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mercoledì 26 dicembre 2007

Veltroni ?

Il patto tra laici e cattolici che sta alla base del Pd.

da Il Riformista del 21 dicembre 2007, pag. 1
di Claudia Mancina

Non vorremmo pensare che siamo meno laici di quarant'anni fa, come ha scritto Miriam Mafai. Il paese non è meno laico, come indicano i sondaggi e soprattutto i comportamenti. L'Italia di oggi non è poi così diversa da quella di allora. Non credo che, nel paese, sia a rischio il divorzio, e neanche l'aborto, nonostante il paradossale appello del Foglio. Il problema non è il paese, non è la società. Il problema è la mediazione politica, diventata così difficile, quasi impossibile, in un paese ancora destabilizzato dalla fine delle grandi identità ideologico-politich e nelle quali si era svolta tutta la sua vita democratica fino a ieri, e che non è riuscito a sostituire a quelle identità un moderno ed efficace sistema di formazione delle decisioni.
Il punto è questo e non a caso Veltroni lo ha messo al centro, con inusuale chiarezza, della sua attività di segretario del Pd.
È bello scontrarsi così eroicamente sui diritti civili, ma diciamoci la scomoda verità: che senso ha, sapendo che in Senato bastano due voti in meno per far cadere il governo? Basta pensarci un attimo per capire che non si tratta tanto dei diritti civili, quanto di un duro e, nelle condizioni date, ineluttabile gioco delle parti.
È evidente a tutti che c'è un preciso interesse a mettere in difficoltà il Pd.
Tutto questo però non vuol dire che il Pd capitolino abbia fatto la cosa giusta. Anzi.
Alla evidente difficoltà della situazione non si può rispondere con scelte ambigue, ma solo costruendo equilibri diversi. È questo che non è riuscito al Pd.
Veltroni ha ragione quando dice che le battaglie politiche - soprattutto quelle che avrebbero gravi costi interni - non si ingaggiano per norme ininfluenti.

Ma che cosa è influente e che cosa no? Penserebbero oggi i dirigenti democratici che il divorzio è ininfluente?
Il registro delle unioni di fatto sarà anche privo di rilevanza pratica, ma è una questione simbolica e di principio, cioè una questione che, una volta posta, ha delle conseguenze morali e politiche, che non sono meno rilevanti di quelle giuridiche. Né vale appellarsi al Parlamento come giusta sede della decisione sul tema: come tutti sanno, è proprio lì, in quella sede, che non si riesce a decidere e la legge è stata bloccata.
Il Pd aveva dunque il grave compito di trovare una soluzione che evitasse quel voto.
Rifiutare la logica del piantare le bandierine è giusto, ma non può significare lasciare che le piantino gli altri sul nostro corpo. Se ciò accade, e accade perché non si è in grado di affrontare il confronto interno, si tratta di una sconfitta: è inutile negarlo.

La questione dei diritti civili e della lotta alla discriminazione è una questione importante per la definizione del nuovo partito. Si tratta di cercare un luogo e un metodo di confronto tra le sue diverse anime (c'è la proposta di un Forum sui diritti): proprio ciò che è stato evitato nella campagna per le primarie, con un eccesso di prudenza che oggi si ritorce contro il partito stesso.

È chiaro che questo partito può crescere solo sulla base di un patto tra laici e cattolici. Tale patto non può consistere nell'appaltare ai cattolici, o peggio ai più integralisti tra loro, i temi cosiddetti eticamente sensibili (espressione assurda per ciò che include - appunto i diritti civili - e per ciò che esclude - per esempio la guerra o il lavoro - , il cui significato è uno solo: i temi che stanno a cuore alla Chiesa).
Non ci sono da una parte cittadini relativisti e senza valori, e dall'altra cittadini con valori, che avrebbero una particolare prelazione a giudicare su questi temi. Ci sono questioni di interesse comune che tutti insieme dobbiamo affrontare.
Il patto tra laici e cattolici che deve stare alla base del Pd non può quindi essere né un patto leonino né un patto consociativo. Dev'essere il risultato di un lavoro comune di confronto delle idee, basato sul rispetto reciproco. E deve escludere il riferimento diretto a autorità e istituzioni esterne, come la Chiesa.

Il manifesto dei valori, di cui è in corso la stesura, riconosce che la religione non può essere considerata un affare privato, priva di rilievo nella sfera pubblica. E va benissimo; ma questo riconoscimento diventa tutt'altra cosa se non si accompagna, nelle enunciazioni e nella pratica, all'affermazione dell'autonomia della sfera politica e del dovere di chi fa politica di rispettare, prima ancora della propria coscienza, la libertà dei suoi concittadini.

Il progetto del Pd come partito a vocazione maggioritaria, che vada oltre i confini della sinistra e superi la contrapposizione politica tra laici e cattolici, non ha futuro se non trova una posizione chiara e non equivoca su questo punto.

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