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venerdì 14 marzo 2025

Nasce “Spotlight on Italian survivors” e conta 800 sacerdoti offender e migliaia di vittime



Si chiama “Spotlight on Italian survivors

quel “faro” mancato in Europa solo dall’Italia, oggi l’unico stato membro dell’Unione Europea a non aver esercitato, malgrado gli allarmi arrivati da tutta Europa, alcuna azione di prevenzione e tutela verso i cittadini vittime di abusi sessuali in età minorile, non solo nel contesto del clero...

Uno “Spotlight” mancato in Italia soprattutto dall’informazione di massa che in materia non ha di certo brillato di luce propria, anzi, è stata incapace persino di una semplice inchiesta giornalistica sul tema.

Così come da 15 anni, ci siamo organizzati noi sopravvissuti, ancora una volta nell’assordante silenzio che in Italia riecheggia puntuale.

Spotlight on Italian survivors” è il primo ed il più grande database al mondo che raccoglie, traccia e monitora gli abusi sessuali del clero e lo fa in una forma che tende a dare a colpo d’occhio, la vastità del problema italiano.

Lo fa soprattutto con numeri e grafici, espressione molto diretta e al tempo stesso quantificante del fenomeno.

 

Questo sistema database chiamato “iCODIS”, non solo produce dati in tempo reale ma li quantifica per ogni provincia, regione italiana. Quanti sacerdoti potenziali offender ci sono nella provincia in cui abitate, quante sono le vittime sopravvissute che questi hanno prodotto in quei luoghi, ma non solo.

Quanti di questi hanno subito un processo, penale o canonico, quanti invece sono sfuggiti per prescrizione alla Giustizia e che fine hanno fatto.

Tra le vittime prodotte quante donne, quanti uomini, da chi sono stati abusati e in quale circostanza. Quale è la percentuale italiana del clero pedofilo e tanto altro.

Una serie infinita di informazioni, in alcuni casi da noi preconfezionate in panoramiche regionali che danno a colpo d’occhio coscienza della situazione.

Ma “iCODIS” ha anche un sistema integrato di ricerca avanzata destinato al pubblico dove non serve necessariamente inserire un nome, ma è sufficiente per esempio inserire una città per avere una panoramica di ciò che accade o è stato.

Quasi un ripiego a quella commissione di inchiesta che l’ONU ha chiest all’Italia inadempiente nel 2019, puntualmente mancata, come se i minori italiani fossero per lo Stato, solo figli di un Dio minore.


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martedì 11 marzo 2025

Diventeremo sempre più bionici?


Muscoli artificiali cancellano i tremori del Parkinson

Aprono la strada a dispositivi indossabili leggeri e discreti

10 marzo 2025, 07:53


tremori del Parkinson possono essere cancellati applicando sugli arti degli attuatori leggeri e silenziosi che agiscono come muscoli artificiali: lo dimostrano i  test condotti su un braccio biorobotico in grado di simulare i movimenti involontari causati dalla malattia.

La sperimentazione apre la strada allo sviluppo di dispositivi indossabili, pratici e discreti, che migliorino la qualità di vita dei pazienti.

I risultati sono pubblicati sulla rivista Device dai ricercatori dell'Istituto Max Planck per i sistemi intelligenti in collaborazione con le università di Tubinga e Stoccarda.

I muscoli artificiali testati dal team tedesco sono degli attuatori elettroidraulici molto leggeri e silenziosi che possono contrarsi rilassarsi per compensare i tremori degli arti fino a renderli quasi impercettibili. I ricercatori lo hanno dimostrato applicandoli a un braccio biorobotico che è stato usato come una sorta di paziente meccanico per simulare i movimenti dei malati in carne e ossa. Questa piattaforma sperimentale potrà essere usata per studiare nuove tecnologie assistive come gli esoscheletri, riducendo così il ricorso a complesse e costose sperimentazioni cliniche su pazienti veri.

L'idea dei ricercatori è quella di usare i muscoli artificiali per realizzare dispositivi robotici indossabili che possano aiutare i malati di Parkinson ad affrontare meglio le attività quotidiane muovendosi con maggiore sicurezza. "Vediamo un grande potenziale per i nostri muscoli che possono diventare parte di un indumento che si può indossare in modo molto discreto, così che gli altri non si accorgano nemmeno che la persona soffre di tremore", afferma la prima autrice dello studio Alona Shagan Shomron.

