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lunedì 10 settembre 2007

a proposito di don Gelmini... santo sùbito?

DON GELMINI "IL SANTO VIVENTE"

ROMA-ADISTA.

Ha detto di essere vittima della "lobby ebraica-radical-chic" (ritrattando poi lo scivolone, costatogli una valanga di critiche e la rinuncia dell'avvocato Franco Coppi a difenderlo), della massoneria, dei gay, del laicismo radicale, della magistratura anticlericale.
*[forse qualcuno si ricorda quando i nazisti se la prendevano con la "lobby pluto-massone-ebraica" per giustificare (!) le loro persecuzioni razziali...ndr]

Ma la vicenda di don Pierino Gelmini,indagato dai pm di Terni per presunti abusi sessuali nei confronti di alcuni ragazzi della Comunità Incontro (ad accusarlo, diversi ex ospiti della struttura da lui fondata e diretta) parte da lontano.

La "vocazione" dei fratelli Gelmini Quella dei Gelmini è infatti una biografia lunga e con diverse zone d'ombra. Nato nel 1925 inprovincia di Milano, ha vissuto e studiato in Lombardia. Ma è stato ordinato prete nel 1949 lontano dalla sua zona di origine, nella diocesi di Grosseto. Circostanza curiosa, che le note biografiche riportate sul sito web della Comunità Incontro spiegano così: da Milano, Gelmini si presenta al vescovo di Grosseto, "diocesi bisognosa di clero", e "si prepara al sacerdozio "

A quell'epoca il vero "don Gelmini", quello famoso, non era lui, ma il fratello padre Eligio, esuberante frate minore che preferiva il cachemire al ruvido panno francescano, precursore di tante figure di preti mediatici e mondani che frequentano salotti, feste e studi televisivi.


Padre Eligio era confessore e assistente spirituale di vip e calciatori (era, tra l'altro, il "cappellano" del Milan, oltre che amico intimo di Gianni Rivera), l'unico prete al mondo a poter vantare di aver concesso un'intervistaal settimanale sexy Playboy, frequentatore di eventi mondani, nonché fondatore della comunità di recupero per tossicodipendenti «Mondo X» e del Telefono Amico.

Particolarmente dettagliata nel raccontare i primi anni di sacerdozio di don Pierino - che negli anni '60 diventa segretario del card. Luis Copello, arcivescovo di Buenos Aires fino al 1959, passato poi in forze alla Curia vaticana come Cancelliere di Santa Romana Chiesa -, la sezione del sito internet della "Comunità Incontro" dedicato alla biografia di Gelmini omette del tutto gli eventi che caratterizzano il periodo che va dalla metà degli anni sessanta al 1979.

Sono infatti gli anni in cui per don Pierino inizianoi problemi con la giustizia e le vicissitudini giudiziarie.



I primi guai giudiziari.

Già nel 1965 - racconta Marco Lillo in un articolo pubblicato dall'Espresso il 16/8 - un anno prima di darsi ai tossicodipendenti, il sacerdote aveva comprato la splendida tenuta di Caviggiolo con tanto di maniero e riserva di caccia a Barberino del Mugello, sull'Appennino toscano. I giornali dell'epoca raccontano che gli assegni per 200 milioni di lire (del 1965) consegnati alla Società Idrocarburi per l'acquisto erano scoperti e il tribunale inflisse tre mesi di galera a don Pierino.

Nel 1969 il prete acquista un'altra villa all'Infernetto, zona Casal Palocco, una delle più "in" dell'hinterland romano.

La biografia ufficiale di Gelmini si limita ad accennare all'abitazione definendola "una casa più "ampia" di quella dove don Pierino aveva sino ad allora vissuto. Per la precisione si trattava invece di una villa in cortina a due piani protetta da un largo muro di cinta con ringhiera di ferro battuto, un vasto giardino in cui era custodita una Jaguar, piscina, due cani, tre persone a servizio: un autista, una cuoca e una cameriera.

Insomma, se al fratello Eligio piaceva la bella vita, don Pierino non era da meno.

