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venerdì 13 aprile 2007

Vendola e la pillola

Vendola e la pillola
L'ingloriosa fine della laicità pugliese
di *Valeria Bianchino*

In Puglia si sta operando l'ennesimo attacco ai diritti delle fasce sociali più deboli, in particolar modo delle donne.
Ormai due anni sono passati dalla cosiddetta "primavera pugliese", ma al di là del clima primaverile, Vendola ed il Prc (e la sua Giunta "infausta") di primavera di cambiamento sociale non vogliono proprio saperne, continuando a dimostrare una perfetta continuità con la politica economica e sociale della precedente giunta di centrodestra guidata da Raffaele Fitto.
Mentre il bilancio regionale prepara un regalo corposo alle gerarchie ecclesiastiche, pari a 13 milioni di euro per gli oratori parrocchiali, un'altra violenta polemica è scoppiata questa volta in tema di Sanità.

La decisione da parte dell'assessore regionale alla Sanità, Alberto Tedesco, di sospendere la disposizione del direttore sanitario dell'Asl di Bari, Giuseppe Lonardelli, che aveva autorizzato la distribuzione gratuita della pillola del giorno dopo, ha creato un forte vespaio di polemiche e di rivolta generalizzata di medici e di associazione femminili e sindacali.

L'intervento dell'assessore fa in modo che la "pillola del giorno dopo" vada ad essere classificata di colpo nella fascia C del prontuario farmaceutico, ovvero totalmente a pagamento.
La cosiddetta "pillola del giorno dopo" non va confusa con la pillola abortiva RU - 486, e serve a evitare delle gravidanze indesiderate.
E' un farmaco d'intercettazione della fertilità che va assunto entro massimo 72 ore dal rapporto, ed è una soluzione di emergenza e non un comune anticoncezionale.

In Francia dal novembre 1999 è distribuita gratuitamente anche nelle scuole (ottenendo la riduzione del 30% degli aborti tra le adolescenti); in Italia, invece, arriva in clamoroso ritardo rispetto ad altri Stati ed è in molte regioni interamente a carico di chi l'acquista, rilasciata solo con la prescrizione del proprio medico.
L'Italia, da sempre sotto l'influenza del Vaticano, è arrivata ultima rispetto alle altre nazioni.
E' bene ricordare che fino al 1971, anno in cui fu abrogato dalla Corte Costituzionale, era ancora in vigore l'articolo 553 del Codice Penale, che vietava propaganda e uso di qualsiasi mezzo contraccettivo, punibile fino ad un anno di reclusione.
Successivamente, anche e soprattutto grazie alle battaglie del movimento per l'autodeterminazione della donna, la legge 405 del 22 luglio del 1975 ha istituito i consultori familiari, il cui compito era quello di assistenza pubblica e gratuita.
Negli anni successivi, nell'ottica di privatizzazione dei servizi necessari anche in tema di Sanità, i consultori sono stati pesantemente ridimensionati.

La Puglia è la regione con il maggior numero di interruzioni di gravidanze da parte di giovanissime; nel 2005 ben 1152 adolescenti tra i 15 e i 19 anni hanno scelto di interrompere la gravidanza.
Unione e Cdl, alternatesi al governo nazionale, hanno di fatto decentralizzato alle regioni i poteri in materia sanitaria.
Ogni regione decide dei ticket e dei piani sanitari e se si sforano i parametri stabiliti dal governo nazionale, bisogna tagliare i servizi e possibilmente aumentare la esternalizzazione ai privati, che spesso hanno legami con i politici locali. Il tutto passa attraverso una logica aziendalista, dove il malato o chi ha bisogno più in generale di un servizio è un "utente" e chi deve offrire dei servizi pubblici, è ormai da anni, un'azienda sanitaria.
Naturalmente, anche nella Puglia del "comunista" Vendola e della sua "rivoluzione" gentile, l'ottica privatistica è la stessa, la stessa peraltro del centrodestra di Fitto, seguendo uno stesso filo di continuità che ha deluso chi credeva in un cambiamento sostanziale.