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

domenica 9 marzo 2025

Da Micromega La lettera aperta di Walesa a Trump

 

“Orrore e disgusto”: lettera aperta a Trump

Ex prigionieri politici polacchi, tra cui Lech Wałęsa, si appellano a Trump dopo l’incontro con Zelensky affinché rispetti il Memorandum di Budapest.

Caro Signor Presidente,       abbiamo seguito con orrore e disgusto la sua conversazione con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Troviamo offensive le sue aspettative di rispetto e gratitudine per gli aiuti materiali forniti dagli Stati Uniti all’Ucraina, che sta combattendo contro la Russia. La gratitudine è dovuta ai valorosi soldati ucraini, che versano il loro sangue per difendere i valori del mondo libero. Da oltre undici anni, muoiono in prima linea in nome di questi valori e per l’indipendenza della loro patria, attaccata dalla Russia di Putin.Non comprendiamo come il leader di un paese simbolo del mondo libero non riesca a vedere tutto questo.             Ci ha inoltre inorridito il fatto che l’atmosfera nella Sala Ovale, durante questa conversazione, ci abbia ricordato quella che conosciamo bene dagli interrogatori del Servizio di Sicurezza e dalle aule dei tribunali nei regimi comunisti. Anche i pubblici ministeri e i giudici, su ordine della onnipotente polizia politica comunista, ci spiegavano che loro avevano tutte le carte in mano e noi nessuna. Ci chiedevano di rinunciare alle nostre attività, sostenendo che a causa nostra soffrivano migliaia di persone innocenti. Ci privavano della libertà e dei diritti civili perché ci rifiutavamo di collaborare con le autorità e di mostrare loro gratitudine. Siamo sconvolti dal fatto che lei abbia trattato il presidente Volodymyr Zelensky in modo analogo.

La storia del XX secolo dimostra che ogni volta che gli Stati Uniti hanno cercato di prendere le distanze dai valori democratici e dai loro alleati europei, hanno finito per minacciare sé stessi. Lo capì il presidente Woodrow Wilson, quando nel 1917 decise di far entrare gli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. Lo capì il presidente Franklin Delano Roosevelt quando, dopo l’attacco a Pearl Harbor nel dicembre 1941, decise che la guerra in difesa dell’America sarebbe stata combattuta non solo nel Pacifico, ma anche in Europa, in alleanza con gli Stati aggrediti dal Terzo Reich.

Ricordiamo che senza il presidente Ronald Reagan e il coinvolgimento finanziario degli Stati Uniti, il crollo dell’impero sovietico non sarebbe stato possibile. Reagan sapeva che milioni di persone erano ridotte in schiavitù nella Russia sovietica e nei paesi da essa conquistati, tra cui migliaia di prigionieri politici che pagavano con la libertà il loro sacrificio in difesa dei valori democratici. La sua grandezza risiedeva, tra le altre cose, nel fatto che definì senza esitazione l’Urss un “Impero del Male” e lottò decisamente contro di esso. Abbiamo vinto, e oggi un monumento al presidente Ronald Reagan si erge a Varsavia, di fronte all’ambasciata americana.

Signor Presidente, l’aiuto materiale – militare e finanziario – non può essere considerato equivalente al sangue versato in nome dell’indipendenza e della libertà dell’Ucraina, dell’Europa e dell’intero mondo libero. La vita umana è inestimabile; il suo valore non può essere misurato in denaro. La gratitudine è dovuta a coloro che fanno il sacrificio del sangue e della libertà. Per noi, uomini e donne di Solidarność, ex prigionieri politici del regime comunista asservito alla Russia sovietica, tutto questo è evidente.

Facciamo appello affinché gli Stati Uniti rispettino le garanzie fornite, insieme al Regno Unito, nel Memorandum di Budapest del 1994, che stabiliva esplicitamente l’impegno a difendere l’inviolabilità dei confini dell’Ucraina in cambio della sua rinuncia alle armi nucleari. Queste garanzie sono incondizionate: non vi è una sola parola rispetto al considerarle come parte di uno scambio economico.

