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Libertà sessuale, libera sessualità- 1976 - Adele Faccio

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lunedì 9 aprile 2007

suicidio

da Massimo Consoli, amico e fraterno compagno nella lotta per la liberazione sessuale da quando eravamo adolescenti...

Roma, 9 aprile 2007, lunedi’

Il suicidio di Matteo e’ una tragedia. E’ il sintomo che c’e’ qualcosa di sbagliato in questa societa’. Soprattutto, e’ la punta di un iceberg che ci segnala una situazione di estremo disagio molto piu’ diffusa di quanto non si pensi.
Nel 1992 Paolo Crepet aveva fatto una ricerca dalla quale risultava che in Italia 4.800 persone ogni anno si tolgono la vita. “I ragazzi tra i 15 e i 24 anni sono il 5-6 per cento del totale”. Per quel che riguarda i tentativi: su cento che ci provano, almeno dieci nel giro di quattro anni ci riusciranno. I metodi usati sono soprattutto i farmaci (80 per cento) nei tentativi, mentre nei suicidi riusciti, al primo posto c’e’ l’impiccagione, poi la defenestrazione (il gettarsi dalla finestra), le armi da fuoco, il gas (vedi anche “La Repubblica”, 10 marzo 1992)
Secondo un altro autore (Virgilio Titone, Dizionario delle idee comuni, Pan Editrice, 1976, due volumi, 2° vol. p. 41) i suicidi o tentati suicidi di omosessuali, in Italia, nel periodo fra il 1970 ed il 1973 sono stati piu’ di 300.
Questi dati possono essere di supporto, ma basta vivere all’interno della propria comunita’ per sapere che i tentativi di togliersi la vita sono piuttosto frequenti, soprattutto nell’eta’ adolescenziale, quando il giovane si scontra con una realta’ fatta di discriminazione e repressione da parte della societa’, e di incomprensione da parte dei familiari.
Io stesso ci ho provato, a diciassette anni. E quando ne sono uscito fuori ho giurato a me stesso che mi sarei dedicato anima e corpo per tutta la vita ad aiutare i miei fratelli e sorelle in difficolta’.
Non sono mai venuto meno a questo giuramento, ma so che il mio lavoro non e’ sufficiente. Ci vuole ben altro che una sola persona, per quanto motivata, per riuscire a modificare questa societa’.
Vi accludo il brano del mio libro “Affetti Speciali” (Massari ed., 1998), dove racconto proprio del mio tentato suicidio. Spero che possa essere utile a qualcuno. Lo fosse anche ad una sola persona, sarebbe gia’ sufficiente.
Buona lettura,
Massimo Consoli

