affrontando, che da molti è stato giustamente definito complesso e delicato, sia certamente uno dei più impegnativi e più alti che ci troviamo a svolgere. A me pare che la differenza non sia lo scontro tradizionale tra destra e sinistra; mi sembra invece che dialoghino e si contrappongano visioni diverse della persona, dell'individuo, del rapporto individuo‑istituzioni ed individuo‑Stato. Per queste ragioni, al di là del merito, tale dibattito è di grandissima rilevanza e caratterizzerà e connoterà molto non solo questa legislatura, ma proprio il tema di fondo del rapporto Stato‑cittadino, in uno Stato che si vuole laico, libero, democratico.
Proprio per tali motivi, la polemica che lei, senatore Gramazio, ha voluto fare sull'assenza odierna del collega Marino mi è sembrata non all'altezza del dibattito che stiamo svolgendo, anche perché credo non sfugga a nessuno che il collega Marino sia stato uno dei più presenti in Commissione. Non mi pare che l'assenza di un giorno possa meritare...
GRAMAZIO (PdL). Non si tratta di un problema di assenza.
BONINO (PD). Credo che in molti siamo appassionati a questo dibattito, anche se si è assenti per mezza giornata.
GRAMAZIO (PdL). Anche un minuto è un problema.
BONINO (PD). Né mi pare congrua la polemica su chi ha il beneficio di partecipare a dibattiti televisivi, ai quali - lo sottolineo subito, caro collega - avrei voluto partecipare anch'io moltissime volte, se non fosse in vigore un ostracismo sistematico, denunciato persino dall'Autorità garante, a qualunque presenza radicale in qualunque contenitore televisivo. Ci sarei andata volentieri perché questo dibattito non è tra di noi, ma tra qui e i cittadini fuori. E credo che oggi Radio radicale stia svolgendo un compito eccellente, che forse nessun altro svolge, neanche la RAI di Stato, perché - lo ripeto - il dibattito non è tra di noi, ma tra noi e fuori, tra noi e i cittadini italiani.
E mi appassiona questo dibattito che non trovo, e mi hanno appassionato ed incuriosito una serie di interventi, su cui tornerò.
Penso che quello che stiamo svolgendo sia un dibattito sul concetto della libertà responsabile e della persona, l'essenza della persona. Cosa sarebbe un essere umano privato della libertà di scegliere nei momenti della sua vita, quando non fa danno ad altri? E il danno è già stato qualificato dallo Stato liberale: non c'è reato se non c'è vittima. Sono pochi i cardini di uno Stato liberale. Il primo è che il peccato non automaticamente è reato; il secondo è, appunto, che non c'è reato se non c'è vittima.
C'è da porsi, allora, delle domande, anche nel mutare delle opinioni. È indubbio, ad esempio, che la proposta del senatore Tomassini era molto diversa ed aveva ottenuto anche grandi consensi. Qualcuno ha mutato opinione, molti magari, ma non è un'opinione granitica che sta nella storia. Solo nella legislatura scorsa l'attuale Presidente della Commissione sanità, sostenuto in modo ampio, aveva presentato altra proposta di legge. Questo per dire che guardare anche a quello che ci capita e a quello che capita nelle Aule parlamentari non è così irrilevante.
Ho sempre pensato, poi, che la Commissione congrua per discutere questo disegno di legge era la Commissione affari costituzionali, perché non è un problema sanitario; è un problema che attiene all'individuo, alla sua libertà, alla sua dignità, come vogliamo intenderle. Tornerò su questo aspetto, perché do una lettura diversa degli articoli 32 e 2 della nostra Costituzione da quella da lei data questa mattina, presidente Nania, peraltro molto interessante. E certamente l'ultima parte dell'articolo 32 è molto rilevante (lei l'ha già citata): «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Ma lei, signor Presidente, è troppo raffinato per non sapere e non ricordare a cosa si riferiva quella frase che autorevolmente qualificò esattamente Aldo Moro. Come si sa, è ad Aldo Moro e a Giovanni Leone che si deve la stesura della parte finale dell'articolo 32, secondo comma, della Costituzione, relativa ai limiti della legge che può determinare trattamenti sanitari obbligatori, ma sempre nei limiti imposti dal rispetto della persona umana. Aldo Moro ebbe a dichiarare, nella seduta della Commissione per la Costituzione del 28 gennaio 1947, dibattendo con un collega forse meno sensibile ad una cultura liberaldemocratica, che quel limite era necessario perché il legislatore non cadesse - parole di Moro - nella tentazione dell'onnipotenza, legata - diceva ancora Aldo Moro - a considerazioni di carattere generale e di mala intesa tutela degli interessi collettivi.
L'autodeterminazione che può e deve essere temperata da altri diritti, a parte quello del diritto alla vita, a me sembra, invece, che in questa legge venga unilateralmente e totalmente negata. E credo che si sia ricaduti in quella mala intesa tutela degli interessi collettivi di cui parlava Moro. Mi spiego. Il tutto nasce e deriva, secondo me, da una premessa che altera gravemente il quadro costituzionale, perchè il disegno di legge afferma, al primo comma, dell'articolo 1, che la Repubblica riconosce il diritto alla vita inviolabile e indisponibile.