Nessun cambiamento in vista!

Anzi, proprio per confermare questa disastrosa continuità, il ministro della salute, Livia Turco, in visita qualche mese fa a Bari, ha elogiato il "riordino" sanitario fatto dai governi pugliesi che si sono avvicendati negli ultimi anni. E Fitto, sui giornali, ha rivendicato per sé gli elogi del ministro del governo Prodi.
L'ultima decisione in campo sanitario, quella relativa alla cancellazione della gratuità della pillola, a parte qualche dichiarazione contraria ed esclusivamente strumentale e di facciata del presidente Nicki Vendola, pressato soprattutto dalle polemiche che si sono scatenate in seguito all'annuncio del provvedimento, rientra chiaramente in un attacco complessivo che vede alleate /lobby/ politico-imprenditoriali e Chiesa cattolica.

Sicuramente la tutela della salute delle donne e un maggiore potenziamento dei consultori, indispensabili per garantire una corretta informazione soprattutto agli adolescenti sulle tecniche contraccettive, non rientrano tra le preoccupazioni del presidente Vendola impegnato com'è a banchettare con le gerarchie ecclesiastiche a cui stanzierà ben 12 milioni di euro per gli oratori.

Al governatore pugliese certamente non interessa sapere che se la pillola Norlevo ritornerà ad essere gratuita, sicuramente molte giovani donne potranno evitare di ricorrere alle sale operatorie, viste come l'ultima spiaggia.

Il Partito di Alternativa comunista pugliese rivendica non solo la gratuità del farmaco della discordia, d'accordo con i medici laici, le associazioni di donne pugliesi e i sindacati di base, che si sono schierati nettamente contro il provvedimento dell'assessore Tedesco, ma rivendica anche il potenziamento dei consultori alla base di un'informazione laica e libera contro le ingerenze della chiesa cattolica e in generale la cancellazione del piano ospedaliero Fitto-Vendola perché il diritto alla salute delle masse popolari non sia legato alle logiche del mercato e del profitto, come i governi di alternanza borghese di centrosinistra e di centrodestra sono abituati a professare (e a mettere in pratica).

da FacciamoBreccia ML

1 commento:

Anonimo ha detto...