… A diciassette anni ero ad una svolta. Avevo capito da tempo, ormai, di essere omosessuale: o così, almeno, mi sentivo, in mancanza di altre possibilita’ di definirmi in maniera piu’ precisa. Solo, non mi trovavo nei libri che avevo letto, ed erano tanti, dio solo sa quanti fossero i libri di psicologia, medicina, filosofia, religione, morale, storia, antropologia... che avevo mandato giu’ come fossero acqua fresca a ferragosto.
Su questi libri c'era scritto che l'omosessuale non poteva essere considerato un criminale (bonta’ loro!), ma solo un malato da curare anche se, spesso, ce n'erano alcuni che "credevano" di vivere serenamente la loro condizione, che non volevano assolutamente "guarire", che rifiutavano con forza l'"aiuto" del medico... Questi erano i "casi" piu’ difficili, che, comunque, andavano "curati" anche contro la loro volonta’.
E questi libri mi sembravano perfino «coraggiosi»! E di fronte alla merda generale, forse l'erano pure…
Seguivano, poi, le casistiche degli omosessuali, in nessuna delle quali riuscivo a vedermi: che avevo, io, da spartire con quei personaggi che di notte si aggiravano per le strade della citta’ alla ricerca disperata di marinai dai quali essere frustati? O a caccia di bambini di 6 anni ai quali succhiare il pene incirconciso? O con quelle checche tremebonde che si travestivano da femmes fatales e rimorchiavano i maschi che non si accorgevano (non si accorgevano?) di avere a che fare con degli uomini in gonnella...?
Un libro portava come esempio di «omosessuali famosi», la storia del «Macellaio di Hannover», uno che rimorchiava i ragazzi, li ammazzava, li tagliava a pezzi e se li rivendeva come salsicce e carne macinata... Un altro spiegava che «Jack lo squartatore» era "evidentemente" un omosessuale che odiava le donne e per questo le sgozzava come vitelle... Un altro ancora raccontava di cliniche svizzere dove agli invertiti si ficcavano tanti chiodini in testa e... zac!, un piccolo elettroshock li faceva miracolosamente diventare grandi amatori di pucchiacchie.
Non avevo alcun modello positivo in cui identificarmi. Gli omosessuali che venivano fuori dalla lettura di libri e giornali erano tutti mostri sanguinari e/o viziose checche tremebonde. Con tutta la buona volonta’ di questo mondo, io non riuscivo a sentirmi come loro e non capivo quando e come la mia solforosa trasformazione avrebbe avuto inizio: da bravo ragazzetto a squartatore di professione (magari in gonnella mozzafiato), secondo ogni aspettativa «scientifica».
Vivevo nel trip del suicidio. La notte mi ci volevano due o tre ore prima di addormentarmi e tutto mi spaventava. Mi avvolgevo nelle coperte, mi coprivo la testa e gli occhi, lasciando fuori solo bocca e naso per respirare. E stavo in una stanza con i miei due fratelli! Ero terrorizzato dal buio, dagli sconosciuti, dagli imprevisti. Non volevo vivere in un mondo del genere, in una simile societa’, dentro uno Stato siffatto. Così, un bel giorno, anzi, un pomeriggio, cominciai a bere un liquore dolce che stava nella vetrinetta dell'armadio in camera da pranzo, da chissa’ quanti anni. Bevevo, piangevo e mi compativo, cercando di stordirmi e di trovare il coraggio, infine, di buttarmi dal balcone.
Il pomeriggio, intanto, volgeva a sera. Mia madre e mia sorella tornarono da chissaddove e mi videro in quello stato. Dapprincipio non capirono cos'era successo. La bottiglia aperta sul lungo tavolo di vetro verde (in una famiglia dove nessuno aveva propensioni verso l'alcol) fece sospettare qualcosa. Mamma chiese spiegazioni. Io risposi con un «vaffanculo!»
Mia sorella intervenne: «E' ubriaco!»
«S'e’ scolato tutta la bottiglia», disse mamma. «Ma che t'e’ successo? Oddio! Vedrai quando torna tuo padre».
Io barcollavo per le stanze, ondeggiando pericolosamente da una parete all'altra. Andai verso il balcone appoggiandomi alla ringhiera. «Mi butto», minacciai. «Mi sono rotto i coglioni di questo mondo di merda. Mi butto». Ma non mi buttai. Piuttosto, rientrai dentro casa, andando verso la camera dei miei genitori. Mamma s'era seduta sul letto. Affranta. Spaventata da questa mia sbronza tragica. Non s'era mai trovata in una situazione del genere, e non sapeva come affrontarla. «Ma che t'e’ successo?», provo’ a chiedere ancora una volta.
«Sono frocio!» La confessione m'era uscita veloce, secca, urlata. E l'accompagnai con un cazzotto contro lo specchio dell'armadio che, ancora oggi, non capisco com'e’ che non sia andato in mille pezzi.
Nessuno disse niente. Mia sorella aprì la poltrona e si rassegno’ a prepararmi il letto. Io non vomitai nulla. Mi sdraiai e passai una notte insonne, disgustato dall'alcol, con il mal di testa che cominciava a farsi sentire. Intanto rientravano i fratelli dalle loro scorribande notturne, prima uno, poi l'altro. Neanche loro dissero nulla. Erano avvisati da mia madre, man mano che entravano, che qualcosa di grave era successo, quel giorno, nella nostra casa.
Rimasi a letto due giorni pensando a me stesso. Pensai a cio’ che ero, a cio’ che volevo essere, a tutto quello che mi succedeva attorno. Ricordo che mi dissi piu’ e piu’ volte: «Sono frocio. Punto e basta. O mi sta bene così, e ci vivo in pace per tutta la vita, o mi decido e m'ammazzo sul serio. Non posso piu’ traccheggiare. Devo prendere una decisione, infine. O m'ammazzo o m'accetto. Ma perche’ mi devo ammazzare? Io non ho nessuna voglia di suicidarmi. Qui, oggi, io devo fare una prova, un tentativo di vivere in pace con la mia omosessualita’. Di provarla. Devo vedere cosa succede se non mi pongo piu’ il "problema" di essere omosessuale ma, piu’ semplicemente, accetto di vivere "da" omosessuale. Ma come si vive da omosessuali? Non e’ possibile che i libri dicano la verita’. C'e’ qualcosa che mi sfugge. Loro scrivono che "ci sono quelli che credono di vivere bene con la loro anomalia e non vogliono assolutamente essere curati"... E se ci vivessero veramente bene? Se non si trattasse di un’illusione, come gli autori vogliono far intendere? E se io non fossi neanche omosessuale come credo, alla fin fine, ma qualcosa di ancora piu’ diverso?»
Tra le righe di quello che andavo leggendo sui libri si capiva che in altri tempi la gente era convissuta in armonia con l'omosessualita’ e, qualche autore aggiungeva addirittura che «ancora oggi in altri paesi c’e’ chi e’ veramente felice d’essere anormale...»
In quei due, tre giorni, presi la piu’ importante decisione della mia vita: mi «accettai» come omosessuale. Non solo, giurai a me stesso che avrei dedicato la mia vita all’emancipazione degli altri omosessuali, che avrei fatto tutto, piu’ che il possibile fino all’impossibile, per liberare la mia comunita’ dalle catene che la legavano e la facevano soffrire. Giurai che non avrei accettato imposizioni di nessun tipo da uno Stato, da una Chiesa, da una Societa’ che avevano cercato di sopprimermi, di distruggermi, di farmi scomparire dalla faccia della terra.
Tutto questo aveva, ed ha ancora oggi per quel che posso capire, un fondamento nell’amore: amore grande, sconfinato, irrefrenabile prima di tutto per i miei fratelli che, come me, sono stati costretti a subire le ingiurie dell’idiozia umana fatta carne; e poi amore per tutti gli uomini e le donne, amore per coloro che sono oggi, e qui, viventi, ma anche per quelli che hanno gia’ dato il loro contributo all’evoluzione dell’umanita’ ed a quelli che lo daranno domani o dopodomani…
E questo amore e’ un imperativo morale per tutti: noi non abbiamo solo dei diritti nei confronti di noi stessi, ma anche degli obblighi di fronte agli altri. Di piu’ verso quelli che ci sono vicini, di meno per quelli che sentiamo lontani da noi, certo, ma con tutti abbiamo un legame che non ci e’ concesso recidere o ignorare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bologna,
09 Aprile 2007