Ora, se è ovvio che nessuno può disporre della vita altrui, altrettanto ovvio dovrebbe essere il principio che vuole ogni persona libera di disporre di sé, di rifiutare la cura, qualsiasi cura, disponendo intanto della sua vita. Ed è proprio questo diritto che viene, a mio avviso, illegittimamente negato, in particolare quando si vieta al medico la non attivazione o la disattivazione di trattamenti sanitari ordinari sproporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, da cui, in scienza e coscienza, non si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente; scienza e coscienza, infatti, del paziente innanzi tutto e, non tanto e non solo, del medico o di un legislatore invasivo.
In realtà, nei combinati disposti di premessa e poi di normazione, mi sembra che non si stia introducendo e applicando il diritto alla vita, ma che si stia introducendo un obbligo di vivere, che è un'altra cosa. Dal diritto alla vita stiamo passando all'obbligo di vivere, che contrasta proprio con i diritti fondamentali della persona.
È abusivo anche il divieto di rifiutare l'alimentazione e l'idratazione, definite "forme di sostegno vitale fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze", perché mi sembra un'inquietante deriva verso una scienza di Stato, che magari cinquant'anni fa non c'era, mentre oggi c'è un obbligo di utilizzarla.
È anche sorprendente che, se le tre funzioni fondamentali sono mangiare, bere e respirare, il complesso di questa legge non faccia riferimento invece alla ventilazione forzata. Domanda: nel prossimo testamento biologico (ancorché ‑ come mi sembra di capire ‑ non vincolante) posso rinunciare alla ventilazione forzata? Volete scrivere o dire qualcosa in merito? Le funzioni di sostegno vitale, infatti, non sono solo mangiare e bere ‑ ammesso che di questo si tratti ‑ ma di sicuro lo è anche respirare. Allora, come dobbiamo comportarci? A Luca Coscioni bisognava mettere la ventilazione forzata con la forza pubblica? Considerate, infatti, che il medico, in coscienza (come diceva già il professor Veronesi), nonostante quanto scriviate in questa legge, non lo può fare con la forza.
Così come è fuorviante ‑ l'ho detto ieri ‑ fare tutta la serie di riferimenti, riportati dal relatore, a tutto un excursus sui disabili gravi. Ma che c'entra? Chi parla dei disabili gravi? O non è stato forse Luca Coscioni ad occuparsi di più dei disabili gravi, facendo della sua malattia la più grande battaglia per le cure e per le assistenze anche tecnologicamente avanzate, per rendere sé stesso e gli altri disabili gravi, finché possibile, capaci almeno di interloquire (via computer, via occhi, via dita o con quanto possibile) con il mondo circostante? Perché parliamo di disabili gravi? Cosa c'entrano con questa legge? C'è per caso qualcuno che pensa di sopprimere i disabili gravi? O pensa lei, relatore Calabrò, di essere il solo a pensare che anche l'esistenza di un disabile grave ha un valore profondo nella nostra esistenza? Pensa di essere il solo? Ripeto: cosa c'entra?
Cosa c'entrano poi i 70 malati del morbo di Alzheimer in Valle d'Aosta di cui parlava il collega Fosson? Perché mischiamo tali questioni? Qualcuno sta forse proponendo di sopprimere i disabili gravi? Questo non risulta; semmai, risulta il contrario. Risulta, cioè, una carenza, storica in questo Paese, di attenzione ai malati; risulta semmai una solitudine dei vari Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli e Luca Coscioni, coloro che hanno inventato una delle frasi più belle, che dovrebbe accompagnarci: dal corpo del malato al cuore della politica.
Quindi, vi prego, per onestà intellettuale reciproca, di non tirare in ballo i disabili gravi perché non c'entrano nulla. Così come non c'entra il riferimento a Cameron e alla storia della sua famiglia, né c'entrano i piccoli nati con deficit cerebrali e metabolici. Cosa c'entrano? Stiamo parlando del testamento biologico, cioè del consenso informato di un cittadino adulto del nostro Paese.
Lo sottolineo perché è bene che si faccia chiarezza su una serie di vicende che vorrebbero contrapporre un partito della vita a dei fanatici della morte. Vi prego di concederci almeno questo rispetto! Infatti, se c'è qualcuno che si è veramente appassionato alla dignità della vita e della morte, questo qualcuno siamo noi. Lo siamo perché abbiamo fato battaglie, anche impopolari, esattamente per salvaguardare la possibilità di quello che è responsabilmente e dolorosamente scegliere, cosa che è parte consistente e fondamentale di un essere umano.
Non ci dividiamo tra destra e sinistra, ma ci dividiamo tra liberali e non, tra laici e non (che è cosa diversa), tra coloro che hanno un senso della libertà, responsabilmente perseguita ed attuata, e coloro che non ce l'hanno. Come ho già riferito ieri, mi ha molto colpito e preoccupato la sua relazione, signor relatore,ragione per cui sono andata a leggerla. Lei dice: "(...) In tanti ci siamo domandati se la libertà sia un valore assoluto o non debba piuttosto mirare sempre al bene comune". Ho già evidenziato ieri che considero preoccupante il fatto che il bene comune venga prima della libertà individuale, perché lo abbiamo già visto praticare e praticato: non è stata una bella esperienza. Le definizioni dei beni comuni cambiano e, proprio per questo, la libertà individuale è invece intoccabile.