Varsavia, 5 marzo 2025

Firmatari

Lech Wałęsa – Ex prigioniero politico, leader di Solidarność, premio Nobel per la Pace, presidente della Polonia

Bronisław Komorowski – Ex prigioniero politico, attivista per l’indipendenza, attivista di Solidarność, presidente della Polonia

Marek Beylin – Ex prigioniero politico, editore di pubblicazioni indipendenti

Seweryn Blumsztajn – Ex prigioniero politico, membro del Comitato di Difesa dei Lavoratori

Teresa Bogucka – Ex prigioniera politica, attivista per la democrazia e Solidarność

Grzegorz Boguta – Ex prigioniero politico, attivista dell’opposizione democratica, editore indipendente

Marek Borowik – Ex prigioniero politico, editore indipendente

Bogdan Borusewicz – Ex prigioniero politico, leader clandestino di Solidarność a Danzica

Zbigniew Bujak – Ex prigioniero politico, leader clandestino di Solidarność a Varsavia

Władysław Frasyniuk – Ex prigioniero politico, leader clandestino di Solidarność a Breslavia

Andrzej Gincburg – Ex prigioniero politico, attivista clandestino di Solidarność

Ryszard Grabarczyk – Ex prigioniero politico, attivista di Solidarność

Aleksander Janiszewski – Ex prigioniero politico, attivista di Solidarność

Piotr Kapczyński – Ex prigioniero politico, attivista dell’opposizione democratica

Marek Kossakowski – Ex prigioniero politico, giornalista indipendente

Krzysztof Król – Ex prigioniero politico, attivista per l’indipendenza

Jarosław Kurski – Ex prigioniero politico, attivista dell’opposizione democratica

Barbara Labuda – Ex prigioniera politica, attivista clandestina di Solidarność

Bogdan Lis – Ex prigioniero politico, leader clandestino di Solidarność a Danzica

Henryk Majewski – Ex prigioniero politico, attivista di Solidarność

Adam Michnik – Ex prigioniero politico, attivista dell’opposizione democratica, editore di pubblicazioni indipendenti

Wiktor Mikusiński – Ex prigioniero politico, attivista del sindacato indipendente della milizia, attivista di Solidarność

Sławomir Najnigier – Ex prigioniero politico, attivista clandestino di Solidarność

Piotr Niemczyk – Ex prigioniero politico, giornalista e tipografo della stampa clandestina

Stefan Konstanty Niesiołowski – Ex prigioniero politico, attivista per l’indipendenza

Edward Nowak – Ex prigioniero politico, attivista clandestino di Solidarność

Wojciech Onyszkiewicz – Ex prigioniero politico, membro del Comitato di Difesa dei Lavoratori, attivista di Solidarność

Antoni Pawlak – Ex prigioniero politico, attivista dell’opposizione democratica e di Solidarność

Sylwia Poleska-Peryt – Ex prigioniera politica, attivista dell’opposizione democratica

Krzysztof Pusz – Ex prigioniero politico, attivista clandestino di Solidarność

Ryszard Pusz – Ex prigioniero politico, attivista clandestino di Solidarność

Jacek Rakowiecki – Ex prigioniero politico, attivista clandestino di Solidarność

Andrzej Seweryn – Ex prigioniero politico, attore, direttore del Teatro polacco di Varsavia

Witold Sielewicz – Ex prigioniero politico, tipografo della stampa indipendente

Henryk Sikora – Ex prigioniero politico, attivista di Solidarność

Krzysztof Siemieński – Ex prigioniero politico, giornalista e tipografo della stampa clandestina

Grażyna Staniszewska – Ex prigioniera politica, leader di Solidarność nella regione di Beskid

Jerzy Stępień – Ex prigioniero politico, attivista dell’opposizione democratica

Joanna Szczęsna – Ex prigioniera politica, editrice della stampa clandestina di Solidarność

Ludwik Turko – Ex prigioniero politico, attivista clandestino di Solidarność

Mateusz Wierzbicki – Ex prigioniero politico, tipografo e giornalista di pubblicazioni indipendenti

Crediti foto: Ukrainian President Volodymyr Zelensky talks with US President Donald Trump in the Oval Office of the White House in Washington, 28 February 2025 © Jim Loscalzo – Pool Via Cnp/CNP via ZUMA Press Wire

giovedì 30 gennaio 2025

Si festeggi solo che sono vive.