L´attesa in consultorio: "Ma oggi come allora le donne sono sole"
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ROMA - Sedute in sala d´attesa, per la verità un corridoio, due
ragazzine di vent´anni scarsi smanettano coi cellulari. Hanno jeans a vita radicalmente bassa, ne escono slip e pance piatte, tengono gli zaini a terra fra le scarpe da ginnastica slacciate. Una è qui per la visita, l´altra è l´amica. Alla prima, quella che aspetta di entrare, squilla il telefono. «Sì mamma sono a studiare a casa di Laura»,sguardo
obliquo a Laura che ride e fa cenno con due dita, ‘taglia subito´.
«Certo mamma non ti preoccupare ho le chiavi, appena ho finito torno a casa». Riattacca. Le ragazze si abbracciano, Laura dice qualcosa all´orecchio dell´amica, lei sospira.
Consultorio di Tor Pignattara, periferia sud di Roma tra due binari di ferrovia e un campo nomadi. Mercoledì, giorno di visita della ginecologa. Per abortire devi passare di qui. Hai bisogno di un certificato medico, devi parlare con l´assistente sociale poi aspettare una settimana. Di seguito: in ospedale. Da qui di solito si va al San Giovanni. Paola, che ha in braccio una bambina di otto mesi coi capelli rossi, si ferma un momento a guardare le due amiche prima di scendere al piano di sotto al corso «di sostegno alle neo-mamme».
«Mi ricordo», dice sottovoce. Anche lei è stata qui per abortire, è stato molto tempo fa:
«Era il ‘91, non avevo detto niente a casa, niente al mio ragazzo, niente a nessuno. Avevo paura. Non ero mai stata nemmeno dal ginecologo prima, pensi. Oltretutto il medico quella volta era un uomo. In ospedale, la settimana dopo, le infermiere continuavano a dirci ‘ci potete ripensare se volete´ ma nessuna voleva ripensarci: volevamo
tutte solo fare alla svelta».
Al piano di sopra c´è un asilo nido, è l´ora di uscita. Madri nere di pelle e madri slave, bambini con gli occhi azzurri, bambini rom. Al piano terra c´è la pediatra: fila di ragazzini di sei-sette anni accompagnati dai genitori per il vaccino, un militare in divisa con due figlie sedute al suo fianco composte. Entra una donna straniera, non
parla l´italiano, esce la segretaria per capire chi cerca: vuole la ginecologa, si spiega a gesti. Vuole abortire.
I consultori familiari pubblici esistono dal 1975. Una donna su tre tra quelle che interrompono la gravidanza, in Italia, passa da queste strutture per ottenere il certificato medico. Nel Lazio più della metà.
Maria Edoarda Trillò, che ne coordina tre nella zona di Roma Sud, ha un bacino di utenza di circa 45mila donne e bambini. L´anno scorso i suoi centri hanno seguito 265 donne incinte: il 59 per cento erano straniere.
Su 330 aborti quasi la metà, 155, sono stati richiesti da non italiane.
Oggi che è mercoledì per lei che è pediatra è giorno di vaccinazioni.
E´ anche giorno di corso di preparazione al parto, di corso post-parto e di pap-test. C´è un traffico da stazione centrale, ansie e felicità che si incrociano senza sapere, razze diverse, lingue diverse. Trillò lavora in consultorio dall´82, quest´anno compie un quarto di secolo al servizio, lei dice, «della salute di tutti che passa sempre dalla salute delle
donne». Le rom del campo nomadi di via dei Gordiani vengono a chiedere medicinali di quelli che i rappresentanti lasciano come campioni. Le donne del Bangladesh, la comunità qui è numerosissima, hanno imparato
il calendario e vengono per le visite ginecologiche, per la contraccezione e gli esami di prevenzione ai tumori. Le italiane portano i figli dal
pediatra, vanno dall´assistente sociale quando il marito le picchia, ci vanno anche se non sanno come fare coi figli adolescenti che forse si drogano e loro non capiscono. C´è un centro per le adozioni, un centro
per gli affidamenti, un servizio di banca del latte e uno di scambio di vestiti e passeggini usati. C´è un mondo, un pezzo di mondo.
Una volta questa era l´«Opera nazionale maternità e infanzia. Casa della madre e del bambino», un edificio fascista in cui ai tempi le madri che allattavano venivano per avere gratis cibo nutriente. Anche oggi il servizio è gratuito. Sono tutte donne tranne un funzionario dell´amministrazione: assistenti sociali, psicologhe eginecologhe,