Chi mi riparlerà di domani luminosi?
Lettera a un ragazzo ferito

Caro Matteo,
alla morte diamo in tanti nomi diversi; c'è chi crede nell'aldilà, chi alla fine biologica dell'esistenza umana. Non sappiamo dove stai ora. Sappiamo invece che l'amore di tua madre per te è ancora intatto e forte. Da questo sorretta, ha trovato il coraggio di denunciare l'omofobia che in un giorno d'inizio primavera ti ha visto sconfitto quattro piani più sotto di casa tua.

A lei, a tuo fratello e a tuo padre vanno il nostro affetto e i nostri pensieri più teneri.

A te. Ah! a te, vanno ben altri sentimenti.

La nostra rabbia, offesa da una domanda che non avrà risposte certe. Perché lo hai fatto?

Hai sentito su di te – per esperienza, possiamo immaginarlo – la derisione, la discriminazione, l'isolamento e la solitudine. Troppo per un ragazzo di sedici anni. Troppo per chiunque.

La tua sconfitta è un'ingiustizia che non si riesce a mandare giù. Lottiamo ogni giorno per cambiare questa società razzista, violenta e classista. Forte coi deboli e debole con gli sciacalli e gli aguzzini. Non siamo arrivati lì in tempo a dirti: non sei solo, e sii contento d'aver paura, perché è la tua strada per il coraggio e per l'orgoglio di te.


È tempo di alzare la voce, Matteo. Noi che crediamo all'oggi e alla giustizia, parleremo pensando a te e dedicandoti i nostri sforzi.

Ti facciamo una promessa. Saremo forti e combatteremo contro la violenza maschilista e patriarcale, contro i suoi rappresentanti, contro chi vuole un mondo di uomini e di donne supini, determinati dal potere e non dal loro desiderio di felicità.

Ai religiosi che c'offendono ogni giorno, agli omofobi, ai violenti dedichiamo questi versi di Fabrizio De Andrè:

“Prima che fosse finita
ricordammo a chi vive ancora
che il prezzo fu la vita
per il male fatto in un'ora.”

La gola arida per le ingiustizie di questo mondo non ci farà perdere la gioia di vivere.
Sarà difficile fermarci. Perché ogni passo lo faremo assieme a te.

Ti stringiamo forte forte forte per un'ultima dolce volta. E un bacio questa volta non te lo toglierà nessuno. Ciao Matteo.

I tuoi amici e le tue amiche de “Il Cassero”,
Gay & Lesbian Center, Bologna.