 La prigionia delle israeliane rapite raccontata da loro stesse.

di Nathan Greppi  

Una delle foto che più sono rimaste impresse nella memoria collettiva dei rapimenti del 7 ottobre ritrae la ventenne Naama Levy mentre viene caricata a forza su un furgone. Sui pantaloni spicca una grossa macchia di sangue, probabile conseguenza di una violenza carnale. 

Dopo essere stata recentemente liberata assieme ad altre tre soldatesse rapite (Liri Albag, Karina Ariev e Daniella Gilboa), sono emersi i racconti sulle loro condizioni durante i 477 giorni in cui sono state prigioniere di Hamas. Come spiega il sito israeliano “Ynet”, le storie sono state raccolte dai media presso il Centro medico Rabin di Petah Tiqwa, dove le ragazze stavano affrontando le dovute cure in compagnia dei loro familiari. 

Naama Levy è stata tenuta da sola per un lungo periodo, prima di potersi ricongiungere con le sue amiche. Le quattro giovani donne hanno cercato di passare il tempo tenendosi in esercizio e rimanendo attive, malgrado le condizioni precarie e il cibo scarso. Nonostante i sequestratori non permettessero loro di tenersi per mano né di piangere, sono riuscite comunque a sostenersi a vicenda. 

Daniella Gilboa e Karina Ariev sono state tenute insieme per la maggior parte del tempo e il loro legame, formatosi già nella base di Nahal Oz prima del loro rapimento, è diventato ancora più forte. 

Intervistate dall’emittente televisiva israeliana Keshet 12, le ragazze hanno raccontato che una di loro è rimasta prigioniera per molto tempo in un tunnel senza luce dove era difficile persino respirare. Nel corso della lunghissima prigionia sono state continuamente spostate da un posto all’altro. C’erano periodi in cui non veniva dato loro da mangiare, ma allo stesso tempo erano costrette a cucinare per i terroristi e a pulire le loro toilette. Spesso potevano sentire la radio e più raramente vedere in tv le proteste degli israeliani per chiederne la liberazione. 

Durante la prigionia alcune di loro sono state tenute in ostaggio dentro le case dei civili di Gaza, dove giocavano con i bambini dei carcerieri. 

Non è stato loro concesso di ricevere cure mediche adeguate, comprese quelle per le ferite riportate il 7 ottobre. 

Per lungo tempo non hanno avuto neanche il permesso di farsi una doccia o anche soltanto di lavarsi. 

Ai media israeliani il padre di Naama, Yoni Levy, ha dichiarato: «Per 15 mesi ho parlato con voi giornalisti molte volte. Dal profondo del cuore mi sono rivolto ai politici, ai media, al popolo d’Israele e ai leader mondiali. Li ho supplicati come padre di cercare di salvare mia figlia dall’inferno. Questo momento, qui e oggi, è ciò per cui ho pregato e che ho immaginato e sperato per 477 giorni, non solo per me stesso ma per tutti noi. Il 7 ottobre il nostro Paese si è frantumato in migliaia di pezzi, lasciando le famiglie distrutte per sempre. Quello è stato il momento in cui le nostre vite personali sono state scosse e siamo diventati noti come “la famiglia di Naama Levy, la vedetta rapita”». Yoni Levy ha poi aggiunto: «Ora Naama è al sicuro con noi, circondata da parenti e amici, ma la lotta non è finita. Ci sono ancora 90 ostaggi che dobbiamo riportare a casa. Sono i nostri figli e le nostre figlie, le fondamenta stesse su cui è costruito il nostro Paese. Non ci sarà guarigione né risveglio fino a quando non sapremo che lo Stato d’Israele è il padre e la madre di ognuno di noi»

da il quotidiano LA RAGIONE 30 Gennaio

e aggiungo

Paola Kafira dibatte con filopalestinese di "Free Palestine"

da L'Islam criticato