Ma il tenore di vita di don Pierino viene compromesso dalla magistratura: il 13 novembre 1969 i carabinieri lo arrestano nella sua abitazione (grande scalpore sui giornali dell'epoca suscitò la notizia che i carabinieri avevano trovato una Jaguar nel giardino di don Pierino) per emissione di assegni a vuoto, truffa e fallimento di una cooperativa di costruzioni collegata con le Acli di cui il sacerdote era tesoriere e che doveva costruire palazzine all'Eur.

Gelmini viene anche coinvolto in un inchiesta che riguarda la ditta di import-export tra Italia e Argentina che aveva costituito sfruttando - si disse - le buone entrature ottenute attraverso i servizi resi al card. Copello.

Nel 1970 il prete ripara quindi all'estero, nel Vietnam del Sud, dove fa amicizia con l'ex arcivescovo della cittadina di Huè, mons. Pierre Martin Ngo Danh Thuc, fratello di Jean Baptiste Ngo Danh Diem, dittatore del Vietnam del Sud, assassinato nel 1963, ormai caduto in disgrazia presso gli Stati Uniti.

Ma anche in Vietnam Gelmini ha grane con la giustizia: proprio dall'ex-arcivescovo di Hué, insieme a madame Nhu, vedova del fratello minore del presidente Diém e per anni sua first lady, viene denunciato per appropriazione indebita.

Nel 1971 torna in Italia. Ed entra in carcere.

Il processo a suo carico si era infatti concluso con la condanna a quattro anni, che don Pierino sconterà interamente.

Uscito di prigione - dopo aver trascorso un breve periodo di ritiro in Maremma per volontà delle autorità ecclesiastiche - nel 1976 don Gelmini torna in cella, ad Alessandria.
Insieme al fratello Eligio è infatti accusato di aver ricevuto una bustarella di 50 milioni da Vito Passera, imprenditore in difficoltà che puntava sui buoni uffici dei fratelli Gelmini per diventare console onorario della Somalia e ottenere facilitazioni nel commercio di burro tra gli Usa e il Paese africano.

Stavolta però in prigione don Pierino ci rimane poco tempo. Assieme al fratello, viene prosciolto dalle accuse e nel '77 è di nuovo nella sua villa romana a Casal Palocco.

Nel 1979 don Pierino, sulle orme del fratello (che nel 1974 era riuscito a farsi assegnare gratuitamente dal conte Lodovico Gallarati Scotti l'uso del suo castello di Cozzo Lomellina come sede del suo "Mondo X"), dà inizio al business antidroga



1979: nasce la holding della tossicodipendenza"Don Gelmini Spa", titola il 16 agosto l'Espresso, ricostruendo la nascita dell'impero economico del prete antidroga.

La prima comunità di recupero nasce ad Amelia, in provincia di Terni. Don Pierino si fa assegnare in comodato d'uso per 40 anni un frantoio abbandonato, il Mulino Silla, in una piccola valle chiamata delle Streghe, facendone la sede della sua nuova attività.

Nel 1988 sindaco di Amelia diviene il leader della Cgil Luciano Lama. E' lui a segnalare alla procura il fatto che a don Pierino i vincoli del piano regolatore stavano stretti e i piccoli casali abbandonati che andava acquisendo si trasformavano in enormi strutture senza le necessarie autorizzazioni.

"Alla fine - racconta l'Espresso - tutto fu sanato, grazie anche ai socialisti della giunta".

Così le proprietà immobiliari della Comunità Incontro hanno potuto estendersi senza sosta, al punto da comprendere, nella sola provincia di Terni, boschi, uliveti, vigneti e pascoli per una ventina di ettari, oltre a diversi fabbricati sparsi tra Cenciolello, Porchiano e la strada di Orvieto.

Oggi la Comunità di don Gelmini conta ufficialmente 164 sedi in Italia e 74 nel mondo.

Dati contestati però da Stefania Nardini in un articolo comparso su Gente d'Italia, quotidiano italiano delle Americhe.