Quindi, per lei, senatore Calabrò, la libertà non è un valore assoluto, ma deve mirare al bene comune. E continua aggiungendo che ci si è domandati "se l'individuo goda di totale discrezionalità fino al punto di poter decidere della propria vita e del proprio corpo, o se piuttosto non debba arretrare dinanzi al diritto altrui". È certo che deve arretrare dinanzi al diritto altrui, ma che c'entra - ripeto - il disporre di sé con il diritto altrui? Nel disporre di me io non violo alcuno dei suoi diritti; nella sua imposizione, nell'imporre a me e ad altri la sua visione della vita e della scienza, lei calpesta un mio diritto, cioè quello della mia libertà.
Lei prosegue affermando che ci si è domandati anche «se la libertà non degeneri in arbitrio allorché si riduca a cieco egoismo e non sia più funzionale al miglioramento del bene personale e sociale». Ripeto: «se la libertà non degeneri in arbitrio allorché si riduca a cieco egoismo»; forse è proprio questo che va discusso, senatore Calabrò. Infatti, in un Paese liberale la libertà dell'individuo, finché non calpesta un diritto altrui, è insindacabile. Ed esercitare questa libertà responsabilmente non è - come afferma lei, signor relatore - cieco egoismo, ma è esercitare una propria scelta. A mio avviso, proprio questo punto è in discussione nel provvedimento in esame; questo è il vero dibattito alto e profondo che ci divide.
Sono convinta che il diritto alla vita non sia l'obbligo di vivere, in particolare se l'ho scritto: non voglio essere attaccata ad un sondino per "x" anni, mesi o settimane. Non c'è motivo al mondo per cui ciò possa essere negato. È semplicemente quello che chiediamo sia scritto nel testamento biologico. Voi, invece, fate l'inverso, affermando che tutti devono restare attaccati ad un sondino. Vi rendete conto? Magari nell'emendamento aggiungerete anche il ventilatore, per le ragioni che ho detto prima.
Ma al di là degli altri aspetti che emergono, la considerazione che ci preme fare è che, se cominciamo su questa strada, non è ben chiaro dove andiamo a finire riguardo alla libertà di scienza, alla libertà individuale, al rapporto responsabile anche con i propri familiari. E perché mai il medico dovrebbe essere improvvisamente caricato di questa responsabilità? Il medico ha un suo codice deontologico, che peraltro è già stato ampiamente citato, nel quale non è previsto ciò che è scritto nel testo del disegno di legge. Anzi, non è previsto neanche nel "codice deontologico vaticano", che sarebbe un'utile lettura. Non sono un'esperta in materia, ma a volte mi capita di leggere.
In realtà, la questione di fondo non è se siamo o non siamo accompagnati nella sofferenza; non è la paura - leggo dalla sua relazione, senatore Calabrò - che una società economica pensi che l'esistenza di un disabile grave non ha più valore. Guardi, la prego, non è un problema di costi-benefici. Meritiamo una migliore considerazione sotto il profilo dell'attenzione e del rispetto.
Questo disegno di legge non è condivisibile, non solo perché non è applicabile, non solo perché è crudele, non solo perché non è compassionevole, ma perché intacca in modo essenziale il rapporto tra cittadini e istituzioni.
Se qualcuno scrive nel proprio testamento biologico di volere restare sempre attaccato al sondino o quel che sia, credo che la sua volontà vada rispettata e che i familiari debbano essere sostenuti (cosa che invece non accade), però voi non potete imporre questo a tutti gli altri. Al di là di tutto ciò che ci vogliamo raccontare, questo è il punto.
Pur non essendo giurista, ritengo che sia molto utile rileggere la sentenza della Corte costituzionale (non quella della Cassazione), che definisce il testamento biologico come un diritto della persona e quindi non è possibile ritenere che, al di là di ciò che vi è scritto, poi deciderà il medico. Le volontà, i diritti sono vincolanti, non si può stabilire che ciò che viene scritto non sia vincolante. C'è in questo un'arroganza medica. Perché rimettere la decisione al medico? Non abbiamo voluto che decidesse il giudice, giustamente, tanto meno vogliamo che decida lo Stato o che si applichi un'etica di Stato. Spero che non si applichi un'etica medica.
Per tutti i motivi che ho indicato, per la gravità non solo delle norme in sé, ma anche del portato di questa legge, come ho già detto, faremo tutto ciò che potremo. Ho chiesto con la massima convinzione di fermarci un attimo. Voi state imponendo a tutti, con la forza dei numeri, che non sempre corrisponde alla tutela del diritto, uno Stato etico, una visione del mondo. Vi chiedo ancora di fermarvi, perché dovete consentire in questo Paese a chi non calpesta il diritto altrui (non il bene collettivo) di poter vivere e morire in modo dignitoso. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
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