pediatre, segretarie. In bacheca ci sono annunci di ogni genere. In uno più grande degli altri c´è scritto dove si va e in che orari a prendere la ‘pillola del giorno dopo´. Il problema più serio, soprattutto fra le straniere, è questo: la contraccezione. In una pausa della sua frenetica
giornata di lavoro Rita D´Avenio, la ginecologa di turno, racconta
delle difficoltà di «dare informazioni utili alle donne cinesi, romene, pachistane. Le egiziane vengono col marito e parla solo lui. Se tu gli
chiedi di malattie infantili rispondono i mariti, allora devi dire ‘scusi ma lei conosceva sua moglie quando aveva sei anni?, la lasci parlare´ ma non c´è niente da fare. Le ucraine e le brasiliane in generale non vogliono la pillola, sono convinte che faccia ingrassare.
Molte dicono che costa troppo. Stamattina è arrivata una colombiana
madre di tre figli, ultima interruzione di gravidanza nell´agosto 2006, di nuovo incinta. Dice che il marito non vuole che usi anticoncezionali». Fuori dalla porta in attesa ci sono le due ragazzine con gli zaini, una cinese accompagnata da un uomo e una signora sui
quaranta, italiana. Le certificazioni per interruzione di gravidanza qui
si fanno due volte alla settimana: ne vengono richieste in media due al giorno ma è una media, appunto. Oggi per esempio quattro. D´Avenio:
«Con le donne straniere c´è un lavoro immenso da fare, ci sono barriere culturali formidabili e stati di soggezione agli uomini difficili da violare. Sono comunità molto chiuse, impermeabili. Anche le italiane,
però, soprattutto le giovanissime, vivono rispetto alla nostra generazione una fase di regressione. Bisogna prenderne atto, tenerne conto: qualcosa è successo, qualcosa è cambiato». Le giovanissime usano molto poco gli anticoncezionali. Non è per ignoranza, è per scelta. La
dottoressa racconta con sgomento dei corsi di educazione sessuale che tiene nelle scuole. «C´è questo fenomeno dell´aumento dell´uso di Viagra fra i quindici-sedicenni. Uno si domanda come mai. Poi va ad incontrarli e capisce. Sono rimasta di sasso, di recente, in una classe di seconda superiore: il gruppo delle ragazze faceva sfoggio davanti ai compagni maschi coetanei di una competenza e di un linguaggio così provocatorio
che non so ripeterglielo. I maschi erano ammutoliti. Una delle quindicenni, sostenuta dalle compagne, raccontava di fare sesso in libertà senza nessuna precauzione. Mi sono venuti in mente quei racconti
di giovani che vanno in moto o in macchina a fari spenti: è così, un gusto e un piacere del rischio esibito come un trofeo».
C´è un lavoro grande da fare e uno altrettanto grande da ri-fare.
Michele Grandolfo, dirigente dell´Istituto superiore di sanità che per il Ministero guidato da Livia Turco lavora con Maura Cossutta, consulente del ministro, al ‘Progetto obiettivo materno infantile´ dice che non c´è salute pubblica «che non passi dalla salute delle donne».
La «rivoluzione copernicana» sarà quella che trasforma il «welfare
paternalistico nel welfare basato sullo sviluppo delle capacità delle persone. La domanda è: valorizzo la capacità di decidere di chi si rivolge a me o decido io per lei?». Una teoria evoluta che si scontra con la pratica: c´è stato un progressivo depotenziamento dei consultori
negli ultimi anni. Dovrebbero essere (secondo la legge vecchia ormai di 32 anni) uno ogni ventimila abitanti e non ci siamo ancora arrivati. I soldi non bastano mai e sono ogni volta di meno. Molte, moltissime di queste persone lavorano per passione, poco pagate e fuori orario. Le
strutture pubbliche - gli ospedali, soprattutto - per quanto attrezzate non offrono il tipo di servizio di cui ci sarebbe bisogno: risolvere,
certo, ma poi anche informare, prevenire, assistere. Capire il tipo di persona che hai davanti e dargli quel che gli serve, appunto, per essere in grado domani di decidere da sola. Racconta Paola, con la sua bambina dai capelli rossi: «Quando ho abortito io, 15 anni fa, in ospedale è
stata un´esperienza talmente orribile che ho avuto bisogno di
scriverla, raccontarla ad altri. Oggi non è molto diverso, anzi. Guardi qui in queste stanze, cosa vede? Donne sole, avvilite. Donne che non parlano italiano e ragazzine spaventate. Come se l´aborto fosse un problema
loro e non di tutti».
Una faccenda di donne, al solito.
Trent´anni dopo siamo di nuovo qui.


di CONCITA DE GREGORIO

"La Repubblica",
SABATO 07 APRILE 2007

Pagina 19 - Cronaca