La giornalista, che ha passato un periodo presso la Comunità Incontro, racconta di culto della personalità, di body guard armati di pistola, di macchinoni di lusso (un vizio antico), di disparità nel trattamento degli ospiti, ma anche di cifre gonfiate a beneficio della sua immagine pubblica:

"Si parla di 164 sedi residenziali in Italia - scrive la Nardini - e invece sono 64, di 180 gruppi d'appoggio che in realtà sono una ventina, di un turnover residenziale di 12 mila persone (turnover in cui sono comprese semplici richieste di informazioni), di 126.624 ingressi in comunità tra il 1990 e il 2002, mentre attualmente si registrano non più di 20 o 30 colloqui al mese, il che significa al massimo 360 ingressi all'anno, cifra che si riduce alla metà considerando coloro che rinunciano".
Anche sui cospicui introiti delle Comunità i numeri sono incerti: "La trasparenza amministrativa - racconta l'Espresso - non è mai stata una priorità della comunità.

Sul sito internet non c'è traccia del bilancio.
Bisogna andare alla Camera di commercio a Roma per scoprire che la Comunità Incontro, organizzazione non lucrativa a fini sociali, è presieduta da una sconosciuta: Umbertina Valeria Mosso, avvocato di 86 anni.
Il comitato direttivo è composto dalle persone più vicine a don Pierino,come Claudio Legramanti e Claudio Previtali e dal "don", che è il segretario generale, ma con ampi poteri di gestione".


La politica: un ritorno di "fiamma"

In ogni caso, il suo piccolo impero don Gelmini lo ha realizzato anche in virtù delle sue ottime entrature politiche, oltre che alle cospicue donazioni che il suo carisma ha saputo intercettare.

Solo in occasione della megafesta per gli 80 anni di don Pierino, nel 2005, Berlusconi dichiarò di volergli devolvere 10 miliardi delle vecchie lire.
Alla mega kermesse in onore del prete ottuagenario c'era anche un altro grande amico di Gelmini, l'allora ministro Maurizio Gasparri.

Insieme ad altri rappresentanti del governo, come Rocco Buttiglione e Pietro Lunardi, oltre a Gustavo Selva e ad una sfilza di sottosegretari. E ad un esponente della "Prima Repubblica", l'ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, da anni tra i volontari della "Comunità Incontro".

A tanta benevolenza da parte del leader e degli esponenti della Casa della Libertà, Gelmini ha sempre risposto con una indefessa militanza a destra, che -oltre ad intercettare verso Berlusconi il consenso di migliaia di visitatori ed ospiti (nonché delle loro famiglie) passati in comunità negli ultimi 30 anni - si è più volte caratterizzata con la presenza di Gelmini a manifestazioni politiche ed elettorali. Lo si è visto spesso con esponenti di An (lo scorso anno, in campagna elettorale, era a fianco del candidato sindaco di Roma Gianni Alemanno).
Nel 2006 don Pierino fu uno dei maggiori sostenitori della nuova legge sulla droga che ha eliminato la differenza tra droghe leggere e pesanti.

"Grazie, Gianfranco, per la legge contro la droga, affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani", disse don Gelmini ai delegati di An presenti alla conferenza programmatica del partito, il 5 febbraio 2006.


Le accuse a don Gelmini: nella Chiesa, qualcuno sapeva

Le recenti accuse di molestie sessuali hanno - per la verità - qualche precedente negli anni d'oro della Comunità Incontro.

Come quando, il 23 novembre 1991, venne ritrovato morto sgozzato a Rimini Fabrizio Franciosi, cittadino di San Marino, anni prima ospite della Comunità del Mulino Silla.

Durante le indagini, il fratello della vittima raccontò che poco tempo prima di morire Fabrizio gli aveva raccontato di aver subito da don Gelmini abusi sessuali in una casetta nel parco della comunità.

Nel 2003 don Antonio Mazzi, animatore della comunità per tossicodipendenti Exodus, ricevette la lettera di un ragazzo che raccontava di aver subito molestie sessuali da parte di don Gelmini nel 1993, quando aveva trascorso un periodo di sei mesi ad Amelia. Poi il giovane si era trasferito in una struttura di don Mazzi, con il quale si era confidato ed aveva continuato a mantenere rapporti epistolari.

Ma Mazzi ha raccontato questi fatti solo nelle scorse settimane, quando il caso don Gelmini era già scoppiato. Sentito dal procuratore di Terni CarloMaria Scipio e del pm Barbara Mazzullo, Mazzi ha comunque ribadito punto per punto ciò che aveva già rivelato circa il contenuto della missiva.

Nel 2004, un libro di Marco Salvia, Mara come me, racconta la vita all'interno di una comunità di recupero di tossicodipendenti, delineata nei termini di un lager gestito da un prete bigotto e fanatico e da responsabili violenti.
La storia è romanzata, ma il 23 gennaio 2005 il quotidiano Il Manifesto pubblica una lettera con cui l'autore usciva allo scoperto, dichiarando che i fatti narrati nel libro erano reali e che dietro la figura di don Luigi, il padre-padrone della comunità, si celava don Pierino Gelmini.
E poi ci sono le accuse fatte da Bruno Zanin nel suo libro-autobiografia Nessuno dovrà saperlo, in cui afferma di aver subito abusi sessuali da Don Gelmini all'età di 13 anni
(il capitolo che parla dell'abuso è stato messo online dall'autore all'indirizzo internet: www.bispensiero.it/documents/DonGiustino.pdf).

Nel libro, Zanin, che è stato negli anni '90 collaboratore di Radio Vaticana, racconta anche di aver parlato degli abusi all'allora direttore dei programmi dell'emittente, p. Federico Lombardi (oggi direttore della Sala Stampa vaticana) ed a mons. Giovanni d'Ercole, religioso orionino, capo ufficio della sezione affari generali della segreteria di Stato del Vaticano, da sempre amico di don Pierino e da qualche mese direttore responsabile della rivista della comunità "Il Cammino" e dell'emittente Tele Umbria Viva, di cui Gelmini èproprietario.



Titoli e sottotitoli

Anche con la Chiesa cattolica i rapporti, a dispetto delle difese d'ufficio che oggi vengono fatte di don Pierino come dell'ennesimo prete vittima delle persecuzioni mediatiche e laiciste, sono piuttosto tesi.

Fin dal 1963, quando don Pierino iniziò a fregiarsi del titolo di monsignore, senza esserlo, il Vaticano ha iniziato a diffidarlo dall'utilizzare quel titolo e in seguito lo ha anche sospeso a divinis. Sospensione poi ritirata, ma il titolo tanto agognato non arrivava.

Nel 1988 Gelmini risolse allora il problema con un abile éscamotage: pur essendo un prete di rito latino, aderì ad una Chiesa cattolica di rito orientale, quella melkita, e si fece insignire del titolo di Esarca Mitrato della Chiesa cattolica greco-melkita. Titolo onorifico che non equivale certo a quello di vescovo. E nemmeno a quello di monsignore.

Nelle biografie "ufficiali" di don Gelmini però il titolo ottenuto dalla Chiesa melkita è messo in grande evidenza insieme ad un'altra lunghissima sequela di bizzarri riconoscimenti: da "maggiore garibaldino e primo cappellano della Legione Garibaldina" a "gran comandante dell'Ordine di Géorge Washington".
Non solo per la sua altisonanza, ma perché dà all'esuberante prete il diritto all'uso dell'anello, della mitra, della croce e del pastorale quando celebra la messa con rito greco (o avendo ottenuto dal Vaticano uno speciale permesso a celebrare con il doppio rito).

Ma a don Gelmini certe sottigliezze liturgiche vanno strette e la messa continua a celebrarla in rito romano, vestendo però i sontuosi paramenti greco-cattolici.

Una piccola rivincita con la gerarchia che tanto lo ha bistrattato don Pierino se l'è presa il 20 ottobre del 2000, quando Wojtyla ricevette in piazza San Pietro trentamila rappresentanti delle Comunità Incontro.

La benedizione del papa polacco non ha però migliorato i difficili rapporti con la Curia, che continua a non amarlo.

Recentemente, al card. Francesco Marchisano, presidente dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, che gli ha chiesto di fare un passo indietro per meglio difendersi dalle accuse, don Pierino ha risposto: "Mi chiede di fare un passo indietro? Lo faccia lui in avanti, in un burrone".

" E comunque", ha tenuto a precisare don Pierino, "io non guido un'associazione religiosa, ma laica".

(valerio gigante).



FONTE ADISTA ROMA inviato su Gaya CsF news da Anna Maria Angelitti Gaya CsF

1 commento:

Anonimo ha detto...

da http://www.gaylib.it/news/opinione2.html

Caro Direttore;

Comprendiamo tutti i moti del suo animo dopo l’elezione de “Il Foglio” a giornale prediletto da parte di Paola Binetti, neuropsichiatra e senatrice dalla dubbia deontologia. Tuttavia il paragone che pone in un unico calderone don Gelmini e i suoi peccati, i reati che gli si addebitano, la letteratura di Nabokov, quella di Pasolini e da ultimo la cultura gay, presenti nell’editoriale “Don Gelmini e Pasolini” pubblicato a pagina 3 del suo quotidiano in data 29 dicembre 2007, è parso davvero spropositato e persino offensivo di una memoria giusta, delle conquiste in materia di cultura e diritti civili maturate negli anni, di una minoranza gay certo imperfetta e fracassona ma comunque meritevole di quel rispetto che Montanelli leggeva come sintomo primo della democrazia di un popolo.
E’ singolare come la sua elucubrazione, ripresa da molti intellettuali solitamente omofobi, ma a quanto pare non dal Vaticano che ha invitato coerentemente Gelmini a fare un passo indietro, vada di fatto – per giustificare le presunte porcate sottobanco di un prete già molto discusso per altre vicende – a mettere sullo stesso piano la cultura laica e quella cattolica, il modo di vivere di una comunità civile e secolare con le regole chiare e nettissime della Chiesa Cattolica e ancora, triste consuetudine dell’ultimo periodo a cavallo tra islamismo e cattolicismo, il peccato mischiato al reato.
Non sappiamo in quale mondo viva l’anonimo editorialista de “Il Foglio”, resta il fatto che il pur bel romanzo di Nabokov così come i pasoliniani ragazzi di vita sono stati concepiti e restano, con tutti i tormenti ad essi acclusi, tra le pagine di due opere letterarie.
La vita e l’intelletto di Pasolini sono stati ben altro. Così il suo tormento e la sua coscienza fin troppo chiara del peccato. In questo senso, non so se concorda, ma proprio gli scritti corsari di Pasolini si avvicinano molto di più agli accigliati concetti espressi dal pensatore Joseph Ratzinger, poi papa Benedetto XVI.
Così la cultura gay, colpevole pure di mille vizi e diecimila tic tra cui spesso – e lo dico a ragion veduta – la scarsa democrazia interna, non può essere certo accusata di chissà quale conformismo quando si unisce alla comunità civile nel chiedere un giusto processo contro un sacerdote che, abusando del suo ruolo carismatico in una comunità di recupero per tossicodipendenti, approfitta in maniera più o meno lecita di quegli stessi ragazzi alcuni dei quali, parrebbe, anche minorenne.
Questi si chiamano reati. Poco c’entrano Nabokov, Pasolini, la maledetta modernità dei costumi e delle coscienze e persino la concezione del peccato cui l’editorialista fa cenno.
Al peccato ci penserà, semmai, la Chiesa. E fa onore a don Gelmini, questo sì, la lettera inviata al Papa nella quale si dice pronto a essere ridotto alla condizione laicale per non invischiare la Chiesa nella sua vicenda giudiziaria.
Quest’ultimo passaggio è parso essere, nel guazzabuglio improprio di concetti emersi finora anche nell’editoriale de “Il Foglio, la risposta più appropriata a una vicenda triste ma fin troppo chiara. Di peccati e reati da accertare e distinguere ma tutti strettamente legati alla realtà e non alla letteratura. Lasciando in pace, se possibile, la memoria di scrittori certamente peccatori che, però, non hanno mai aspirato al ruolo di santi o, forse, di santoni.


Daniele Priori
Vicepresidente GayLib
(Gay Liberali di Centrodestra)

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